mercoledì 2 Aprile 2025
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Complesso Monumentale San Lorenzo Maggiore

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Complesso Monumentale San Lorenzo Maggiore

Il Complesso monumentale San Lorenzo Maggiore si trova nel cuore del centro antico della città partenopea.

La chiesa, costruita su un’area della città greco-romana e paleocristiana, è stata innalzata a partire dal 1270 seguendo uno stile gotico. La basilica di San Lorenzo Maggiore colpisce per il deambulatorio a cappelle radiali, l’abside poligonale, il presbiterio a pilastri polistili, costoloni e volte a crociere. Il passaggio dalla zona absidale, più antica, a quella della navata mostra un passaggio da maestranze francesi a quelle locali. Vi hanno lavorato artisti come Massimo Stanzione, Tino da Camaino, Cosimo da Fanzago, Francesco De Mura, Colantonio e Simone Martini. Le pale di questi ultimi due artisti ora sono al Museo di Capodimonte. La facciata è stata ricostruita da Ferdinando Sanfelice.

Il Complesso monumentale San Lorenzo Maggiore comprende anche il convento.

La facciata presenta un portale della seconda metà del Quattrocento, sormontato da un balconcino, disegnato da Lorenzo Vaccaro, e al di sopra sono collocati lo stemma della città e quelli dei sedili, istituzioni amministrative della città.  Accanto si trova il campanile con i suoi quattro piani e la statua di San Lorenzo. A sinistra dell’androne si accede al settecentesco Chiostro, che emerge tra i resti dell’antico “macellum” e ha al centro un pozzo realizzato da Cosimo Fanzago. Dal chiostro si accede ad altre sale del convento e agli scavi archeologici, che sono i resti della città greco-romana e altomedievale.

Importante è anche il Museo dell’Opera di San Lorenzo Maggiore poiché racconta la storia di Napoli dall’età classica sino all’Ottocento.

Il Complesso monumentale San Lorenzo Maggiore riveste importanza religiosa, artistica e culturale ma anche storica. E’, infatti, un contenitore di memorie storiche: luogo di incontro tra Boccaccio e Fiammetta, Petrarca abita nel convento e sempre qui si sono svolte le riunioni del Parlamento del regno mentre il generale Championet proclama nel 1799 la Repubblica Partenopea.

Accademia di Belle Arti a Napoli

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L'immagine mostra l'interno dell'Accademia delle Belle Arti
L'immagine mostra l'interno dell'Accademia delle Belle Arti

L’ Accademia di Belle Arti di Napoli è una delle più antiche d’Italia. L’ Accademia di Belle Arti è ubicata nell’ex convento di San Giovanni, riadattato da Enrico Alvino, il quale riutilizza in parte le strutture preesistenti. I lavori, iniziati nel 1864 da Enrico Alvino, saranno terminati da Giuseppe Pisanti, autore dell’imponente scalone alla cui sommità si apre la biblioteca e la galleria che custodisce opere di molti artisti meridionali dell’Ottocento e dei primi del Novecento. L’idea di trasformare una raccolta in un nucleo permanente di una galleria d’arte moderna, all’interno dell’Istituto, è di Filippo Palizzi. Il fondo esistente è ordinato da Domenico Morelli, il quale viene aiutato da Saverio Altamura. La galleria è stata aperta e chiusa più volte a causa di problemi legati all’umidità, ai lucernari, agli eventi bellici. Il 2005 segna la riapertura al pubblico della Galleria dell’Accademia e la sistemazione definitiva delle opere al suo interno.
La Galleria dell’Accademia di Belle Arti ospita dipinti, sculture e disegni dal XVI al XX secolo, attraverso cui è possibile ricostruire la storia dell’istituzione. La Sala Palizzi riveste particolare importanza per le opere di Filippo Palizzi e dei suoi fratelli.
E’ possibile vedere le opere di artisti della scuola di Posillipo, di pittori francesi e della scuola napoletana come Domenico Morelli, Francesco Saverio Altamura e Gioacchino Toma solo per citarne alcuni. Come esponenti della scultura napoletana si citano, invece, Achille D’Orsi e Vincenzo Gemito.

