domenica 14 Dicembre 2025
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‘A Puteca De’ Suonne Perdute

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“A puteca de’ suonne perdute” ha iniziato il suo percorso in scena al Tram di via Port’Alba a Napoli pochi giorni prima del Natale. Dal 6 gennaio torna sul palco fino al 9 gennaio 2022.

Miti e leggende napoletane rivisti attraverso una narrazione contemporanea che non li snatura ma anzi, li esalta in una voce corale fatta di magia e atmosfera fiabesca. Dal Munaciello al Principe di Sansevero ispirandosi a grandi testi come quelli di Benedetto Croce e Matilde Serao. Il regista Diego Sommaripa ha immaginato un viaggio suggestivo tra le leggende, le storie, i racconti di Napoli. Un cast ricchissimo – con molte sorprese – dà vita a uno spettacolo intrigante, ricco di musiche e momenti divertenti.

I protagonisti della tradizione prendono vita e forma per uno spettacolo che è tutto da scoprire, da ridere, da sognare.

Sogni perduti nel tempo. Storie dimenticate, da ritrovare e riportare in vita attraverso stratagemmi narrativi che sanno mediare tra tradizione e contemporaneità. Il palcoscenico della sala di via Port’Alba si trasforma in una bottega d’artigianato, dove si restaurano oggetti vecchi, a volte abbandonati, a volte preziosi. Ma nel processo di restauro qualcosa si perde. Non è l’originale che torna in vita, ma qualcosa di nuovo, un po’ antico e un po’ moderno. Ed è ciò che accade in scena: personaggi come il Principe di Sansevero, Colapesce, Maria la Rossa (la strega di Portalba), il Munaciello e altri ancora emergono dal passato di Napoli e diventano creature del presente. I protagonisti della tradizione prendono vita e forma come in un circo, come nella vita, per uno spettacolo che è tutto da scoprire, da ridere, da sognare.

Diego Sommaripa «‘A Puteca De’ Suonne Perdute” è un lavoro che nasce dall’esigenza di comunicare le difficoltà di “attività“ per una piccola realtà teatrale ».

Il testo nel suo fulcro è volutamente ricco di metafore. Una bottega di artigianato, è un teatro e i suoi tre Artigiani, con diverse mansioni e differenti caratteri, sono autori all’opera sul testo stesso che andranno a interpretare. Il legame che lega questa personale necessità comunicativa e le leggende napoletane viene affidato a un bambino, che introduce nel luogo sacro del teatro (la bottega) un dispositivo elettronico da far riparare. Il Teatro, si sa, è un luogo magico ed è proprio tramite la magia, vista con gli occhi di un bambino, che ci troviamo catapultati nello spettacolo in costruzione».

In questo contenitore lo spettatore potrà rivivere, attraverso licenze poetiche, falsi storici e adattamenti romanzati, miti e leggende della tradizione della nostra Terra. Maria La Rossa la strega di Portalba, Il Principe di Sansevero, La Leggenda di Colapesce, Il Munaciello e La Regina Giovanna, fino ad arrivare a un epilogo che porterà il pubblico in una sospensione tra il sogno e la realtà.

I presepi contemporanei di Del Pezzo e Pirozzi esposti al Museo del Novecento a Napoli

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Riapre al pubblico il Museo del Novecento a Castel Sant’Elmo con l’esposizione di due presepi di artisti contemporanei. L’esposizione sottolinea l’importanza dell’arte presepiale già espressa con l’importante sezione presepiale alla Certosa e Museo di San Martino

In occasione della 17° Giornata del Contemporaneo, promossa ogni anno da AMACI – Associazione Musei d’Arte Contemporanea Italiani, ha riaperto al pubblico il Museo Novecento a Napoli sulla piazza d’armi di Castel Sant’Elmo. La riapertura del Museo del Novecento è stata anche l’occasione per inaugurare due presepi d’artista: Il Presepe geometrico di Lucio Del Pezzo, del 2013, e Il Presepe dono di Giuseppe Pirozzi del 2012.

I due presepi contemporanei fanno parte della collezione del Museo Internazionale del Presepio “Vanni Scheiwiller” . Il museo Scheiwiller allestito nel rione medievale Manca di Castronuovo Sant’Andrea (PZ), accoglie più di 250 presepi di tutto il mondo. Tutti i presepi della collezione sono legati alla tradizione artigianale dal XVII al XXI secolo, e 50 presepi eseguiti dal 1995 a oggi da noti artisti contemporanei. Tra i presepi degli artisti contemporanei troviamo anche i presepi di Lucio Del Pezzo, purtroppo scomparso nel 2020, e Giuseppe Pirozzi.

L’esposizione dei due presepi all’interno del Museo del Novecento sottolinea ancora una volta l’importanza dell’arte presepiale a Napoli, estendendo l’attenzione dai presepi classici già espressa con la vasta sezione dedicata al presepe nella Certosa e Museo di San Martino, a pochi passi da Castel Sant’Elmo.

L’iniziativa, condivisa con Giuseppe Appella, che ha ideato e promosso la realizzazione dei presepi contemporanei, si inserisce nel più ampio progetto che porta ogni anno i diversi presepi d’artista in basiliche e luoghi della cultura. Un itinerario, partito dal piccolo centro della Lucania interna, che ha toccato, nel corso degli anni, tutta Italia. Nel 2021 ha scelto come tappa anche il Museo Novecento a Napoli, che espone già opere dei due artisti napoletani e che, fin dalla sua nascita, si connota come museo in progress, rivolto non solo all’acquisizione di nuove opere d’arte e all’ampliamento dei suoi confini cronologici e tematici, ma anche a un confronto continuo con la storia del Novecento e con l’ampio e variegato panorama delle esperienze creative contemporanee.

Il Museo Novecento a Napoli dal 2010 raccoglie, espone e illustra, in un serrato percorso culturale, le opere e gli avvenimenti storico-artistici di Napoli in relazione con i movimenti e le poetiche di riferimento nazionale, in un punto simbolico della città, Castel Sant’Elmo, la cui vocazione al contemporaneo nasce nel 2003, anno dal quale entra a far parte dei musei associati AMACI.
Dal 2011 il rapporto con il contemporaneo si consolida anche grazie al concorso Un’Opera per il Castello, che trasforma il Castello in uno spazio di espressione per le giovani generazioni di artisti ma anche di riconoscimento per il pubblico e la critica, attraverso esperienze innovative e coinvolgenti per i visitatori.

La tradizione dell’arte presepiale napoletana raccolta alla Certosa di San Martino

Il Museo Nazionale di San Martino costituisce la principale raccolta pubblica italiana dedicata al ‘presepe napoletano’, tipica produzione che ha raggiunto i più alti vertici di qualità tra Sette e Ottocento. Attualmente posizionata dove un tempo c’erano le cucine dell’antica Certosa, la sezione presepiale ruota intorno al grandioso presepe Cuciniello.

L’imponente presepe prende nome da Michele Cuciniello che donò allo Stato la sua raccolta di circa ottocento tra ‘pastori’, animali e accessori, e che volle personalmente seguire la messa in scena ed il montaggio dell’intero presepe, inaugurato nel 1879.

