Il panettone farcito con l’albicocca pellecchiella, un prodotto genuino, fresco e ricco di passione, che toglie il primato di bontà ai più tipici panettoni milanesi.
A pochi kilometri da Napoli, adagiata sul declivio del monte Somma a nord del Vesuvio, troviamo Somma Vesuviana, un ridente comune della provincia napoletana che ha avuto ed ha conservato il maggior numero di testimonianze archeologiche storiche, artistiche ed architettoniche.
Qui nel laboratorio dell’antica pasticceria Masulli troviamo il maestro pasticcere Antonio Masulli che ha ideato prodotto il panettone farcito con l’albicocca pellecchiella.
La pellecchiella del Vesuvio o albicocca vesuviana è un frutto antico, prelibato. Cresciuta e maturata nelle soleggiate terre Vesuviane, è un prodotto d’eccellenza della Regione Campania. In dialetto vengono chiamate “crisommole”, un termine di origine greca o meglio alessandrina.
Questa particolare albiccocca che matura tardivamente rispetto alle altre varietà, viene poi candita con una particolare lavorazione a freddo, “cuocendola” ad una temperatura di poco sopra allo zero in particolari vasche di alluminio; permettendo all’albicocca pellecchiella di mantenere tutta la sua freschezza ed il suo sapore come appena colta.
Un prodotto così particolare che ha ispirato la creatività del maestro pasticcere Antonio Masulli, con la creazione del suo panettone, prodotto artigianalmente utilizzando solo prodotti di ecellenza. L’eccellenza di questo panettone risiede oltre che nei prodotti tutti selezionati secondo rigorosi criteri dettati dallo stesso Masulli, anche nella lavorazione della pasta realizzata con un lievito madre di cento anni, seguento ritmi di lievitazione lenti, che garantiscono di mantenere la fragranza e la naturalezza del sapore genuino dell’albicocca pellecchiella.
Se vi trovate dunque a Somma Vesuviana, dopo esser andati a visitare il borgo medioevale, cinto dalle poderose mura, fatte innalzare da re Ferrante D’Aragona nel 1467; fermatevi dunque ad assaporare una fetta di panettone farcito con l’albicocca pellecchiella, al numero 21 di via Gramsci alla caffetteria e pasticceria Masulli
Se invece non avete la possibilità di andare in questi giorni alla pasticceria Masulli potete avere il famoso panettone farcito con l’albicocca pellecchiella visitando il sito altissimolivello.it
Panettone farcito con l’albicocca pellecchiella
Vi regaliamo Un Sorriso Indimenticabile di Carlo Bernari
Un sorriso indimenticabile di Carlo Bernari è un racconto sul potere del sorriso. A volte non bastano tutte le parole del mondo per dire ciò che solo con la semplicità di un sorriso si può raccontare.
Un sorriso indimenticabile è il primo di una serie di racconti che vogliamo regalarvi per farvi meglio conoscere lo spirito napoletano. Con questo romanzo ambientato tra Napoli e Gaeta, in un’epoca in cui un sorriso poteva ancora confondersi fra cento altri sorrisi vi presentiamo Carlo Bernari.
Per scaricare il racconto basta clikkare sul bottone
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Carlo Bernari nasce a Napoli nel 1909 da una famiglia di piccoli imprenditori d’origine francese. La sua formazione culturale terminò da autodidatta in quanto fu espulso da tutte le scuole. Carlo Bernari era una persona dal carattere difficile e restio al rispetto delle regole. Iniziò la sua attività di romanziere e giornalista firmando articoli sotto vari pseudonimi e guadagnandosi da vivere vendendo libri antichi. Fondò a Napoli, dove era in contatto con Francesco Flora, insieme a Guglielmo Peirce e Paolo Ricci il movimento culturale d’opposizione Udaismo (Unione Distruttivisti Attivisti).
