Il PAN Palazzo delle Arti di Napoli, ha sede nel Palazzo Roccella. Nel 1667 Francesco di Sangro, principe di San Severo, regala al genero Giuseppe Carafa il palazzo, che all’epoca era la sua residenza di campagna. Nel 1717 il palazzo è venduto per diecimila ducati a Ippolita Cantelmo Stuart, moglie di Vincenzo Maria Carafa, la quale affida il progetto di ristrutturazione dell’edificio a Luca Vecchioni, collaboratore di Luigi Vanvitelli. I lavori di ampliamento e di riammodernamento, durati un decennio, trasformano l’edificio in un palazzo residenziale. Altri interventi avvengono tra il 1765 e il 1829 con il completamento del secondo piano e l’inizio del terzo. Il settecentesco Palazzo Roccella, nel corso del tempo, ha subito delle perdite rispetto alla sua struttura originaria. Nel 1984, in seguito a diverse vicissitudini, il Comune di Napoli acquista la proprietà, dà inizio ai lavori di restauro e nel 1998 decide di destinare Palazzo Roccella a Centro di Documentazione per le Arti Contemporanee. Il PAN, con una superficie di oltre 6000 mq, ospita esposizioni temporanee, centro di documentazione, laboratori, eventi, attività culturali e una sezione dedicata ai più piccoli: “Pan kids”. Il centro di documentazione è basato soprattutto sulla biblioteca e la mediateca. La mediateca permette l’accesso a materiali multimediali. La biblioteca del PAN ha circa 4000 volumi, divisi in quattro sezioni: Sezione Napoletana, Generale, Fondo Coen – Cagli, Periodici. La mission del PAN è quello di promuovere l’interdisciplinarietà, la collaborazione tra i diversi settori culturali e di creare sinergie sia a livello nazionale sia internazionale.
Chiesa di Santa Chiara
La Chiesa di Santa Chiara è stata immortalata da Pier Paolo Pasolini nel suo Decameron, adattamento cinematografico delle novelle di Giovanni Boccaccio. Entrando nel cortile della Chiesa di Santa Chiara si raggiunge un altro gioiello monumentale, il chiostro maiolicato di Santa Chiara, che appare in film come Nel regno di Napoli, Maccheroni e La pelle. Nel film di Scola, Robert (Jack Lemmon) ricorda gli incontri con la sua vecchia fiamma. In Nel regno di Napoli, Vittoria (Maria A. Riegel) entra nel chiostro per farsi monaca e trovare pace e ne La pelle il chiostro è occupato dai militari. Difronte all’uscita del cortile della Chiesa di Santa Chiara si può vedere il vico Pallonetto Santa Chiara, sede di una delle sommosse raccontate ne Le quattro giornate di Napoli.
La Chiesa di Santa Chiara, che fa parte del complesso monumentale di Santa Chiara si presenta oggi nelle sue originarie forme gotiche, con una facciata a larga cuspide, nella quale è incastonato l’antico rosone traforato, con il pronao dagli archi a sesto acuto e l’interno con un’ unica navata, su cui si aprono dieci cappelle per lato. La copertura è a capriate. Alle spalle dell’altare è situato il Coro delle clarisse, composto da tre navate. Su una parete sono visibili i frammenti di un affresco raffigurante la Crocifissione, in cui si riconosce la mano di Giotto, chiamato a decorare le pareti della chiesa nel 1326. I monumenti funebri, situati nel presbiterio, furono realizzati da scultori trecenteschi come Tino di Camaino, che lavorò alle tombe di Carlo di Calabria e di Maria di Valois, e i fratelli Bertini, cui si deve il sepolcro di Roberto d’Angiò. Nel 1742 la Chiesa di Santa Chiara subì delle modifiche ad opera dell’architetto D. A. Vaccaro. Fastosi rivestimenti donarono al complesso un aspetto barocco: l’interno fu ricoperto da marmi policromi, stucchi e cornici dorate; il tetto a capriate fu nascosto da una volta affrescata da grandi pittori dell’epoca, quali F. de Mura, S. Conca, G. Bonito e P. de Maio; G. B. Massotti si occupò dell’altare maggiore, mentre il pavimento in marmo fu eseguito da F. Fuga. Il 4 agosto del 1943 la chiesa fu quasi del tutto distrutta da un bombardamento aereo. Essa fu ricostruita e restaurata sotto la direzione di Mario Zampino, secondo l’originario stile gotico. Dieci anni dopo, il 4 agosto del 1953, la Chiesa di Santa Chiara fu riaperta al culto.