Molto importante è anche il presepe Ricciardi, con un magnifico corteo di Orientali. Eccezionale è poi il lascito dell’avvocato Pasquale Perrone che nel 1971 affidò al Museo di San Martino la sua raccolta di ben 956 oggetti di grandissima qualità, taluni montati e tuttora racchiusi nelle caratteristiche vetrine, dette “scarabattoli” con le scene tipiche della Natività, dell’Osteria e dell’Annuncio ai Pastori.

A completamento della Sezione, recentemente sono stati inserite negli stessi ambienti le testimonianze di figure presepiali precedenti alla più nota produzione settecentesca, che mostrano l’evolversi nel tempo dell’arte di “fare il presepe”, con pezzi unici come la trecentesca Vergine puerpera in legno o le figure superstiti del grandioso presepe già nella Chiesa di San Giovanni a Carbonara, opera quattrocentesca degli scultori Pietro e Giovanni Alamanno.

Il presepe “dono” di Giuseppe Pirozzi

Nel Presepe dono di Giuseppe Pirozzi (Napoli 1934), 36 formelle, tutte di cm 33×33, dispiegate sul tondo simile a una volta celeste rovesciata, con al centro, librate verso l’alto, le braccia aperte del Bambino, il volto estatico della Madonna e quello adorante di Giuseppe, apparecchiano doni, simboli, perle di saggezza, annunci, preghiere, inviti: Non temete, oggi nella città è nato il vostro Salvatore.

Quattro cartigli come attributo degli evangelisti, tre uccellini che becchettano, quasi si apprestassero a saltare nelle mani del Bambino o dovessero essere tenuti per una funicella, una stella caduta dalla corona della Madonna per indicare la via verso Betlemme, una pagnotta che restituisce il corpo del pargoletto sprofondato nella culla e il sacrificio che verrà, tre uova ad annunciare il principio creativo e la rinascita, sette libri aperti e chiusi a personificare le virtù e le Sacre Scritture, due melegrane a trasmettere la rigenerazione della terra dopo il ritorno alla vita, un melone, una pigna, una verza ad esprimere la fertilità, vasi, orci, anfore e brocche per mirra, unguenti, olio santo, manna e vino, cinque pesci a rivelare che saremo chiamati al battesimo (le lettere della parola greca che significava “pesce” non costituivano le iniziali dell’espressione “Gesù/Cristo/di Dio/il Figlio/Salvatore”?), le rovine dei templi smantellati per costruire una Nuova Gerusalemme, la navicella che conserva l’incenso per le quotidiane preghiere da far salire al cielo e, accanto, due barrette d’oro, la conchiglia come distintivo dell’artista pellegrino che affronta il mare per sciogliere un dubbio (le cose non sono come sembrano) e da uomo di buona volontà trova la pace nella gloria di Dio.

Pirozzi ha sintetizzato nel suo presepe secoli di iconografia e lunghe meditazioni, sottraendosi al brulicante coacervo del Presepe Cuciniello, cui ogni buon napoletano è costretto a fare riferimento, senza minimamente sacrificare, sul piano del linguaggio formale, i valori della rappresentazione. L’unico spettatore è lui, presente con la sua ombra ogni volta che ruota attorno al cerchio quasi dovesse offrire quanto ha modellato, anche i doni dei re Magi. 

In una veduta d’insieme, i dettagli narrativi, giustapposti come nel presepe napoletano, sono intercambiabili. Gli oggetti si posizionano per sostenere ed esaltare la triade che dall’alto socchiude gli occhi sulle nostre angosce quotidiane.
Nel silenzio, in un angolo, la colomba becchetta sulla creta la parola Speranza.

Il Presepe “geometrico” di Lucio Del Pezzo

Fra i tanti viaggi interiori compiuti da Lucio del Pezzo (Napoli 1933 – Milano 2020) per fermare in immagini, tra frammenti di spazio e cieli stellati, le diecimila cose del mondo raccolte nelle stanze della memoria, mancava un presepe che si addentrasse in un territorio di sua pertinenza e restituisse il sapore del Natale e le indimenticabili emozioni della sua infanzia. Sollecitato a farlo, prima l’ha disegnato, poi lo ha tradotto in ceramica, quindi in legno.

Intanto, non ha sostituito Napoli a Betlemme, non ha scavato nei magazzini di via San Gregorio Armeno e neppure si è fatto condizionare dalle icone del nostro secolo, da una sorta di fusione dada-pop dove popolare è inteso tutto in senso meridionale, tra manichini grotteschi e tavole del ricordo, non ha rinunciato al rito dell’analisi e del rigore, perciò ha tracciato linee e costruito forme all’insegna della geometria, prima di fare ha progettato per vedere, trasferendo nel taglio del legno, e nel colore depositatovi, tutto l’esercizio linguistico messo in atto nel corso di mezzo secolo.

Soprattutto: non ha perduto il gusto di un costante interrogarsi e interrogare i segni della realtà, di analizzare i simboli del grande mistero nello spazio fantastico, arcano ed enigmatico del presepe che racchiude, nei suoi ritmi segreti, la Famiglia dalla quale ripartire per uscire dal labirinto e ritrovare, guidati da ordine, misura, numero e chiarezza, l’abbecedario dei sentimenti perduti.

Il presepe è, dunque, il momento conclusivo di una storia di uomini, il racconto vissuto di una preparazione alla festa, il culmine di una rappresentazione che, sottratta a ogni complessità barocca, allo spirito satirico o al pittoresco del presepe napoletano, e affidata a suggestive relazioni geometriche (congruenze, angoli, segmenti, triangoli, rette parallele e perpendicolari, circonferenze, equivalenze e similitudini), raccoglie, in 10 personaggi, un’immagine dell’universo nella sua interezza e la grotta non costruita in cui, con stupore metafisico, è possibile ritrovare la nostalgia dell’antico, esaltare il sogno, ripercorrere il prodigio di una grande apparizione.

Maria in preghiera, Giuseppe inginocchiato, Gesù Bambino con le braccia spalancate, inseriti nella quinta scenografica del bue e dell’asino, evidenziano un gesto di intercessione, di adorazione e di attesa, i Re Magi vestiti come sacerdoti del mondo conosciuto nel tardo Medioevo (Europa, Africa e Asia) celebrano il rito dell’offerta portando al centro del petto gli scrigni che contengono i loro doni (omaggio alla regalità di Cristo, alla sua divinità e all’anticipazione della sua morte), i due pastori con i flauti ricavati da una canna cava e resi terminali della bocca, affidandosi a una consuetudine diffusa soprattutto nel Sud, allietano la Sacra Famiglia con la musica.

Cafè Chantant Crazy Edition

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Cafè Chantant Crazy Edition

Al Teatro Sannazzaro Lara Sansone con Il Balletto e l’Orchestra del Cafè Chantant. Una tradizione che si rinnova da anni

Cafè chantant di e con Lara Sansone torna al Teatro Sannazaro dal 17 al 30 dicembre 2021. Con Lara Sansone sul palco troviamo Corrado Ardone, Massimo Peluso, Mario Aterrano, Mario Andrisani, Francesco D’Alena, Luca Sorrento e con Il Balletto e l’Orchestra del Cafè Chantant.