Nel 1930 Carlo Bernari si trasferisce a Parigi. Era attirato dal gran movimento di cultura ed arte che si trovava nel capoluogo francese, con le tante avanguardie ed in particolare con il surrealismo di André Breton. Ritornato in Italia sentì l’esigenza di dar voce alle problematiche che provenivano dal mondo operaio. Nel 1934 scrisse il romanzo di ampio respiro dal titolo “Tre operai” dove riuscì, a non cedere alle lusinghe del populismo. L’opera descriveva la classe operaia impossibilitata a condurre una vita dignitosa. Carlo Bernari in rapporto sempre critico con il potere dominante, a causa degli argomenti trattati, l’opera assume un certo carattere di eversione riuscendo ad allarmare Mussolini, tanto da far calare sullo scrittore e sul libro il bavaglio della censura fascista.
Nel 1939 lo scrittore fondò a Milano, con Cesare Zavattini e Alberto Moravia la rivista Tempo. Dopo alcuni libri anticipatori della letteratura contemporanea e chiusa la parentesi della lotta clandestina al regime, la produzione letteraria del Bernari riprenderà prolifica nel dopoguerra con Speranzella 1949, romanzo neorealista che vincerà nel 1950 il Premio Viareggio.
Coi successivi romanzi “Era l’anno del sole quieto” (1964), “Tanto la rivoluzione non scoppierà” (1974), “Il giorno degli assassinii” (1981), Bernari affronterà temi scottanti sempre in forte e visionario anticipo sui tempi: la questione meridionale viene vista in tutta la sua inestricabilitá nel romanzo del 1964 “Era l’anno del sole quieto” proprio mentre veniva inaugurata la Cassa del Mezzogiorno. E mentre il PCI di Berlinguer trionfava alle elezioni politiche, Bernari vedeva il tramonto dell’ideale rivoluzionario attraverso la storia di un intellettuale comunista che, in “Tanto la rivoluzione non scoppierà”, si trasforma in una sorta di clown per movimentare le cene dei “comendatur” milanesi. La stagione del terrorismo è alle porte e con “Il giorno degli assassinii” del 1980, romanzo che scatena un putiferio perché partendo dal caso del Mostro di Napoli, un triplice omicidio negli ambienti della Napoli-bene della metà degli anni settanta, contribuisce alla assoluzione del presunto colpevole Domenico Zarrelli.
Chiesa di San Pietro a Maiella

La Chiesa di San Pietro a Maiella, costruita per volere del cavaliere Giovanni Pipino di Barletta nei primi anni del Trecento, è dedicata a Pietro da Morrone, eremita sulla Maiella
La Chiesa di San Pietro a Maiella, costruita per volere del cavaliere Giovanni Pipino di Barletta nei primi anni del Trecento, è dedicata a Pietro da Morrone, eremita sulla Maiella, diventato papa, nel 1313, con il nome di Celestino V.
La chiesa, nel corso degli anni, ha subito molti cambiamenti: spostamento in avanti della facciata, aggiunta di due cappelle per lato, adattamento ai nuovi canoni estetici del barocco, rialzamento della zona absidale, ripristino della decorazione originaria.
Sul lato sinistro, è possibile ammirare il campanile trecentesco, terminante con una cuspide.
L’interno della Chiesa di San Pietro a Maiella è a tre navate con transetto
L’interno della Chiesa di San Pietro a Maiella è a tre navate con transetto. Molto bello è il soffitto cassettonato intagliato e dorato, nel quale sono inserite le tele di Mattia Preti, raffiguranti Episodi della vita di Celestino V nella navata e, invece, nel transetto, scene di Santa Caterina d’Alessandria.
Merita attenzione anche l’altare maggiore, disegnato da Cosimo Fanzago e il pavimento maiolicato della prima cappella, situato a sinistra del presbiterio. Della decorazione trecentesca si conservano due cicli e un pannello con l’immagine della Madonna del Soccorso.
