La Chiesa della Pietà dei Turchini, ubicata in via Medina, è costruita tra il 1592 e il 1595. Nel 1633-1639 è ampliata con l’aggiunta del transetto e della cupola, oggetto di molti lavori nel corso degli anni. La congregazione dell’Oratorio dei Bianchi decide di fondare un orfanotrofio per ragazzi abbandonati e così la chiesa della Pietà prende il nome “dei Turchini” dal colore dell’abito indossato dai ragazzi, che venivano accolti nell’annesso conservatorio. La Chiesa della Pietà dei Turchini si presenta con una sola navata e dieci cappelle laterali più due cappelline del transetto. La chiesa conserva sia tele sia preziosi marmi, opere di artisti come Battistello Caracciolo, Luca Giordano, Filippo Vitale, Andrea Vaccaro, Dionisio Lazzaro e la pittrice napoletana Annella De Rosa. L’altare maggiore, realizzato tra il 1770 e il 1773, è opera di Giovanni Atticciati mentre la balaustra è realizzata da Carlo Dellifranci. L’abside custodisce la Pietà di Giacinto Diano e dietro all’altare è collocato L’adorazione di pastori, opera di Juan Dò. Il Conservatorio della Pietà dei Turchini ha avuto un ruolo importante per l’affermazione della scuola musicale napoletana.
Il mistero di Bellavista di Luciano De Crescenzo
Il mistero di Bellavista è un film scritto, diretto e interpretato da Luciano De Crescenzo nel 1984. Saverio raggiunge Salvatore e il professor Bellavista sul tetto del palazzo mentre stanno scrutando il cielo per vedere la cometa di Halley. Salvatore gioca col telescopio e vede commettere un omicidio nel palazzo di fronte. Scattano le indagini. I tre amici tenteranno di risolvere l’enigma, scoprendo l’assassino e ritrovando il corpo. Le loro ricerche li porteranno a contatto con situazioni all’apparenza misteriose, ma che in realtà hanno una spiegazione quasi sempre surreale. Alla fine, ogni pezzo troverà il giusto posto e il mistero sarà risolto. Non è avvenuto nessun omicidio, ma nessuno è mai davvero innocente.
Via Foria è la location di due film di Luciano De Crescenzo. Al n. 106 si trova il palazzo del protagonista di Così parlò Bellavista e Il mistero di Bellavista.
Palazzo Donn’Anna a Posillipo
Palazzo Donn’Anna si trova all’inizio della collina di Posillipo ed è un elemento preminente del profilo costiero. La sua costruzione risale alla metà del XVII secolo, per volere del viceré spagnolo don Filippo Gùzman de las Torres. Il palazzo era destinato a sua moglie Anna Carafa. Il viceré affidò l’incarico a Cosimo Fanzago. La costruzione avveniva sul luogo di una preesistente dimora dei principi Carafa. Il progetto di Cosimo Fanzago, realizzato dal 1640 al 1644, fu definito dal Celano “una delle più belle, più vaghe e bizzarre abitazioni non dico di Napoli, ma d’Europa tutta”. Lo schema principale del palazzo era a U e si accedeva dal mare da due gallerie, scavate nel tufo, che insieme alle scale conduceva ai tre piani superiori, contenenti sei appartamenti. Inizialmente, si accedeva al palazzo solo dal mare. L’edificio racchiudeva un giardino luminoso che apriva sul mare e su ogni facciata si alternavano arconi tra paraste. Il palazzo rimase incompiuto poiché i lavori furono sospesi al rientro del viceré in Spagna. Inoltre, dopo la morte di Donn’Anna, il palazzo fu saccheggiato e devastato durante i moti di Masaniello, dal terremoto del 1688 e dall’allargamento della strada, quando si demolì parte delle ali settentrionali.
Il Palazzo Donn’Anna viene citato anche nelle “Leggende napoletane” di Matilde Serao, che scrive: “Il bigio palazzo si erge nel mare. Non è diroccato, ma non fu mai finito; non cade, non cadrà, poiché la forte brezza marina solidifica ed imbruna le maglie, poiché l’onda del mare non è perfida come quella dei laghi e dei fiumi, assalta ma non corrode. Le finestre alte, larghe, senza vetri, rassomigliano ad occhi senza pensiero; nei portoni dove sono scomparsi gli scalini della soglia, entra scherzando e ridendo il flutto azzurro, incrosta sulla pietra le sue conchiglie, mette l’arena nei cortili, lasciandovi la verde e lucida piantagione delle alghe”.