Complesso Monumentale Santa Chiara
Il complesso monumentale Santa Chiara, uno dei più importanti monumenti della città, sorge per volere di Roberto d’Angiò e di sua moglie Sancia di Maiorca. I sovrani, entrambi devoti all’Ordine Francescano, fondano il complesso monastico destinato ad accogliere nel monastero le Clarisse e nel convento adiacente i Frati Minori. Il complesso monumentale di Santa Chiara, costruito dal 1310 al 1328, comprende: Chiesa, Monastero e Convento. Il Monastero dei Minori, iniziato nel 1317, oggi è occupato dalle Clarisse. Il Coro è decorato da un affresco di Lello da Orvieto. La Chiesa, nucleo centrale dell’intero complesso, muta la sua denominazione da Ostia Santa o Sacro Corpo di Cristo in Santa Chiara in omaggio, probabilmente, alle Clarisse presenti nel monastero. La Chiesa di Santa Chiara, consacrata nel 1340, è dichiarata, sin dalle origini, chiesa “reale”. Il 4 agosto del 1943 la chiesa è quasi del tutto distrutta da un bombardamento aereo, ma sotto la direzione di Mario Zampino, è ricostruita e restaurata seguendo le sue originarie forme gotiche. L’interno custodisce i monumenti funebri della famiglia angioina, opere dello scultore senese Tino di Camaino e dei fratelli fiorentini Bertini. E’ rimasto poco della trecentesca decorazione pittorica della chiesa attribuita a Giotto. Tra il 1742 e il 1769, l’architetto Domenico Antonio Vaccaro, Gaetano Buonocore e Giovanni Del Gaizo ricoprono l’interno di marmi policromi, stucchi e cornici dorate. Il tetto a capriate viene nascosto da una volta affrescata da artisti quali Francesco de Mura, Sebastiano Conca, Giuseppe Bonito e Paolo de Maio. La pavimentazione in marmo è rifatta su disegno di Ferdinando Fuga. Il complesso monumentale di Santa Chiara è noto anche per il Chiostro maiolicato. Domenico Antonio Vaccaro, lasciando inalterata la struttura originaria del portico, crea un giardino decorato di mattonelle maiolicate, opera di Giuseppe e Donato Massa. I sedili sono rivestiti di riggiole (termine locale per indicare le mattonelle) con scene prive di riferimento al sacro, invece i pilastri ottagonali sono decorati con festoni di frutta e fiori e nelle aiuole sono presenti due fontane con riggiole raffiguranti pesci. Il percorso di visita del complesso monumentale comprende anche il Museo dell’Opera, diviso in quattro sale e l’area archeologica che conserva i resti di uno stabilimento termale, risalente alla fine del I secolo d.C.
Operazione San Gennaro
Tre americani, una donna e due uomini, arrivano a Napoli con l’intenzione di compiere il colpo della vita, svaligiare il tesoro di San Gennaro, valutato trenta miliardi di lire. Consigliati da Don Vincenzo, assai potente anche dietro le sbarre della prigione, i lestofanti americani si rivolgono ad Armando Girasole, venerato in tutti i quartieri bassi e chiamato affettuosamente Dudù. Ignaro dell’obiettivo, il napoletano raccoglie in fretta un manipolo di “specialisti” ma quando gli viene svelato l’obiettivo del furto, Dudù, da buon napoletano, tentenna. Quando però si rende conto che con quei trenta miliardi potrebbe fare del bene ai napoletani, costruendo delle case per i più poveri al Vomero, inizia a ripensarci. Chiede consiglio a Don Vincenzo, che a sua volta è in dubbio e preferisce demandare allo stesso San Gennaro la soluzione del caso morale. Dudù ed i suoi, sotto una pioggia torrenziale, entrano nella Chiesa che s’illumina di luce solare dopo che hanno esposto le loro intenzioni. E il colpo viene effettuato nella notte in cui la trasmissione televisiva del festival canoro partenopeo polarizza popolo e forze dell’ordine davanti ai teleschermi. Le intenzioni degli americani e di Dudù sono però ben diverse e il ragazzo napoletano si prodiga affinché il malloppo non prenda la via dell’America. Quello che non immagina Dudù è che il tesoro tornerà sì al popolo napoletano ma che questo, con universale tripudio, lo offrirà nuovamente al Santo.