Chiesa di San Pietro a Maiella ed il convento oggi sede del Conservatorio
Annesso alla chiesa c’ è il convento, che dal 1826 è sede del Conservatorio di Musica di San Pietro a Maiella, che ha avuto come allievi celebri compositori e musicisti. I chiostri sono due: il primo, risalente al 1660 circa, immette, attraverso un corridoio sulla destra al secondo chiostro. Quest’ultimo conduce alla biblioteca e al museo del conservatorio di San Pietro a Maiella. La biblioteca custodisce manoscritti rari, un fondo di manoscritti con autografi risalenti ai secoli XVII e XVIII, autografi prevalentemente di musicisti della scuola napoletana, alcuni incunaboli, una raccolta di libretti d’opera ed edizioni musicali risalenti ai secoli XVI e XVII. Il museo conserva ritratti di musicisti, strumenti antichi, il pianoforte su cui Giuseppe Martucci componeva, un calamaio appartenuto a Domenico Scarlatti e un leggio su cui Gioacchino Rossini compose il melodramma Semiramide.
Museo Civico Gaetano Filangieri
Il Palazzo Como, sito in via Duomo, ospita il Museo civico Gaetano Filangieri, inaugurato nel 1888. Una buona parte della collezione di opere donate alla città da Gaetano Filangieri, principe di Satriano, è distrutta nell’incendio appiccato dai Tedeschi nel deposito di San Paolo Belsito. Nel 1948, il Museo civico Gaetano Filangieri, riallestito con le collezioni rimaste e le donazioni, è stato riaperto al pubblico. Il pianterreno con le sue due sale accoglie armi, costumi, porcellane, dipinti, sculture. Al piano superiore, detta Sala Agata è presente un pavimento maiolicato, dipinti di Luca Giordano, Mattia Preti, Francois Boucher, Angelika Kauffmann, Jusepe de Ribera e Bernardini Luini solo per citarne alcuni. Il museo ospita una raccolta di oggetti d’arte applicata, maioliche, porcellane. Dal ballatoio si accede alla biblioteca, che conserva 15.000 volumi, una ricca collezione di monete di varie epoche, pergamene e manoscritti.
Museo del Corallo Ascione

La Galleria Umberto I, uno dei luoghi simboli di Napoli, ospita il museo del corallo Ascione, legato alla famiglia Ascione. Il museo del corallo ripercorre la storia della ditta Ascione attraverso l’esposizione di documenti e di creazioni dall’Ottocento al contemporaneo. La ditta Ascione è la più antica manifattura di Torre del Greco nel campo della lavorazione del corallo, del cammeo, delle pietre dure e dei metalli preziosi. Nel 1815 la liberalizzazione del monopolio della fabbrica reale spinge Giovanni Ascione a dedicarsi alla manifattura del corallo. Egli insieme ai suoi dieci figli riescono a far conoscere il marchio Ascione e ad ottenere riconoscimenti per la bravura e la raffinatezza delle creazioni, diventando fornitori ufficiali della famiglia reale che gli conferisce il privilegio di fregiare il marchio con le insegne di casa Savoia. Il percorso espositivo si snoda attraverso due sezioni: nella prima, di tipo didattico, si comprendono la provenienza e le diverse tipologie del corallo, gli antichi utensili utilizzati per la lavorazione, gli antichi sistemi di pesca, i mercati ai quali erano e sono destinati e il modo di lavorare il corallo. Uno spazio è dedicato anche alla lavorazione del cammeo, agli strumenti usati e alla lavorazione per avere una visione completa della glittica su conchiglia. La seconda è dedicata alla gioielleria: oggetti in corallo, cammei, pietra lavica e testimonianze di raffinata produzione che va dagli inizi del XIX secolo agli anni ’40 del secolo scorso. Lungo il percorso è possibile ammirare una documentazione cartacea e fotografica che documenta l’attività dell’azienda e i riconoscimenti per l’originalità e la qualità delle sue creazioni.