L’Accademia di Belle Arti è la location di due celebri film di Nanni Loy: Le quattro giornate di Napoli, e Scugnizzi.

Accademia di Belle Arti location di Nanni Loy

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leone all'entrata dell'Accademia di Belle Arti location di Nanni Loy
leone all'entrata dell'Accademia Di Belle Arti a Napoli

Accademia di Belle Arti location di Nanni Loy di due celebri film. Ne Le quattro giornate di Napoli, Nanni Loy filma, sulle scale d’ingresso dell’Accademia di Belle Arti, un marinaio (Jean Sorel) che viene fucilato dai soldati tedeschi, mentre i napoletani sono costretti a inginocchiarsi e ad applaudire durante l’esecuzione. In Scugnizzi un giovanissimo spacciatore di droga finisce per uno scherzo del destino nelle mani della polizia. La scena de Le quattro giornate di Napoli racconta un episodio realmente avvenuto, la fucilazione di un marinaio sulle scale dell’Università  Federico II, sul corso Umberto I. Considerata la difficoltà  di bloccare il traffico in una importante arteria stradale, la produzione del film scelse di girare sulla scalinata dell’Accademia di Belle Arti, architettonicamente molto simile a quella dell’Università .

La Galleria dell’Accademia di Belle Arti ospita dipinti, sculture e disegni dal XVI al XX secolo, attraverso cui è possibile ricostruire la storia dell’istituzione. La Sala Palizzi riveste particolare importanza per le opere di Filippo Palizzi e dei suoi fratelli.
E’ possibile vedere le opere di artisti della scuola di Posillipo, di pittori francesi e della scuola napoletana come Domenico Morelli, Francesco Saverio Altamura e Gioacchino Toma solo per citarne alcuni; invece, come esponenti della scultura napoletana si citano Achille D’Orsi e Vincenzo Gemito.

Piazza Bellini fa da sfondo a Filumena Marturano

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matrimonio all'italiana Sophia Loren interpreta Filumena Marturano
matrimonio all'italiana Sophia Loren interpreta Filumena Marturano

Una scena del film Matrimonio all’Italiana è girata sullo sfondo di Piazza Bellini e di via Costantinopoli.

Una scena del film Matrimonio all’Italiana è girata sullo sfondo di Piazza Bellini e di via Costantinopoli. La sconsolata Filumena Marturano (Sofia Loren) esce dallo studio dell’avvocato, che ha appena sancito l’annullamento del suo matrimonio con don Domenico. Filumena vede la sua immagine riflessa in una vetrina, sorride nel vedersi con il cappello da signora indossato per l’occasione e se lo toglie, per poi gettarlo in un cestino dei rifiuti. Il regista del film Vittorio De Sica, racconta che durante le riprese di questa scena, passava per caso un fattorino con una grande corona di fiori bianchi e rossi.

Colpito dall’impressione che provocava il passaggio di una corona da morto mentre Filumena era intenta a guardarsi nella vetrina, il regista chiese ai suoi segretari di fermare quell’uomo e di fargli ripetere lo stesso movimento con i fiori, in modo da poterlo filmare.

Nonostante avesse fretta di consegnare la corona per una veglia funebre, il fattorino acconsentì, ripetendo più volte il suo passaggio alle spalle di Filumena. Terminate le riprese, De Sica fu avvicinato da un avvocato, il quale dichiarò che quella corona funebre, su cui c’era il suo nome, era destinata a una famiglia di suoi conoscenti. L’avvocato non avrebbe gradito che sullo schermo si fosse letto il suo nome, per paura che un gesto disinteressato e spontaneo fosse interpretato come una ostentazione. “Non dubiti, il suo nome non si leggerà. – lo rassicurò De Sica – E’ soltanto il colore dei fiori che c’interessa”.