Uno dei set del film Operazione San Gennaro è la piazza e la Chiesa Monumentale dei Gerolomini
Chiesa dei Girolamini e Operazione San Gennaro
La Chiesa Dei Girolamini fa da set per il film Operazione San Gennaro
La Chiesa dei Girolamini insieme alla piazza dei Girolamini fa da set per Operazione San Gennaro, in cui Dudù (Nino Manfredi) e la sua banda proveranno a rubare il tesoro del santo patrono della città. Nel film di Risi, la Chiesa dei Girolamini è utilizzata in luogo della Cattedrale di Napoli, vera sede delle reliquie del santo, poichè la produzione non ebbe il permesso di girare nel Duomo.
Un aneddoto circa il film racconta che la partecipazione di Totò al film è ridotta a cinque piccole scene, cinque piccoli camei per un attore vecchio, stanco e praticamente cieco. Per gli esterni girati a Napoli rifiutò dalla produzione la diaria, compenso in denaro che si dava agli attori quando erano costretti a girare fuori sede , per lui napoletano verace che girava un film nella sua città era inconcepibile percepire quei soldi .
“Come vi permettete di dare la diaria a un napoletano come me?…..Io sono napoletano verace e nella mia città non posso avere la diaria”.
La Chiesa dei Girolamini (o Gerolomini) è una chiesa monumentale di Napoli
La Chiesa dei Girolamini (o Gerolomini) è una chiesa monumentale di Napoli con impianto architettonico di tipo basilicale intitolata alla Natività di Maria Santissima e a tutti i santi e fa parte del Complesso Monumentale dei Girolamini dichiarato monumento nazionale nel 1866.
La sua decorazione in oro, marmi e madreperla le valsero il titolo di Domus aurea; il suo interno presenta una concentrazione di opere di grande qualità di artisti sia napoletani che di estrazione toscana, emiliana e romana.
La facciata principale della Chiesa Dei Girolamini è su largo dei Girolamini, lungo via dei Tribunali. L’ingresso alla chiesa avviene però dalla laterale via Duomo tramite il chiostro della porteria al civico 142 dove sorgeva il rinascimentale palazzo Seripando, in sostituzione del quale, fu edificato il complesso religioso.
Il prospetto su largo Girolamini è impaginato su due ordini delimitati da una trabeazione: nel registro inferiore, articolato per mezzo di lesene scanalate, si aprono tre portali, di cui quello centrale è il maggiore; il gruppo scultoreo sovrastante il portale centrale, opera di Giuseppe Sanmartino, raffigura Mosè ed Aronne con le tavole dei comandamenti in ebraico sorrette da angeli. La parte superiore della facciata è alleggerita mediante un finestrone rettangolare sormontato da un timpano triangolare, oltre il quale svetta un coronamento costituito da un timpano arcuato e spezzato, al centro del quale si innalza un setto decorato con l’immagine della Madonna col Bambino, sormontato da un ulteriore timpano arcuato. Sulla trabeazione, in corrispondenza dei campanili, sono poste le statue di Pietro e Paolo iniziate da Cosimo Fanzago e ultimate ancora dal Sanmartino.
La cupola fu eretta a metà del XVII secolo da Dionisio Lazzari, poi demolita e ricostruita nel corso dell’Ottocento. Il Lazzari realizzò anche la facciata, che fu rifatta in marmi bianchi e bardiglio nel 1780 su disegni di Ferdinando Fuga e ai lati è delimitata da due campanili gemelli dotati di orologi (uno solare e uno di sei ore).