Palazzo Donn’Anna, espressione dello stile barocco, riveste un fascino particolare sia per la suggestiva collocazione sul mare sia, forse, per l’incompiutezza dell’edificio che assume un fascino particolare.
Ieri Oggi Domani di Vittorio De Sica
Ieri, oggi, domani, film girato nel 1963, è diretto da Vittorio De Sica. La pellicola è articolata in tre episodi ambientati in tre grandi città italiane: Napoli, Roma e Milano. Tutti gli episodi sono interpretati da Sofia Loren e Marcello Mastroianni. L’episodio intitolato “Adelina” racconta che Adelina mantiene il marito disoccupato e il figlio con la vendita di sigarette di contrabbando. Una multa non pagata le costerebbe il carcere, che riesce, però, a rimandare di volta in volta grazie alle numerose gravidanze; quando non arrivano più figli, decide di scontare la pena, ma la solidarietà della gente e l’impegno di un avvocato le fanno ottenere la grazia. All’uscita dal carcere viene calorosamente festeggiata dalla famiglia e dal quartiere.
Il film Ieri, oggi, domani ottiene diversi riconoscimenti: nel 1964 riceve il Golden Globe e nel 1965 il Premio Oscar come Miglior film straniero. Molto apprezzata è anche la performance di Sofia Loren e Marcello Mastroianni tanto da meritare nel 1964 il David di Donatello come Miglior attore e attrice protagonista. Inoltre, nel 1965 Mastroianni riceve anche il Premio BAFTA come Miglior attore straniero.
Vittorio De Sica ama la città e i suoi abitanti e lo dimostra con il suo libro Napoli e i suoi personaggi. Egli è affascinato dai napoletani, dalla loro filosofia, dalla loro cordialità, dai loro gesti e comportamenti e le lettere scritte alla figlia Emi ne sono una testimonianza. Il regista ama la città partenopea tanto da sceglierla come set di alcuni suoi film quali L’oro di Napoli, Il giudizio universale, Matrimonio all’italiana e l’episodio “Adelina” di Ieri, oggi, domani.
Salita dei cinesi è una location cara a Vittorio De Sica tanto da girarvi due film: Ieri, oggi, domani e L’oro di Napoli. Se nel primo vi ambienta il basso di Sofia Loren e Marcello Mastroianni, nel secondo vi colloca la casa dove vive il pazzariello interpretato da Totò.
Giudizio universale
Il giudizio universale, film del 1961, è diretto da Vittorio De Sica. La vita nella città di Napoli è sconvolta dall’annuncio da parte di una voce misteriosa dell’imminenza del giudizio universale. Le reazioni sono molteplici e fanno emergere gli aspetti più vari della città. E’ comune a diversi contesti sociali l’ipocrisia: un uomo scopre la relazione tra sua moglie e un suo carissimo amico; una donna rinfaccia al marito la sua disonestà; in un’aula di tribunale si processa un uomo che ha fornito titoli onorifici falsi; un uomo pieno si sé va a caccia di chi ha lanciato sul suo nuovo cappello un pomodoro; in un grande albergo un cameriere viene licenziato per il capriccio di un diplomatico; un politico promette la fine della disoccupazione; un uomo compra bambini di famiglie povere per rivenderli a ricchi americani. Difronte alla disperazione ognuno a suo modo sembra pentirsi, ma ci sono anche due ragazzi innamorati, che sembrano non avere nessun timore. Il giudizio sembra cominciare con una pioggia da diluvio, eppure torna il sole; la città festeggia e la sera si svolge il previsto gran ballo di beneficenza che coinvolge l’intera comunità.
Il Teatro San Carlo fa da scenografia a Il giudizio universale e a Giallo napoletano. In questo teatro lirico è girato anche l’inizio de Le avventure acquatiche di Steve Zissou.