La difficile situazione che stiamo attraversando – dichiara Lara Sansone – impone a noi artisti di creare momenti di evasione e divertimento per il pubblico. Il nostro spettacolo ideato per le feste di Natale, contiene musica, danza, canto e recitazione. Tutte queste arti sono fuse in un equilibrio armonico che da sempre invita gli spettatori al divertimento di qualità.

I numeri che compongono lo spettacolo sono orchestrati in modo tale da fare trascorrere due ore in spensieratezza. Il cafè chantant è una tradizione che si rinnova da diversi anni nel nostro teatro, che per l’occasione si trasforma. Abbiamo voluto fortemente che anche in questa stagione fosse presente. Nonostante tutto noi ci siamo e siamo pronti ad offrire uno show pieno di colori, musica, paillettes, divertimento, danza e tante sorprese.

Cafè chantant un successo che dura da ventisei anni

La formula dello spettacolo, ideata ventisei anni fa, da Lara Sansone, si conferma vincente; questo lavoro è apprezzato dal pubblico che edizione dopo edizione, mostra di gradire questo show in cui si fondono con sapiente equilibrio musica, teatro e ballo.
Lo spettacolo è concepito per regalare anche a Napoli un lavoro che possa restare in scena a lungo come succede in alcune capitali europee con il fado o il flamenco o con i musical americani.

Una successione imprevedibile e mai uguale. Una performance di teatro, musica, danza e cabaret che avvolge una platea fatta non più di belle poltrone messe in ordinata fila, ma di tavoli! Il pubblico viene coinvolto in una incredibile macchina teatrale totale.
Mitico tempio del varietà napoletano che ha cavalcato la storia fino ad arrivare ai nostri giorni, ammantandosi di un’aneddotica ai limiti del favolistico, il Cafè Chantant non è solo una grande festa spettacolo.

Il Cafè Chantant è un “modo” di fare teatro, di giocare con gli stereotipi, con le citazioni, con le dissacrazioni, con i ricordi.
Un’antica tradizione rinnovata ogni anno in forme sempre diverse e al passo con i tempi così come si preannuncia anche l’edizione di quest’anno. Perché l’originario Café Chantant della Belle Époque, simbolo della vita spensierata, non parlava mai al passato, ma sempre al presente e al futuro.

Lara Sansone

Calendario delle repliche

Venerdì 17 dicembre 2021 alle ore 21.
Sabato18 dicembre 2021 alle ore 21.
Domenica19 dicembre 2021 alle ore 18.

Martedì 21 dicembre 2021 alle ore 21.
Mercoledì 22 dicembre 2021 alle ore 21.

Domenica 26 dicembre 2021 alle ore 18.

Martedì 28 dicembre 2021 alle ore 21.
Mercoledì 29 dicembre 2021 alle ore 21.
Giovedì 30 dicembre 2021 alle ore 21.

Tam Tam Digifest XVI edizione. La rassegna di cinema di Giulio Garcia

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Terminerà l’11 dicembre la XVI edizione del Tam Tam Digifest, la rassegna di cinema che indaga il ruolo del digitale. Il tema di quest’anno è la rete con “THE ALTER NET- riprendiamoci la Rete”

Il tema di questa edizione è THE ALTER NET- riprendiamoci la Rete. Fake news, dark web, troll, esecuzioni on line, crackers e black hat, blue whale, furto di dati sensibili, truffe con bitcoin. Tutti i fenomeni di cronaca più inquietanti degli ultimi anni pare nascano e si alimentino in Rete.

Il cinema sta raccontando tutto questo, in varie forme. In questa rassegna non daremo solo conto delle deviazioni pericolose della Rete degli ultimi 20 anni ma cercheremo anche idee su come correggerle. In questa sessione napoletana proietteremo 5 film.
Il film che ha aperto la rassegna quest’anno è stato “Disconnect”, un film del 2012 diretto da Henry Alex Rubin.
Un solo film, tre differenti storie che hanno in comune l’argomento tecnologico. Altro elemento che li unisce: in tutti e tre i casi vengono messi in evidenza gli elementi più preoccupanti del web, quasi come se ci trovassimo dentro a tre episodi della serie tv “Black Mirror”. In “Disconnect” si parla di cyberbullismo, di truffe online e di cybersesso minorile. Argomenti molto delicati, affrontati dalle pellicola in maniera efficace e cercando di spingere lo spettatore a riflettere sui pericoli della rete.

Il 5 dicembre al Coffee Brecht di Napoli sarà proiettato il quarto film della rassegna.

Si tratta di una novità di questa stagione. Un lavoro ancora non uscito nelle sale, “La scelta giusta” di Andrea D’Emilio, opera prima premiata al Reggio Calabria FilmFest, un thriller psicologico con tratti noir.

Luca è un giovane imprenditore, direttore dell’azienda AlterEgo che si occupa di protezione reti e realtà aumentata. Una grossa multinazionale, la Real Tech, a cui sta rubando fette di mercato, si interessa alla AlterEgo e fa un’offerta per comprarla. Luca rifiuta, e la Real Tech comincia a fare pressioni sempre più insistenti. Minacciato dalla Real Tech, da attacchi informatici, e misteriosi incidenti, Luca incontra il suo “doppelgänger”, Flavio, più abile, più coraggioso, e più determinato di lui. Flavio lo aiuta ma al tempo stesso lo trascina verso un abisso di alcool e droga.


Il Festival è realizzato dalla cooperativa Tam Tam in collaborazione con: Compagnia della Città e associazione Ali della Mente, Compagnia del Giullare, Coffee Brecht, Associazione Articolo 21, Associazione Gea, associazione Pupille e Papille. Con il contributo dell’assessorato Turismo e Spettacolo della regione Campania

tam tam digifest - the alternet Riprendiamoci la rete

Farsescamente. Tre farse a cavallo tra XIX e XX secolo

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Sorridere spensierati per ritrovare la forza di affrontare la realtà. Serve anche a questo il teatro e lo sa bene Gianmarco Cesario che porta in scena al Nuovo Sancarluccio di Napoli “Farsescamente”

Farsescamente, come raccontare la vita attraverso la risata. È questa la grande missione di un genere antico quanto il teatro, l’altra faccia della tragedia, che affrontava i grandi temi con l’utilizzo del mito. La farsa, invece, usa il paradosso per mostrarci l’uomo, le sue meschinità, i suoi drammi quotidiani. Drammi che non possono non indurci ad un sorriso grazie al quale arriviamo alla maggiore conoscenza di noi stessi.

Tre farse scritte a cavallo tra XIX e XX secolo da tre autori di differente linguaggio e cultura, ma accomunati dalla straordinaria visione comica. “Una domanda di matrimonio” di Anton Cechov, autore così esplicito nel suo voler indugiare sull’aspetto ridicolo del teatrino umano. Sempre in bilico tra riso e pianto.

“A’ scampagnata de’ tre disperate” di Antonio Petito, che al Sancarlino ha divertito con le sue farse e parodie proprio in contrapposizione con il cosiddetto “teatro serio” in scena al “Teatro Fondo”.