Il Complesso Monumentale dei Girolamini
Il Complesso Monumentale dei Girolamini si estende su una vasta superficie del centro antico, occupando due insulae. La sua fondazione, avvenuta tra la fine del Cinquecento e la prima metà del Seicento, deve il suo nome ai seguaci di San Filippo Neri. Nel corso del Settecento, il complesso si arricchisce di opere d’arte e nel 1866, con le leggi eversive del patrimonio ecclesiastico, diventa Monumento Nazionale. Il complesso monumentale dei Girolamini rappresenta uno dei più importanti monumenti della città sia dal punto di vista artistico che storico-culturale. Il Complesso Monumentale dei Girolamini comprende: la monumentale Chiesa dei Girolamini, la quadreria, la biblioteca, due chiostri e l’oratorio dell’Assunta. Gli architetti che si occupano della costruzione del complesso sono: Giovanni Antonio Dosio, Dionisio Nencioni di Bartolomeo e Dioniso Lazzari. La sistemazione della piazza dei Girolamini, dopo l’abbattimento degli edifici e delle piccole chiese presenti sull’area, è eseguita da Nencioni su disegno dell’architetto Domenico Fontana. L’interno della Chiesa dei Girolamini è affidata ad artisti di formazione tosco-romana ed emiliana, accanto ai quali si affiancano opere di napoletani come Luca Giordano e Francesco Solimena. All’interno del complesso si trova l’oratorio dell’Assunta e due chiostri: uno più piccolo, detto Maiolicato, opera di Giovanni Antonio Dosio e l’altro più grande, detto degli Aranci, opera di Dionisio di Bartolomeo. La Quadreria è formata da opere risalenti ai secoli XVI-XVIII, donate da benefattori e dagli stessi padri. La biblioteca riveste importanza per i volumi che custodisce, per L’Archivio Musicale, per l’Archivio Oratoriano e per la Sala Grande, intitolata a Giambattista Vico. Il complesso monumentale dei Girolamini, considerato uno scrigno di tesori artistici, contiene capolavori del tardo manierismo romano e napoletano accanto a opere di Guido Reni e Pietro da Cortona, il naturalismo di Battistello Caracciolo e Jusepe de Ribera e il barocco di Luca Giordano.
La piazza dei Girolamini e la Chiesa fanno da set per Operazione San Gennaro
Museo di Capodimonte
Carlo di Borbone affida la costruzione di una nuova reggia sulla collina di Capodimonte ad Antonio Medrano. I lavori iniziano nel 1738. Circa vent’anni dopo, alcune sale del palazzo ospitano le collezioni d’arte donategli dalla madre Elisabetta Farnese. Vi lavorano anche Ferdinando Sanfelice, che si occupa della sistemazione del parco e Ferdinando Fuga, che cura, invece, i lavori dell’edificio, ancora incompiuto. Durante il decennio francese, il palazzo diventa la residenza preferita di Gioacchino Murat e proseguono i lavori. Con il ritorno dei Borbone sul trono vengono completati la decorazione dei saloni e completati gli ambienti prospicienti il cortile settentrionale. Completato l’edificio nel 1838, si progetta la sistemazione dell’Armeria Reale e delle collezioni di porcellane e di arazzi. Nel 1920, il palazzo, ceduto dalla corona al demanio, diventa residenza dei duchi d’Aosta fino al 1946.
I nuclei principali del Museo di Capodimonte sono costituiti dalle collezioni Farnese e Borbonica. La raccolta Farnese si deve ad Alessandro Farnese che, già prima di diventare papa con il nome di Paolo III, mostra il suo interesse per l’arte. Il patrimonio museale, nel corso dei secoli, si arricchisce di opere provenienti dalle chiese napoletane, dalle soppressioni monastiche, da lasciti e da acquisizioni. Il Museo accoglie opere di grandi artisti come Tiziano, Parmigianino, Carracci, Simone Martini, Caravaggio, Masaccio e Colantonio solo per citarne alcuni. Il Museo di Capodimonte si sviluppa su tre piani: il primo piano accoglie la collezione Farnese, l’Appartamento Reale, le manifatture borboniche, tra cui le porcellane; al secondo piano, si trova la galleria napoletana e, infine, al terzo piano è esposta la collezione di opere dell’Ottocento e di arte contemporanea.