Complesso monumentale di San Giovanni a Carbonara

Il complesso monumentale di San Giovanni a Carbonara, formato da più chiese, prende il nome dal luogo in cui sorge, un tempo zona destinata a raccogliere i rifiuti e collocata fuori dalle mura angioine. Fu costruito dagli agostiniani su un suolo donato da Gualtiero Galeota per edificare un luogo di culto dedicato al Battista. Accanto allo scalone di accesso si trova la chiesa di Santa Maria della Pietà, eretta per consacrare il luogo teatro di tornei e duelli. Ai piedi della scalinata a tenaglia con doppia rampa, eseguita dall’architetto Ferdinando Sanfelice in seguito al terremoto del 1688, si accede alla chiesa della Consolazione, oggi parrocchia di Santa Sofia, decorata da stucchi. Sulla destra c’è l’ingresso all’antica farmacia, oggi sede della canonica. La Chiesa di San Giovanni a Carbonara si apre al centro del sagrato, ma l’ingresso è laterale. L’interno della Chiesa di San Giovanni a Carbonara è a navata unica con copertura a capriate e abside a crociera con cappelle laterali, aggiunte successivamente. La Chiesa conserva il Monumento funebre di Ladislao di Durazzo, attribuito ad Andrea da Firenze. Alla base del monumento ci sono quattro Virtù, che reggono il secondo ordine dove, sotto un arco a tutto sesto, sono seduti Ladislao e la sorella Giovanna, figli del re Carlo III mentre ai lati, sotto archi trilobati, si trovano altre Virtù sedute. Nella parte superiore è collocata la cella con il sarcofago che termina con la statua equestre di Ladislao. All’interno della chiesa, si trovano la Cappella Miroballo, Recco, Caracciolo di Vico e Caracciolo del Sole. Vi hanno lavorato artisti come Tommaso Malvito, Leonardo da Besozzo, Girolamo Santacroce, Giovanni Domenico d’Auria e gli spagnoli Diego De Siloe e Bartolomé Ordonez. Sul sagrato della chiesa, si trova a destra la Cappella Seripando, che custodisce la Crocifissione di Giorgio Vasari e il Monumento funebre di Antonio Seripando.
MADRE Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina

Palazzo Donnaregina ospita il MADRE Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina. Il palazzo deve il suo nome al Monastero di Santa Maria Donnaregina, fondato dagli Svevi e successivamente ingrandito e ricostruito dalla regina Maria d’Ungheria, moglie di Carlo II d’Angiò. Dell’antico monastero resta l’omonima chiesa, che dà su piazza Donnaregina, e la chiesa trecentesca di Donnaregina “vecchia”. Il MADRE si trova, quindi, nel cuore pulsante del centro antico della città partenopea e a pochi passi dal Duomo, dal Museo del Tesoro di San Gennaro e dal Museo Archeologico. Il museo riqualifica e recupera un’area ricca di storia, cultura e tradizione. L’architetto portoghese Alvaro Siza Vieria ha restaurato l’antico palazzo in uno spazio funzionale per accogliere un museo destinato all’arte contemporanea. Il MADRE, su una superficie di 7.200 mq, accoglie una parte espositiva, un auditorium, una libreria, laboratori didattici, una biblioteca e una caffetteria. Il museo, inaugurato il 10 giugno 2005, si articola su tre piani, portando il visitatore alla scoperta sia delle opere di artisti come Lewitt, Koons, Paladino, Kounellis, Clemente, Long, Serra, Horn e Paolini sia dei linguaggi artistici dalla fine degli anni Cinquanta all’inizio degli anni Novanta. Il terzo piano, ospita le esposizioni temporanee.