“Il cavaliere delle dame” di Eugene Labiche, uno dei padri della pochade francese. Labiche ci ha lasciato un patrimonio di ritratti e situazioni che, con sagacia, raccontano i tic del mondo moderno. Noi li abbiamo reinterpretati a favore di un pubblico che, un secolo dopo, è ancora disposto a ridere di sé stesso.

Sul palco del Teatro Nuovo Sancarluccio di Napoli, dal 10 al 11 dicembre, diretti da Gianmarco Cesario, con l’aiuto di Gianluca Masone, ci saranno Angela Rosa D’Auria, Ciro Scherma, Giuseppe Fedele, Leonardo Di Costanzo. Particolare la maschera di Pulcinella è realizzata dal Maestro Gennaro Patrone.

I corti della formica XVI edizione

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La rassegna di corti teatrali ideata e diretta da Gianmarco Cesario è alla sua sedicesima edizione. Dal 2 al 4 dicembre sedici spettacoli inscena al Teatro Cortese.

I corti della formica tornano dopo appena sei mesi dalla quindicesima, con la sedicesima edizione di questa rassegna. L’anno pandemico come per molti, anche per questa rassegna, ha congelato lo scorrere normale del tempo così ci troviamo ad avere in un solo anno, a pochi mesi l’una dall’altra due edizioni quella del 2020 e quella del 2021. La XVI edizione de I corti della formica rappresenta, per Gianmarco Cesario ideatore e direttore artistico della rassegna, un momento di riflessione su quanto in questi anni si sia prodotto.

Tanti i nomi che sono emersi anche grazie al palco che la rassegna ha offerto alle centinaia di autori, autrici, registi, attori ed attrici, che ora appartengono alla realtà teatrale nazionale. Nomi che oggi sono vincitori di premi prestigiosi e partecipanti ai cartelloni dei principali teatri italiani, e che abbiamo avuto il privilegio di essere i primi a scoprire.

Gianmarco Cesario: ” Sono cinque anni che assumo sulle mie spalle il peso, a volte leggero, altre gravoso, di questo festival, che sono riuscito a far sopravvivere, almeno finora, anche allo tsunami pandemico”

Spiega Gianmarco Cesario – “Non è vanagloria, da parte mia che circa venti anni fa decise di lanciarsi in questa avventura e che ebbe la possibilità di realizzarla grazie innanzitutto alla collaborazione di Manuela Schiano Lomoriello ed il suo Teatro a Vapore, e dei suoi amici-collaboratori, Claudio Finelli, Luciano Correale e Roberta D’Agostino, approdati poi ognuno a progetti personali e relativi successi. Sono cinque anni che assumo sulle mie spalle il peso, a volte leggero, altre gravoso, di questo festival, che sono riuscito a far sopravvivere, almeno finora, anche allo tsunami pandemico.” – Continua sempre Gianmarco – “Non è vanagloria, dicevo, ma semplicemente una ricerca di motivazioni a non mollare, che in questo momento mi sono davvero difficili da trovare, per non dire impossibili, se ci si confronta con quella politica teatrale, che non riconosce nulla ad iniziative come la nostra. Resta comunque, anche per questa edizione, l’aver raccolto tante occasioni di collaborazione da chi ha dato fiducia alla manifestazione, a partire dalle 12 compagnie in concorso, ad Anna Sciotti e la gestione del Teatro Cortese che ci ospita per la seconda volta, a Beatrice Baino con Le Streghe del Palco ed I Mestieri del Palco, a Clelia Le Bouf per il progetto artistico, alle dieci scuole di teatro che hanno dato la possibilità ai loro allievi di partecipare alla giuria, e per finire, ai professionisti che hanno seguito e seguiranno l’aspetto tecnico.”

Appuntamento al 2, 3 e 4 dicembre al Teatro Cortese

Non ci resta che attendere l’appuntamento per il 2, 3 e 4 dicembre per vedere i corti teatrali di questa edizione e, chissà magari scorgere un futuro Mastroianni o magari un futuro Martone. In caso contrario non ci resta che sperare che la prossima edizione, la diciassettesima. Ricordiamo anche che dal prossimo mese d’aprile, riparte lo spin-off cinematografico dal titolo “LO SCHERMO DELLA FORMICA” che nasce grazie alla collaborazione con Salvatore Sannino e con il Cinema Teatro De Rosa di Frattamaggiore, che ospiterà la manifestazione di corti cinematografici.

Quest’anno la giuria della manifestazione è composta da 11 allievi provenienti da 8 scuole di teatro attive nel territorio di Napoli e provincia, tra cui Bellini Teatro Factory; Elaboratorio Teatro Elicantropo; Giuliart; Global Eventi; Mind the Gap; Scuola Beniamino Maggio; Talia; Theatre de Poche. Otto scuole ognuna con una sua specifica identità, così da offrire una pluralità di punti di vista, dai quali potrà risultare un giudizio quanto più obiettivo.

I corti della formica XVI edizione. Programma

Giovedì 2 dicembre ore 20.30

BAR di Roberta Frascati, con Roberta Frascati. Foto di scena Davide Visca, regia Francesco Antonio Nappi

Anni ’60, è sera, le luci basse di un locale ci dicono che un altro giorno sta finendo. Al bancone una donna, non più giovane, non ancora anziana, che sistema le ultime cose prima di tirare giù la serranda e tornare a casa. La sorprende, neppure troppo, l’arrivo di avventori ritardatari. Non dice loro che sta chiudendo, anzi, li accoglie come vecchi amici venuti a farle compagnia. E come si fa con gli amici di sempre, prende a raccontare. Un fiume di parole, ricordi, consigli velati, speranze, sapientemente unite alla musica che viene fuori da una vecchia radio e all’odore del mare.

Bar è uno spettacolo che si incentra sul racconto e sul viaggio. Innanzitutto un viaggio nel tempo: negli anni ‘50-‘60 che vengono raccontati da una scenografia scarna ma ben inquadrata dal punto di vista dell’identità cronologica. Ma il viaggio è soprattutto un viaggio da raccontare e raccontarsi, al momento della sua conclusione, in un luogo preciso, un Bar, che si fa punto di partenza e di arrivo, crocevia di destini differenti, ciascuno con una sua storia e un suo vissuto.

Quel piccolo punto di riferimento, lontano nel tempo e vicino nello spazio, non è che la nostra esigenza, acuita ed evidenziata dalla pandemia, di prenderci un attimo per raccontare e raccontarci, un istante per ascoltare, un momento per ricordare e apprezzare ciò che ci circonda, vivendo del dono incommensurabile e, così come abbiamo imparato, per niente scontato, d’avere un pubblico, una platea, un interlocutore da poter guardare negli occhi e nei cui occhi riconoscersi.

OCCHI SOSPESI di Francesca Esposito con Lucio De Cicco, Livia Berté, Carmela Ioime. Costumi Michaela Castaldi, regia Francesca Esposito

Iride, un vecchio cieco, ossessionato dalla propria identità perduta, viaggia in compagnia della Muta, Sospiria e dell’Altra, Ieratica. La ricerca tormentata dell’identità è rivolta costantemente all’esterno. Iride ha un’idea dell’identità distaccata da sé, come se fosse un accessorio. La sua ricerca è inautentica e vana. In un clima da circo da quattro soldi, i tre personaggi falliscono puntualmente e ripetono le loro azioni giorno dopo giorno, in un frustrante carillon di sterili tentativi.