Matrimonio all’italiana
Il film Matrimonio all’italiana, girato nel 1964, è diretto da Vittorio De Sica. Matrimonio all’italiana racconta che Domenico, ricco titolare di pasticcerie e Filomena, giovane prostituta, si incontrano poco prima della fine della guerra e intraprendono una relazione non ufficializzata, ma progressivamente “impegnata”: Filomena è sostenuta economicamente dall’amante, al quale arriva a fare da governante, vivendo in casa sua, occupandosi dei suoi affari durante le sue frequenti e lunghe assenze e tollerando i suoi tradimenti. Per acquisire dei diritti per un rapporto ventennale minacciato dall’ennesima relazione amorosa di Domenico, Filomena finge di essere moribonda per farsi sposare; rivela inoltre di avere tre figli, avuti da altri uomini, ai quali è necessario provvedere e dare un cognome. Ma quando, riconosciuta la nullità del matrimonio, Filomena sta lasciando la casa con i ragazzi, dichiara a Domenico che uno di loro è suo figlio, senza precisare però chi, per non creare discriminazioni. L’uomo, spinto dalla confusione sull’identità del figlio, finisce col riavvicinarsi a Filomena. I due si sposano e una vera e propria famiglia.
Una scena del film Matrimonio all’italiana è girata sullo sfondo di Piazza Bellini e di Via Costantinopoli. La sconsolata Filumena Marturano (Sofia Loren) esce dallo studio dell’avvocato, che ha appena sancito l’annullamento del suo matrimonio con don Domenico. Filumena vede la sua immagine riflessa in una vetrina, sorride nel vedersi con il cappello da signora indossato per l’occasione e se lo toglie, per poi gettarlo in un cestino dei rifiuti.
Piazza Bellini e la statua di Balzico
Piazza Bellini, di impianto rettangolare, grazie alla sua posizione vicino all’Accademia di Belle Arti e al Conservatorio di San Pietro a Majella è stata il luogo di ritrovo di molti intellettuali. La piazza conserva resti delle mura greche, facenti parte del rafforzamento della cerchia urbana del IV secolo a.C. Al centro, si trova il monumento dedicato a Vincenzo Bellini, uno dei più importanti compositori italiani dell’Ottocento. La statua è opera di Alfonso Balzico (1886), che nelle nicchie del piedistallo aveva collocato statue raffiguranti le eroine delle sue opere principali. Piazza Bellini è circondata da palazzi storici del XVI e XVII secolo. E’ possibile vedere il Complesso di S. Antonio delle Monache, che colpisce per il grande scalone a doppia rampa. Su via Costantinopoli, ubicato al numero 98, si trova il Palazzo Firrao che sul portale ha lo stemma di famiglia e le statue della Magnanimità e della Liberalità, virtù che il committente attribuiva a se stesso. L’edificio colpisce per la commistione di elementi rinascimentali, come la ripartizione ordinata della facciata, e quelli barocchi come la vistosa decorazione.
Un complicato intrigo di donne vicoli e delitti
Lina Wertmüller è la regista del film Un complicato intrigo di donne vicoli e delitti, girato nel 1986. In una squallida pensione Bartolomeo Rocco detto “babà” viene ucciso mentre sta tentando di violentare l’ex amante Nunziata, alla quale ha ceduto la gestione dell’albergo. Nell’arco di pochi giorni si susseguono altri strani omicidi, in cui la presenza ricorrente di una siringa fa pensare a rese dei conti legate al traffico di droga. Nunziata, unica testimone, è tenuta d’occhio dalla polizia, mentre “Tango”, boss che tutti credono in America e che invece si rifugia in una lussuosa villa, cerca il responsabile della morte del fratello Bartolomeo. Il padre dei due, invece, contrario alle strategie del figlio, sospetta di Carmela, amica di Nunziata, che durante l’omicidio di Bartolomeo cantava una strana canzone. Scoperto dalla polizia nella sua camera segreta, dove si trova anche Nunziata, “Tango” viene a sua volta misteriosamente ucciso. I sospetti si stringono intorno a Frankie, altro ex amante di Nunziata, rifiutato dalla donna perché coinvolto nel traffico di droga. Nunziata viene a sapere che anche suo figlio, ancora bambino, è stato coinvolto nello spaccio: sorpresolo mentre due adulti lo incitano a iniettarsi una dose, interviene con Antonio, brillante ballerino amico d’infanzia, che viene ferito a morte. La verità sugli omicidi viene a galla nel teatro dove si esibisce Carmela, che dichiara di essere in un gruppo di madri che avendo perso i figli per la droga, hanno deciso di farsi giustizia. Carmela uccide anche suo marito quando scopre che è complice di Frankie. Questi, riuscito a scappare, muore cadendo dal tetto della Galleria Umberto. L’anziano padre di “Tango” e “Babà” disperde nell’aria il bottino “sporco” dell’uomo.