Cu’mme
Cu’mme e è un invito di lui a lasciarsi andare e la risposta di lei che mostra quanto questo sia difficile e faccia soffrire. E’ il 1991 quando Enzo Gragnaniello, scrive un pezzo di storia della nostra musica sia italiana che dialettale dal titolo Cu ‘mme. Il testo della canzone, infatti, è scritto in napoletano ma rompe subito ogni barriera geografica per la sua grande forza e per la passione espressa nel cantarla da due grandi artisti della musica italiana a cui, Gragnaniello, ha deciso di consegnare il brano. Roberto Murolo e Mia Martini sono, infatti, i primi a cantare questa canzone facendone un capolavoro assoluto della cultura popolare italiana e la incidono da soli nel 1992 inserendola nell’album “Ottantavogliadicantare” con il quale il maestro Murolo festeggia i suoi ottant’anni. Successivamente, vista la forza della canzone, Gragnaniello si aggiunge ai due formando un trio d’eccezione che confeziona forse la versione migliore di questo brano per l’album
comme se fa’
adda piglia’ sultanto
o mare ca ce sta’
eppoi lassa’ stu core
sulo in miezz a via
Castel Capuano
Castel Capuano, detto anche La Vicaria, chiude la lunga via dei Tribunali. Il castello, fondato nella seconda metà del XII secolo da Guglielmo I, fu ampliato da Federico II di Svevia e fortificato da Carlo I. Nel 1535 dimorò Carlo V, che donò il castello a Filippo di Lannoy principe di Sulmona, suo cavaliere, il quale apportò alcune modifiche. Nel 1540, il vicerè Pedro de Toledo riunì tutti i tribunali in un’unica sede, trasformando Castel Capuano in palazzo di Giustizia. I progetti di trasformazione furono affidati agli architetti Ferdinando Manlio e Giovanni Benincasa. Nel corso degli anni sono avvenuti altre opere di trasformazione.
Castel Capuano è, dopo il Castel dell’Ovo, il più antico castello di Napoli. Di origine normanna, è situato allo sbocco dell’attuale via dei Tribunali ed è sede della sezione civile del tribunale di Napoli. Deve il suo nome al fatto di essere ubicato a ridosso di Porta Capuana, che si apre sulla strada che conduceva all’antica Capua.
Sul portale d’ingresso di Castel Capuano campeggia una lapide che celebra la vittoria di Carlo V a Tunisi e la data in cui il castello divenne sede della Corte di Giustizia. Il portale è poi sormontato da una grande aquila bicipite, stemma della casa reale di Spagna, opera del Sangallo, e da colonne d’Ercole binate col motto Plus ultra. A un livello superiore domina lo stemma dei Savoia, affisso dopo l’Unità d’Italia in sostituzione di quello dei Borbone. L’orologio della facciata risale invece al 1858.
Chiesa San Francesco di Paola

La monumentale Chiesa San Francesco di Paola o Basilica Reale Pontificia San Francesco di Paola, collocata al centro dell’emiciclo di Piazza del Plebiscito, è costruita, sul modello del Pantheon, da Ferdinando I come voto per la riconquista del regno. Pietro Bianchi inizia la costruzione nel 1817. La facciata è preceduta da un pronao formato da sei colonne e due pilastri di ordine ionico, che reggono un architrave. Il pronao è sormontato da un timpano classicheggiante ai cui vertici sono collocate le statue raffiguranti la Religione, tra San Francesco di Paola, a sinistra, e San Ferdinando, a destra. La chiesa è sormontata da tre cupole: quella centrale, alta 53 metri, è stata costruita su un alto e ampio tamburo. L’interno della Chiesa San Francesco di Paola presenta due cappelle ai lati dell’atrio e al centro la rotonda, dal diametro di 34 m, coperta da una cupola, alta 53 metri, sorretta da colonne corinzie in marmo di Mondragone, alternate da pilastri.
Il colonnato della Basilica di San Francesco di Paola, fa la sua apparizione in capolavori del cinema come L’oro di Napoli, Il giudizio universale, Le quattro giornate di Napoli e Lo spazio bianco. Nel film L’oro di Napoli la basilica ospita il matrimonio di Teresa, interpretata da Silvana Mangano, una prostituta che vive in una casa di tolleranza in condizioni modeste.