Giallo Napoletano di Sergio Corbucci
Giallo Napoletano, girato nel 1978, è diretto da Sergio Corbucci. In Giallo Napoletano, il protagonista Raffaele Capece (Marcello Mastroianni), professore di mandolino classico che si è ridotto a fare il suonatore ambulante, è afflitto da due problemi irrisolvibili: una gamba che lo fa zoppicare, per colpa della poliomielite contratta da piccolo, e un padre, incallito giocatore, che sperpera al lotto e alla roulette tutti i guadagni del figlio. Ed è proprio per questo vizio di suo padre che don Raffaele finisce per trovarsi coinvolto in una serie di misteriosi omicidi, dei quali sono vittime un giovane giamaicano, un biscazziere clandestino e un nano. Negli omicidi c’entrano un direttore d’orchestra, suo figlio, una bella infermiera, un madre superiora e una coppia di ricattatori e la posta, infine, è un bel gruzzolo di milioni, per avere i quali è però indispensabile entrare in possesso di una preziosa bobina, in cui è registrata la prova di un delitto commesso durante la seconda guerra mondiale. Dopo averne viste d’ogni colore e aver più volte rischiato la pelle, don Raffaele verrà finalmente a capo del complicatissimo intrigo, e i milioni saranno suoi.
Una delle location esterne utilizzate nel film Giallo Napoletano è il famoso Palazzo Spinelli
Maccheroni di Ettore Scola
Il film Maccheroni di Ettore Scola racconta di un anziano manager americano che ritorna per affari a Napoli, la città nella quale, quarant’anni prima, giovane soldato della Quinta Armata, aveva vissuto un breve amore con una tale Maria. Ed è proprio il fratello della donna, Antonio, che lo va a cercare e gli ricorda i vecchi tempi. Attraverso l’antica amicizia, il pragmatico americano riscopre il fascino della magia napoletana e, dopo varie disavventure, arriva persino a sperare nei miracoli. Film intessuto di allegra malinconia.
Le location del film Maccheroni sono Palazzo Spinelli di Laurino e la Chiesa di Santa Chiara
Palazzo Spinelli di Laurino
Palazzo Spinelli di Laurino, costruito nel 1767 dall’unione di due edifici cinquecenteschi, fu commissionato da Troiano Spinelli
Palazzo Spinelli di Laurino, costruito nel 1767 dall’unione di due edifici cinquecenteschi, fu commissionato da Troiano Spinelli, che eleborò sia il progetto della ristrutturazione sia il programma decorativo. Egli ebbe rapporti sia con Ferdinando Fuga che si occupò della supervisione tecnica del progetto, sia con Ferdinando Sanfelice, a giudicare dalla scala a doppia rampa che conduce agli appartamenti. Il palazzo presenta soluzioni architettoniche originali come il cortile circolare e lo scalone. Nell’atrio di ingresso, è introdotto il motivo dell’ellisse che conduce al cortile circolare, ornato di stucchi e statue in terracotta.
Palazzo Spinelli di Laurino è una location molto legata a Mastroianni, il quale ritorna con tre differenti film. In Maccherroni il palazzo fa da abitazione del protagonista, mentre in Giallo Napoletano e La Pelle, Mastroianni assiste a due eventi sorprendenti.
A coronamento della parete sono poste dodici statue allegoriche in terracotta, la statua dell’Immacolata sovrasta l’orologio e due busti di imperatori romani completano la decorazione del cortile. Nel secondo atrio, si trova la scala a doppia rampa. In questo emiciclo si trovano nove nicchie con epigrafi, che accolgono i busti delle dame della famiglia. Al piano nobile, sono visibili gli affreschi di Jacopo Cestaro che raffigurano la Pietà cristiana e l’Erudizione, due virtù scelte dallo stesso Spinelli come riferimento a se stesso. Nella cappella privata, attigua al cortile, si trova la volta affrescata da Antonio Sarnelli, sei loggete con balaustre marmoree e una cantoria in legno intagliata e dorata. Sulla cantoria sono presenti gli stemmi delle famiglie committenti della ristrutturazione settecentesca.