IL DISCORSO DEL PORCO di Sal Cammisa, liberamente ispirato a “La fattoria degli animali” di George Orwell. Con Sal Cammisa. Scene e costumi Enzo-Tammurrièllo Esposito. Aiuto regia Antonella Esposito e di regia Sal Cammisa e Daniela De Falco

Il discorso del porco è un monologo liberamente ispirato a La fattoria degli animali di George Orwell. Napoleon il maiale – capo della fattoria di cui è divenuto con violenza l’assoluto padrone – si presenta alla “sua” gente, in una domenica solitamente dedicata all’assemblea generale, per comunicare loro che da quel momento in poi le sedute dedicate al confronto e al dibattito sarebbero state sospese. Ne approfitta per celebrare i successi della fattoria, per informarli sulle ultime novità con l’esterno, per ripetere i 7 comandamenti. Ma qualcosa turberà la sua rigida sicurezza da capo di governo: anche il potere, ha le sue, nascoste, debolezze.

JINNIE di e con Jenny Brascio. Con Orazio Picella, regia Jenny Brascio e Orazio Picella

Jinnie è una donna moderna. Una donna che desidera una carriera, un lavoro una soddisfazione personale. Tuttavia è debole e ancora non lo sa. Jinnie vuole un amore integro, totale che si dedichi solo a lei e viceversa.
E qui che comincia la fregatura. Perché nella ricerca di quell’amore “ideale” si tuffa a capofitto in un progetto matrimoniale dimenticando se stessa. Si sposa e, moglie entusiasta, si dedica completamente al coniuge come una geisha. E’ allegra, canta, gioca, si diverte. Il marito però, dal canto suo, la tiene segregata come in una bottiglia di vetro dalla quale Jinnie osserva il mondo.

E’ un uccellino in gabbia, una lucertola sotto ad un bicchiere. Jinnie si sente ingannata, non ha avuto ciò che gli era stato promesso: una vita piena, dei figli, la felicità. Da qui i primi screzi, litigi, verbalmente violenti, che fanno impazzire Jinnie. Oramai come un animale in cattività vaga nella sua casa-bottiglia cercando una via di uscita. Sbatte da un lato all’altro, perdendo il lume della ragione. Ce la farà a liberarsi? Ce la farà a “rompere” la sua bottiglia? Lo sketch vuole accendere un “lumino” su un tipo di violenza sulle donne di cui non si parla MAI. Non la violenza fisica, di cui visibilmente le donne portano evidenti segni corporei bensì quella psicologica, più subdola e meschina.

VENERDÌ 3 DICEMBRE ore 20,30

AUTOGRILL di Tiziana Beato. Adattamento teatrale di Pier Paolo Palma da “Lettera 3” dal libro “Tra tutti i miei bisogni ci sei tu” con Selene D’Alessandro. Aiuto regia, costumi e make up Georgia de’Conno. Regia Pier Paolo Palma

Una lettera, ma sarebbe più corretto dire una confessione. In una notte scelta per non dormire, in un luogo scelto per non restare, una voce rimbomba tra porte automatiche e mattonelle. È una voce profonda, è la voce di chi ha scelto di conoscere gli uomini indagandoli attraverso il sesso, accudendo tutte le loro paure. È una donna che sceglie di spogliarsi per raccogliere nudità che il corpo non vede. È una voce di fredda concretezza e riflessioni che aspirano al lirico, in un vorticoso bathos di sincerità. Se è vero che la poesia si incontra in determinate periferie e in date ore, tra pensieri malinconici e grandi, dobbiamo ascoltare il racconto di una voce, troppo reale per accedere ad un bar sotto il mare.

L’AMORE PERFETTO di Valentina Varrella, con Livia Bertè e Ciro Scherma. Regia Roberta Misticone

Una donna sulla cinquantina, Iris, incontra il suo amante, Marcello, anche lui cinquantenne, nella nuova garçonniere di lui. Sono allegri, complici e appassionati. Lui è un ospite impeccabile: le ha inviato un vestito da sera a casa, quello stesso pomeriggio, affinché lo indossasse, le ha preparato dei regali e le ha ordinato la sua cena preferita, annaffiata da copioso champagne.

Lei si sente accolta e protetta e può confidare a Marcello il proposito di intentare presto la causa di divorzio verso il marito, a sua volta fedifrago, che nel frattempo ha sorpreso con la giovane amante, seguendolo in strada, qualche giorno prima. Marcello la ascolta e la coccola, paziente, soprattutto quando lei ha un passeggero momento di nevrosi e si lascia andare al pianto, pensando alla sua vita andata in pezzi ed alla giovinezza perduta.

Quando la serata volge al termine, con calma e pacatezza Marcello chiede ad Iris di saldare i suoi servigi, e da qui si comprende che la relazione tra i due è solo un accordo basato sul danaro e che lui non fa altro che “accompagnarla”, prezzolato, in questa delicata fase della vita, così come fa con altre donne, senza preoccuparsi di celarlo. Iris sembra quasi non dare peso alla cosa. Nel mondo perfetto che ha creato, Marcello è un amante appassionato ed i loro incontri sono reali parentesi amorose, in una vita deprimente.

COMANDAMENTO OTTAVO di Salvatore Vitale. Con Vincenzo Canoro, Francesco Raucci, Aniello Santonastaso, Alessandra Totaro, Tommaso Tuccillo, Filomena Zahora. Regia Salvatore Vitale

Passeggiando per i vicoli nel cuore di Forcella, capita di osservare delle targhe, che ai più possono apparire insignificanti, ma che in alcuni casi racchiudono una vera e propria storia di vita vissuta. E’ il caso di una targa che si può notare a via San Nicola dei Caserti, proprio nelle vicinanze di quella che indica il nome del vico, uno dei vicoli che incrociano la più nota via dei Tribunali.

La targa recita la seguente espressione “Dio m’arrassa da invidia canina, da mali vicini et da bugia di uomo dabene” (che più o meno si traduce in “Dio mi salvi dall’invidia cieca, dai mali vicini e dalle bugie di un uomo perbene”), una scritta che risale a secoli fa, e che racconta le sventure di un povero calzolaio che, calunniato da un vicino di casa, fu condannato per un omicidio che non aveva mai commesso. La storia, risalente all’incirca alla metà del cinquecento, fu ricostruita da Giovanni Garruccio, un architetto e storico napoletano di inizio ottocento, e fu ripresa poi da Benedetto Croce, nel suo famoso libro “Storie e leggende napoletane”.

La vicenda narra di uomo onesto di umili origini, che conduceva una vita tranquilla, dedicata principalmente alla sua attività artigianale. Egli era infatti un calzolaio, ed aveva una bottega in via San Nicolò dei Caserti, poi ribattezzata via San Nicola dei Caserti. L’artigiano aveva una gran passione per la musica, tant’è che si dilettava nel suonare il violino durante il tempo libero, ma tanto bastò per fornire ai vicini di casa il pretesto per alimentare lamentale nei suoi confronti.