Una delle location del film Un complicato intrigo di donne vicoli e delitti è il Palazzo Donn’Anna, che ha fatto da ambientazione anche ad altre pellicole come I guappi e Totò, Peppino e la malafemmina.
L’amore molesto
Il film L’amore molesto del regista Mario Martone, girato nel 1995, racconta di Delia, che vive a Bologna e lavora come disegnatrice di fumetti. Delia torna a casa, a Napoli, per la morte della madre Amalia, avvenuta in circostanze misteriose mentre si trovava su una spiaggia con un uomo, la cui presenza le era stata segnalata dalla madre stessa nelle strane telefonate fatte poco prima di morire. Il tentativo di Delia di ricostruire gli eventi e di identificare l’uomo misterioso diventa di fatto una ricostruzione della sua infanzia, durante la quale si delinea il carattere esuberante di Amalia, condizionata da un marito, pittore insoddisfatto, possessivo e geloso di un corteggiatore della donna, detto “Caserta”, che lo aiutava a piazzare i suoi quadri e che Delia bambina aveva designato come amante della madre, raccontando al padre di averli sorpresi insieme. L’uomo è proprio quello con cui Amalia si trovava sulla spiaggia e nelle sue ricerche Delia si imbatte anche nel figlio di lui, Antonio, compagno di giochi. I tasselli del ricordo si aggiungono ai racconti dello zio e alle sensazioni suscitate dall’incontro col padre. La verità si fa strada: la storia del tradimento era una bugia con la quale Delia aveva rimosso la violenza da lei stessa subita e nella quale aveva proiettato la sua indole severa e riservata, opposta a quella della madre. Di ritorno a Bologna dopo il funerale, Delia ripensa ancora alla sua morte ed è proprio col nome “Amalia” che si presenta ad alcuni ragazzi, compagni di viaggio.
Il film L’amore molesto ha avuto come location la Galleria Umberto I, location utilizzata anche da altri film quali Pacco, doppiopacco e contropaccotto e Stanno tutti bene.
Museo della Ceramica Duca di Martina
Il Museo della Ceramica Duca di Martina, sito all’interno della Villa Floridiana, è sede di una delle più prestigiose raccolte di arte decorativa. Il nucleo principale è costituito dalle collezioni donate da Placido di Sangro, duca di Martina, alla città partenopea nel 1911. La raccolta comprende oltre seimila opere di manifatture italiane, europee e orientali, databili tra il XII e il XIX secolo. Essa è costituita dalle cosiddette “arti minori”: vetri, avori, smalti, bronzi, coralli e, soprattutto, maioliche e porcellane. Il Museo Duca di Martina si articola su tre piani: il tour inizia dal vestibolo del museo, dove sono esposti i ritratti di Ferdinando IV e della duchessa di Floridia. Lungo il percorso è possibile ammirare maioliche cinquecentesche rinascimentali, scrigni, cornici, oggetti in tartaruga, vetri, cristalli, mobili, cofanetti, oggetti d’arredo, avori e smalti. Sono presenti libri e arredi sacri in metallo prezioso, medaglioni miniati, scrittoi da viaggio, una collezione di serrature per forzieri e battenti di portone in ferro, risalenti ai secoli XVII e XVIII e cornice siciliana, datata inizio Settecento, lavorata in diversi materiali preziosi con la riproduzione miniata della Deposizione di Federico Barocci. Una parte della collezione è dedicata all’arte orientale come le porcellane giapponesi e cinesi. E’ possibile vedere collezioni di miniature italiane, francesi e inglesi. Alle pareti di molte sale sono presenti bozzetti di molti pittori napoletani del XVIII secolo come Francesco Solimena, Domenico Antonio Vaccaro, Francesco De Mura, Corrado Giaquinto solo per citarne alcuni. La parte più consistente della collezione è dedicata alle porcellane di diversa provenienza ed è da sottolineare la raccolta di porcellane di Capodimonte, che riveste particolare importanza.