Le mani sulla città di Francesco Rosi

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Le mani sulla città è un film diretto dal regista Francesco Rosi
Le mani sulla città è un film diretto dal regista Francesco Rosi

Le mani sulla città, girato nel 1963, è un film del regista Francesco Rosi. Il consigliere ed imprenditore edile Eduardo Nottola ambisce a diventare assessore, per gestire i propri interessi, relativi alla costruzione di un nuovo quartiere. A un mese dalle elezioni crolla uno stabile adiacente al palazzo che la sua impresa, diretta dal figlio, sta costruendo in un vecchio vicolo di Napoli, provocando morti e feriti. L’opposizione di sinistra chiede un’inchiesta sulla speculazione edilizia, che con adeguate manovre viene ridimensionata, risultando così inefficace. Intanto la maggioranza di destra, indebolita dallo scandalo, chiede a Nottola di ritirarsi dalle elezioni. L’imprenditore passa al centro, che vince le elezioni, e viene eletto assessore col sostegno del nuovo sindaco, che avalla il suo piano edilizio, destando l’inutile protesta dell’opposizione e dell’ala progressista del centro.
Set del film Le mani sulla città è l’Hotel Ambassador, il grattacielo di Napoli, in cui è ambientato l’ufficio del costruttore Nottola (Rod Steiger), che in questo film di denuncia diretto da Francesco Rosi diventa il simbolo della speculazione edilizia locale. Il grattacielo, costruito negli anni Cinquanta e la cui mole è visibile da diversi angoli di Napoli, è ricordato anche nel romanzo Ferito a morte dello scrittore Raffaele La Capria, che con Rosi è anche autore della sceneggiatura de Le mani sulla città.

Castel Nuovo detto Maschio Angioino

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Foto del Castel Nuovo comunemente conosciuto come Maschio Angioino a Napoli
Foto del Castel Nuovo comunemente conosciuto come Maschio Angioino a Napoli

maschioCastel Nuovo comunemente conosciuto come Maschio Angioino, è uno dei quattro Castelli napoletani.

Per realizzare Castel Nuovo il re Carlo d’Angiò fece spianare l’area e quanto vi si trovava, compreso un convento francescano, che fu trasferito e che oggi si chiama Santa Maria La Nova. L’imponente Arco di Trionfo fu fatto aggiungere da Alfonso d’Aragona per celebrare il suo ingresso a Napoli. Il castello, col Museo Civico e la Cappella Palatina con affreschi medievali dai quali traspare la scuola di Giotto, è stato il luogo dove si è formata gran parte della storia di Napoli. Al termine del grande scalone nel cortile si trova la Sala dei Baroni, l’immenso salone così chiamato perché furono ospitati, con la scusa di un pranzo, i baroni che avevano cospirato e vi furono uccisi dagli arcieri appostati in alto. Castel Nuovo è un monumento da visitare e “vivere”, prescindendo dalla sua materialità per cogliere i risvolti intimi di un popolo che ha pochi uguali al mondo.

Per la sua posizione strategica, Castel Nuovo, rivestì non solo le caratteristiche di una residenza reale, ma anche quelle di una fortezza chiamato “Castrum Novum”per distinguerlo da quelli più antichi dell’Ovo e Capuano. Durante il regno di Roberto d’Angiò il Castello divenne un centro di cultura dove soggiornarono artisti, medici e letterati fra cui Giotto, Petrarca e Boccaccio. Agli Angioini successero gli Aragonesi con Alfonso I, che seguendo la scelta dei predecessori, fissò la sua dimora reale in Castel Nuovo iniziandone i lavori di ricostruzione e facendo innalzare all’esterno, fra la Torre di Mezzo e quella di Guardia, il grandioso Arco di Trionfo per celebrare il suo vittorioso ingresso nella città di Napoli.

Con gli Aragonesi si assiste al passaggio dal medioevale castello-palazzo alla fortezza di età moderna, adeguata alle nuove esigenze belliche e la zona intorno al Castello perde il carattere residenziale che aveva con gli Angioini. La struttura della costruzione aragonese risulta senz’altro più massiccia rispetto a quella angioina e rispecchia abbastanza fedelmente quella attuale, scaturita dai lavori di risanamento dei primi anni di questo secolo.