Le persone che vivevano nei pressi della sua abitazione erano per lo più benestanti, persone dedite maggiormente alla ricerca del benessere sempre maggiore, perdendo di vista proprio la semplicità delle piccole cose, e quindi della soddisfazione di godere la vita, al punto da provare addirittura invidia per la serenità con la quale l’uomo conduceva la sua umile vita. Tutto ciò comportava continui chiacchiericci avverso il calzolaio, il quale ne restava fortemente dispiaciuto, e maggiormente cercava riparo da tutto ciò nella musica.

Un giorno però accadde qualcosa di veramente clamoroso, era ormai tanta l’invidia del vicinato avverso il calzolaio, che trovarono il modo di sbarazzarsi definitivamente di lui. L’occasione fu data dall’omicidio di un uomo che avvenne proprio nel vicoletto di San Nicola dei Caserti, e durante le indagini, un uomo distinto, testimoniò contro il povero calzolaio, indicandolo quale colpevole dell’assassinio. I magistrati, fortemente influenzati dal testimone, che era una delle personalità di spicco del quartiere, diedero credito alla testimonianza, confermando l’accusa al povero calzolaio, condannando poi l’accusato alla pena capitale.

La notizia suscitò grande sconcerto nel vicinato, ma nulla ormai si poteva fare per scongiurare l’esecuzione stabilita. Prima di morire il calzolaio espresse un suo ultimo desiderio, ovvero quello di donare tutti i suoi averi all’ospedale della Pace, nosocomio attivo fino al 1975, a condizione che fosse stata incisa una targa che raccontasse la verità sulla falsa accusa.

LEUKÓS ZÓPOHS di Luigi Parlato con Rossella Castellano e Luigi Parlato. Regia Rossella Castellano

Leukós Zóphos, sono flebili scie luminose nella più impenetrabile oscurità, fuochi fatui, corpusanti nel mare in tempesta, moscerini neri che ronzano intorno alla fiamma della candela. Leukós Zóphos è una storia che si ripete all’infinito. Leukós Zóphos sono due anime, quella di Mammà e Tummasino, marchiate e maledette, condannate a reincarnarsi un innumerevole numero di volte e a subire sempre lo stesso ineluttabile destino. Mammà è una donna che ha perso l’uso delle gambe ed ha visto più di quanto gli occhi umani possano sopportare, Tummasino ha perso la vista e gran parte dei ricordi. Nelle loro parole risuonano voci ed echi lontani di popoli del passato, mentre viaggiano, nei secoli dei secoli, alla continua ricerca di una spiegazione alla malvagità dell’animo umano, una risposta che forse non troveranno mai…

SABATO 4 DICEMBRE ore 18,00

ENRICU ‘U CURTU di Cristina Gennaro e Davide Migliorisi liberamente ispirato all’”Enrico V” di William Shakespeare. Con Cristina Gennaro e Davide Migliorisi. Canzoni composte da Cristina Gennaro e Davide Migliorisi

Due cuntisti cuntano e arricuntano le gesta del Re Inglese che conquistò la corona di Francia. Divenuto re di Inghilterra, il giovane e acerbo Enrico si imbarca sullo Stretto della Manica, alla testa di un esercito di pochi soldati. Alla vigilia della campagna di Azincourt le parole eroiche pronunciate dal re Enrico incoraggiano l’esercito tanto da procurare la vittoria. Tema del dramma è l’orgoglio di essere pochi, felicemente pochi, per vincere. E pochi, felicemente pochi, sono Davide e Cristina sul palco, moltiplicati dalla fantasia del pubblico che vedrà interi eserciti.

LA PAURA COMINCIA DAI PIEDI di Angela Villa. Con Milena Pugliese, scene Peppe Ronga, aiuto regia Marco Fandelli e regia di Milena Pugliese

“Sei stato tu, adesso lo dici, perché?” Il brano si apre con una domanda, è una domanda che ogni donna vorrebbe rivolgere ai carnefici, a chi vive nell’ombra a chi considera ogni vita come un semplice oggetto da calpestare, distruggere, bruciare… Una donna racconta gli ultimi giorni della propria vita. È una testimone di giustizia e attraverso di lei parlano tutte le donne che si ribellano all’obbedienza nei confronti dei clan per amore dei figli. In alcune parti del brano si possono ritrovare alcuni eventi riferiti alla vita di Lea Garofalo. Simbolo, suo malgrado, della lotta di ogni donna nei confronti di tutte le mafie.le donne che si ribellano all’obbedienza nei confronti dei clan per amore dei figli. Ispirato alle vicende di Lea Garofalo. Simbolo, suo malgrado, della lotta di ogni donna nei confronti di tutte le mafie.

OMBRE di e con Antonio Torino. Regia Angela Rosa D’Auria

Un uomo è come una città, ma se la città parlasse come un uomo? Se raccontasse delle sue strade, dei suoi monumenti, dei suoi parchi, delle finestre, delle case, dei luoghi più interni, poco frequentati, delle sue periferie buie e solitarie di cui essa stessa può aver timore? Ognuno di questi luoghi significano un ricordo, un sentimento, un’ora potente della vita, della nostra vita. Il pubblico/visitatore incontrerà l’unico abitante di questa città, sotto la luce della luna creatrice di ombre misteriose.
La drammaturgia inedita è stata scritta pensando a un racconto di Dino Buzzati, intitolato “La città personale”.

SPECCHIO di Patrizia Di Martino, con Vincenzo Coppola. Regia, scene e costumi Vittorio Passaro

Nell’Italia fascista, un giovane ragazzo benestante è in conflitto con la sua sessualità e con tutta la famiglia di appartenenza mussoliniana. Si confronta con il suo corpo che sente estraneo, si osserva ogni giorno nudo allo specchio, si guarda si tocca, si nasconde il membro, non si piace. Ogni giorno si affaccerà allo specchio, si truccherà, si struccherà, la sensazione è che non si piacerà mai. Uno scontro con sé stesso e contro le idee social politiche educative impostagli da piccolo, che lo farà crescere, ribellare e conquistare la propria libertà vivendo eccessi, estremizzando tutta la propria vita e le proprie scelte fino alla fine.

La zuppa ‘e suffritto, o zuppa forte.

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Ricetta tipica della tradizione napoletana, che diventa più piccante man mano che il clima diventa più rigido.

La zuppa forte, meglio conosciuta come la zuppa di soffritto, o in dialetto napoletano la zuppa ‘e suffritto, è una ricetta tipica della cucina napoletana. Il soffritto è una ricetta della tradizione che si può gustare da sola come piatto principale. Molto spesso la zuppa forte viene utilizzata come condimento per la pasta come i bucatini o gnocchi. Molto buona mangiata anche sul pane.

Il soffritto viene venduto in macellerie tipiche a Napoli, ma è una ricetta tipica della cucina di tutta la regione Campania.
Giovanni Iorio, maccellaio di terza generaione ed insegnante della Federcarni ci spiega come va preparata. L’ingrediente principale sono le frattaglie sia di bovino che di maiale, come il polmone, reni, cuore, milza, scarti carnei, cotenne, lardo. Una volta che abbiamo terminato la preparazione della carne, la caliamo nella sugna bollente. E’ proprio dall’azione del soffriggere la carne che la zuppa prende il suo nome. La tradizione prevede che si soffrigga la carne nella sugna, ma come ci spiega Giovanni Iorio, le macellerie più attente alle tendenze alimentari, alleggeriscono la pietanza realizzando un soffritto più leggero, senza sugna.

Una ricetta della cucina del recupero

Seguendo sempre la ricetta tradizionale, sfumiamo con del vino rosso, e si aggiungerà un ramoscello di rosmarino. Peperoncino a pezzetti, foglie di alloro, salsa di pomodoro e sale. Il tempo di cottura della carne generalmente è di circa due ore, avendo cura di allungare con un po’ d’acqua se la zuppa si rapprende troppo.

La zuppa di soffritto, detta anche zuppa forte per via del piccante del peperoncino, è un piatto assolutamente invernale di antichissima tradizione. E’ una ricetta diffusa in un tutta la regione Campania, e come per il ragù anche di questa ricetta esistono moltissime varianti. Come molte ricette regionali anche questa fa parte della cucina del recupero, nata dall’esigenza di utilizzare tutte le parti degli animali macellati.

Lino Volpe in anteprima al Teatro Sannazzaro con Jazz Story

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Lino Volpe con Jazz Story “Le avventure di Tony Monten” in scena al Teatro Sannazaro di Napoli il 30 novembre 2021

Jazz Story, uno spettacolo intrigante che ripercorre la storia del jazz, attraverso le rocambolesche avventure del fantomatico Tony Monten. Jazz e teatro, in un allestimento che a tempo di swing, trascina il pubblico nel cuore della musica americana.

In anteprima assoluta lo spettacolo andrà in scena il 30 novembre 2021 al Teatro Sannazzaro. Lino Volpe è contemporaneamente ideatore, autore e interprete di Jazz Story “Le avventure di Tony Monten”. Ma Lino non sarà solo sul palco del Teatro Sannazaro di Napoli, con lui ci saranno il sassofonista Gianni D’Argenzio e il chitarrista Pietro Condorelli. Entrambi i musici eseguiranno rigorosamente dal vivo capolavori del jazz.

Per Jazz Story uno spettacolo divertente che racconta la storia del jazz

Tony, il personaggio di Jazz Story, è un impresario artistico, vulcanico e sentimentale. Di origine siciliana ma nato a New Orleans, noto per essere uno dei più grandi organizzatori della scena jazzistica americana. Tony però è noto anche per essere ricercato dalla Polizia, dai creditori, e dalle sue 3 mogli, in tutti gli Stati Uniti. Da Armstrong, ad Al Capone, dalla Chicago degli anni 20, alla New York di Duke Ellington, in un continuo susseguirsi di aneddoti divertenti e appassionanti Tony si racconta e racconta la storia del jazz.

“Questo spettacolo mette insieme le mie due grandi passioni, il teatro e il jazz” spiega Lino Volpe. “Da tempo riflettevo su un testo teatrale nel quale raccontare l’epopea del jazz, un genere musicale, ma anche un modo per incontrare personaggi ormai divenuti mitici, come Armstrong, Glenn Miller, Charlie Parker, frammenti di una storia apparentemente lontana, ma che invece appartiene di fatto, al nostro orizzonte storico e culturale”. 

Una particolarità dello spettacolo i disegni dell’illustratrice Silvana Orsi

I disegni animati e le proiezioni sono state affidati all’illustratrice Silvana Orsi, che ha curato, tra le altre cose, il documentario Bird Lives! Story, dedicato al sassofonista Charlie Parker.

Nel solco del genere di Volpe, anche questo è un monologo, intervallato e sostenuto dall’elemento musicale. In Jazz Story poi, la musica concorre con il suo paesaggio sonoro a definire le atmosfere storiche nelle quali si svolge la vicenda narrativa. Atmosfere che ci conducono nella New Orleans, del quartiere a luci rosse di Storyville, passando per la Chicago degli anni 20, popolata da gangster, e immersa in pieno periodo proibizionista, e arrivando sino alla New York decadente del be bop.

“Per delineare i tratti di Monten ho lavorato a lungo”, continua l’artista napoletano. “Alla fine ne è uscito un personaggio controverso, ironico, sentimentale, ma allo stesso tempo una canaglia in grado di truffare anche il suo migliore amico. Mi sono a lungo soffermato sulla costruzione sonora del suo linguaggio, finendo per approdare in uno slang, nel quale convivono, le sue radici siciliane, una parlata a metà tra Donnie Brasco e i Soprano”.

“La colonna sonora, contiene capolavori del jazz, brani di Duke Ellington, Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Thelonius Monk, ma anche pezzi famosissimi, come In The Mood, e Lover man”.

In Jazz Story gli appassionati di jazz troveranno spunti, annotazioni e citazioni, i neofiti, troveranno uno spettacolo brillante, una storia divertente, che attraverso la vita del favoloso Tony Monten, li accompagnerà in retroscena e aneddoti pieni di pathos e umanità. Lo spettacolo sarà il 15 e il 16 gennaio 2022 al Teatro Villoresi di Monza.

Diciamo NO alla violenza sulle donne, diciamo NO alla violenza di genere

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A volte basta poco per cambiare le cose, a volte basta semplicemente parlare. L’importante è però che a parlare siano le persone giuste.

A volte la cassa di risonanza mediatica fa troppo rumore per capire esattamente il contenuto del messaggio. Spesso teniamo la televisione o la radio accese per compagnia, ma senza prestare troppa attenzione ai programmi stessi che stiamo seguendo. Devo anche dire che purtroppo molti programmi quotidianamente mostrano normale quello che normale non è. Nei talk show non si parla più bensì si urla, nei programmi di intrattenimento siamo soventi spettatori di attacchi verbali tra gli stessi protagonisti. Nei luoghi dove si pratica la politica, la cosa non cambia di molto: urla, insulti, qualche minaccia a volte più velata altre volte meno.

Insomma il tanto decantato fairplay, il bon ton, il politically correct, semplicemente il vivere civile è sempre più lontano dalle scene e sempre meno in voga. E anche quando si pensa di promuovere una legge che almeno ci induca a riflettere prima di parlare, questa prontamente viene bocciata.

Allora mi domando perché in tutto questo marasma di violenza, se mio marito mi urla contro io devo dire di no! E’ normale ho sbagliato, deve urlami contro perché così fan tutti. E invece non è normale, nulla di tutto questo è normale. Ma siccome oggi chi urla di più ha ragione tutti urlano, anche chi forse la ragione c’è l’ha per davvero, con il risultato che non sentiamo più nulla.

Noi di IDN – Itinerari di Napoli da sempre raccontiamo e promuoviamo il territorio di Napoli e della Campania. Un territorio bellissimo con un’infinità di cose da offrire ma che nel suo interno racchiude, talvolta anche mettendole bene in evidenza, delle storie che non devono più essere raccontate, che devono smettere di esistere.

Sono le storie delle donne maltrattate all’interno delle loro stesse famiglie. Sono le storie delle bimbe abusate. Ma sono anche le storie di quegli esseri umani uomini o donne che per i motivi più biechi e stupidi vengono vessati e maltrattati e, violentati quotidianamente nel loro essere persone.