Il monumento presenta una pianta trapezoidale formata da una cortina di tufo in cui si inseriscono cinque torri cilindriche (di cui quattro di piperno ed una di tufo) poggianti su un basamento in cui si aprono dei cammini di ronda. L’area del cortile, che ricalca quella angioina, è formata da elementi catalani come il porticato ad arcate ribassate e la scala esterna in piperno, opera dell’architetto maiorchino Guglielmo Sagrera, che conduce alla Sala dei Baroni e conferisce a questo angolo della corte il caratteristico aspetto dei patii spagnoli.

Alla fine del XV secolo i Francesi subentrarono agli Aragonesi; tale presenza non durò per molto tempo, in quanto i Francesi furono sostituiti a loro volta dai viceré spagnoli ed austriaci. Durante il periodo vicereale (1503-1734), le strutture difensive del castello, adibito ad un uso prettamente militare, vennero ulteriormente modificate. Con l’avvento di Carlo III di Borbone che sconfisse l’imperatore Carlo VI nel 1734, il castello venne circondato in varie riprese da fabbriche di ogni genere, depositi ed abitazioni.

Chiesa di Sant’Angelo a Nilo

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La Chiesa di Sant'Angelo a Nilo si trova in Piazzetta Nilo, nel cuore del centro storico e della Napoli greco-romana. La chiesa è fondata nel 1384 per volere , ubicata nel cuore del centro storico della città, è nota per il sepolcro del cardinale Rinaldo Brancaccio, opera di Donatello e Michelozzo
La Chiesa di Sant'Angelo a Nilo si trova in Piazzetta Nilo, nel cuore del centro storico e della Napoli greco-romana. La chiesa è fondata nel 1384 per volere , ubicata nel cuore del centro storico della città, è nota per il sepolcro del cardinale Rinaldo Brancaccio, opera di Donatello e Michelozzo

La Chiesa di Sant’Angelo a Nilo si trova in Piazzetta Nilo, nel cuore del centro storico e della Napoli greco-romana. La chiesa è fondata nel 1384 per volere del cardinale Rinaldo Brancaccio, per cui è nota anche con il nome di Cappella Brancaccio. La chiesa è ampliata nel 1535, ma assume l’aspetto attuale con i lavori eseguiti nel 1709, ad opera dell’architetto Arcangelo Guglielmelli. L’interno della chiesa presenta un arredo marmoreo sei-settecentesco, l’organo tardo-barocco e tele di Giovanni Battista Lama inseriti in stucchi disegnati dal Guglielmelli. La Chiesa di Sant’Angelo a Nilo conserva il sepolcro del cardinale Rinaldo Brancaccio, opera di Donatello e Michelozzo. Molto bello è il rilievo, inserito nel sepolcro del cardinale, raffigurante l’Assunzione della Vergine, opera di Donatello. Il pannello è apprezzato per la tecnica dello stiacciato. Un’altra bella opera è il San Michele Arcangelo di Marco Pino, collocato sull’altare maggiore. Vi hanno lavorato artisti come Jacopo della Pila, Michele Guerrisi, Carlo Sellitto e Bartolomeo e Pietro Ghetti solo per citarne alcuni. Dalla chiesa è possibile accedere al cortile di Palazzo Brancaccio, dove nel 1690 è inaugurata la prima biblioteca napoletana aperta al pubblico.

La Chiesa della Pietà dei Turchini

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In fotografia si vede la navata centrale della chiesa della Pietà dei Turchini
In fotografia si vede la navata centrale della chiesa della Pietà dei Turchini