Noi di IDN con gli amici di sempre tra i quali Danilo Rovani e Cosimo Alberti con cui abbiamo avuto il piacere di realizzare il cortometraggio tratto dalla storia di cronaca di Ciro e Mariapaola. Con Lello Giulivo, Titti Nuzzolese, Margherita Romeo e ancora con chi quotidianamente lavora per migliorare i luoghi in cui viviamo come la consigliera e già assessore di Napoli Alessandra Clemente e l’assessore al turismo e alla cultura di Pozzuoli Stefania De Fraia, tutti insieme abbiamo voluto dire no alla violenza sulle donne, no alla violenza di genere.

Abbiamo voluto dire un no forte ma a bassa voce con educazione come si dovrebbe parlare nelle famiglie, guardandoci negli occhi. Un no che vuole avere il valore di un abbraccio dato da un amico che ti vuole dare la forza di reagire, di dire no, di chiedere aiuto per liberarti dalla violenza che ti opprime. Per dire a tuo padre, tuo figlio, tuo marito, non ci si comporta così ci vuole rispetto. Bisogna parlare e parlarci.

Per questo abbiamo voluto girare questo spot con gli amici di sempre, perché non sono solo i nostri amici, ma sono gli amici di chi ci guarda da casa, sono i milioni di telespettatori che la sera guardano Cosimo ad un posto al sole o Lello o Titti nelle loro soap e film. Per questo abbiamo voluto girare uno spot con primi piani strettissimi, perché immaginiamo che tra queste persone magari ci starà guardando qualch’uno dal suo cellulare tenuto stretto in mano, in un angolo della sua casa, una persona che magari sta cercando la forza di reagire, il modo per salvarsi.

Cari lettori e cari colleghi, lo spot è libero potete scaricarlo e condividerlo. Non abbiamo messo marchi o segni distintivi proprio perché lo possiate condividere e far vedere al maggior numero di persone, perché il messaggio possa arrivare a chi ne effettivamente bisogno

Il tradimento è nel silenzio

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locandina io ed emma

In occasione della “Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, la regista Valentina Cognatti ci presenta lo spettacolo “Io ed Emma”, in scena al teatro Bolivar il 25 novembre

intervista a cura di Maria Rosaria Marcelli –

“Il tradimento è nel silenzio. Soprattutto in quello di chi, standoci accanto, vede e decide di non parlare”. Quando ascolto le parole di Valentina Cognatti devo ancora assistere allo spettacolo “Io ed Emma”, scritto e diretto da lei, in scena giovedì 25 novembre al teatro Bolivar, ma si materializza nella mia gola un nodo e capisco subito che sarà una telefonata emozionante.

Manca ancora qualche giorno al debutto napoletano della Compagnia di Cerveteri nel teatro del quartiere Materdei che sta facendo parlare di sé per la qualità e l’estrema varietà dei contenuti proposti oltre che per l’affluenza di pubblico, e la direttrice artistica della Margot Theatre, accetta di raccontarsi.

In occasione della “Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, ognuno sente a modo proprio di poter fare qualcosa, esprimendosi come può. E, forse, la curiosità e l’attesa nate intorno al testo della Cognatti derivano da un carattere forte che riesce a farsi notare tra le infinite proposte ed iniziative che si affollano su questo delicato tema.

La storia della Compagnia Margot Theatre nasce a Cerveteri nel 2015…

Inizialmente era una scuola di teatro, poi siamo diventati una Compagnia ed in seguito anche un’associazione. Con il tempo è aumentato il numero delle classi e abbiamo realizzato produzioni con il sostegno del Comune. Sono sempre stati due gli obiettivi principali della Margot Theater: l’alta formazione teatrale e una funzione sociale imprescindibile.

Portiamo in scena i classici ma soprattutto le problematiche legate al rapporto tra “l’io e l’altro”. Personalmente, credo molto nel valore della pedagogia e dell’educazione per arrivare ad un’umanità e l’arte è l’unico terreno veramente neutrale nel quale tutti possono sentirsi uguali e sviluppare un’empatia.

Da dove arriva l’ispirazione per la scrittura di “Io ed Emma”? E quanto sono stati lunghi i tempi di metabolizzazione?

“Io ed Emma” nasce da una mia esigenza profonda. Questa ribellione alla violenza parte da lontano e per questo mi sono occupata in passato anche di bullismo e delle sue cause, non solo dal punto di vista delle vittime del fenomeno ma ricercando l’origine del comportamento dei bulli. La violenza sulle donne, che troppe volte sfocia nella platealità e nell’atrocità del femminicidio, più che viverla in modo diretto mi è passata accanto, non solo con i fatti di cronaca, ma con le esperienze di persone a me vicine.

La scrittura mi ha presa tre mesi che è relativamente poco. Avevo già tutto in testa e le testimonianze che ho raccolto nella vita le ho inserite in modo naturale all’interno del mio racconto teatrale.

Lo spettacolo s’incentra sul dialogo tra una madre e una figlia che si reincontrano. Cosa sarebbe cambiato se sulla scena ci fosse stato un figlio maschio?

Sinceramente non ne ho idea. Non riesco ad immaginarlo perché per scrivere questo testo è stato fondamentale essere donna! Sono partita da me, quindi forse non avrei saputo fare diversamente. Nella nostra storia, inoltre, la figlia è incinta e dunque il confronto diventa fra due madri, per necessità un dialogo al femminile.

Qual è la cifra specifica di “Io ed Emma”?

L’autenticità del testo e dell’interpretazione. Tutti, da me agli attori, sentiamo molto forte la responsabilità di trattare questa tematica. Non lo viviamo “solo” come uno spettacolo. E in più, il copione non resterà sempre uguale a se stesso. Evolverà un pochino nel tempo proprio perché io possa riconoscerlo sempre come parte di me, come avviene con ogni testo che scrivo.

Il cast di sole donne è solo una coincidenza (anche nel resto dello staff si nota una quota rosa predominante)?

È solo un caso, ovviamente. Io lavoro molto bene con gli uomini di cui apprezzo tantissimo un certo senso pratico e alcune dinamiche meno contorte. La quota maschile della nostra Compagnia è particolarmente ben voluta. Certo, per i contenuti di cui ci occupiamo la sensibilità e l’intesa femminile fanno la loro parte.

Non conosciamo ancora quali saranno le rivelazioni e le emozioni che scaturiranno da quest’incontro madre/figlia. Il peso della violenza non sarà tanto nella verità svelata quanto nel non detto…

Madre e figlia dialogheranno con un’alternanza di parole e di silenzi, non meno eloquenti, e arriverà il momento della confessione. In realtà, si tratta di fatti più che altro “dimenticati” per sopravvivenza. Tutti noi tendiamo a fuggire dal dolore perché ci spaventa e anche quando cogliamo dei segnali chiari proviamo a respingerli.

Affrontare ciò che ci fa male implica il superamento di noi stessi e il raggiungimento dell’altro: una strada difficile. Ecco, il “mio” teatro si basa “sull’altro” e non “sull’io”. Diversamente, per me, non avrebbe senso. Esattamente come nella vita.

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