La Chiesa della Pietà dei Turchini, ubicata in via Medina, è costruita tra il 1592 e il 1595. Nel 1633-1639 è ampliata con l’aggiunta del transetto e della cupola, oggetto di molti lavori nel corso degli anni.  La congregazione dell’Oratorio dei Bianchi decide di fondare un orfanotrofio per ragazzi abbandonati e così la chiesa della Pietà prende il nome “dei Turchini” dal colore dell’abito indossato dai ragazzi, che venivano accolti nell’annesso conservatorio. La Chiesa della Pietà dei Turchini si presenta con una sola navata e dieci cappelle laterali più due cappelline del transetto. La chiesa conserva sia tele sia preziosi marmi, opere di artisti come Battistello Caracciolo, Luca Giordano, Filippo Vitale, Andrea Vaccaro, Dionisio Lazzaro e la pittrice napoletana Annella De Rosa. L’altare maggiore, realizzato tra il 1770 e il 1773, è opera di Giovanni Atticciati mentre la balaustra è realizzata da Carlo Dellifranci. L’abside custodisce la Pietà di Giacinto Diano e dietro all’altare è collocato L’adorazione di pastori, opera di Juan Dò. Il Conservatorio della Pietà dei Turchini ha avuto un ruolo importante per l’affermazione della scuola musicale napoletana.

Il mistero di Bellavista di Luciano De Crescenzo

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Il mistero di Bellavista è un film scritto, diretto e interpretato da Luciano De Crescenzo
Il mistero di Bellavista è un film scritto, diretto e interpretato da Luciano De Crescenzo

Il mistero di Bellavista è un film scritto, diretto e interpretato da Luciano De Crescenzo nel 1984. Saverio raggiunge Salvatore e il professor Bellavista sul tetto del palazzo mentre stanno scrutando il cielo per vedere la cometa di Halley. Salvatore gioca col telescopio e vede commettere un omicidio nel palazzo di fronte. Scattano le indagini. I tre amici tenteranno di risolvere l’enigma, scoprendo l’assassino e ritrovando il corpo. Le loro ricerche li porteranno a contatto con situazioni all’apparenza misteriose, ma che in realtà hanno una spiegazione quasi sempre surreale. Alla fine, ogni pezzo troverà il giusto posto e il mistero sarà risolto. Non è avvenuto nessun omicidio, ma nessuno è mai davvero innocente.
Via Foria è la location di due film di Luciano De Crescenzo. Al n. 106 si trova il palazzo del protagonista di Così parlò Bellavista e Il mistero di Bellavista.

Palazzo Donn’Anna a Posillipo

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Veduta del Palazzo Donn'Anna, la cui splendida facciata dà direttamente sul mare
Veduta del Palazzo Donn'Anna, la cui splendida facciata dà direttamente sul mare

Palazzo Donn’Anna si trova all’inizio della collina di Posillipo ed è un elemento preminente del profilo costiero. La sua costruzione risale alla metà del XVII secolo, per volere del viceré spagnolo don Filippo Gùzman de las Torres. Il palazzo era destinato a sua moglie Anna Carafa. Il viceré affidò l’incarico a Cosimo Fanzago. La costruzione avveniva sul luogo di una preesistente dimora dei principi Carafa. Il progetto di Cosimo Fanzago, realizzato dal 1640 al 1644, fu definito dal Celano “una delle più belle, più vaghe e bizzarre abitazioni non dico di Napoli, ma d’Europa tutta”. Lo schema principale del palazzo era a U e si accedeva dal mare da due gallerie, scavate nel tufo, che insieme alle scale conduceva ai tre piani superiori, contenenti sei appartamenti. Inizialmente, si accedeva al palazzo solo dal mare. L’edificio racchiudeva un giardino luminoso che apriva sul mare e su ogni facciata si alternavano arconi tra paraste. Il palazzo rimase incompiuto poiché i lavori furono sospesi al rientro del viceré in Spagna. Inoltre, dopo la morte di Donn’Anna, il palazzo fu saccheggiato e devastato durante i moti di Masaniello, dal terremoto del 1688 e dall’allargamento della strada, quando si demolì parte delle ali settentrionali.
Il Palazzo Donn’Anna viene citato anche nelle “Leggende napoletane” di Matilde Serao, che scrive: “Il bigio palazzo si erge nel mare. Non è diroccato, ma non fu mai finito; non cade, non cadrà, poiché la forte brezza marina solidifica ed imbruna le maglie, poiché l’onda del mare non è perfida come quella dei laghi e dei fiumi, assalta ma non corrode. Le finestre alte, larghe, senza vetri, rassomigliano ad occhi senza pensiero; nei portoni dove sono scomparsi gli scalini della soglia, entra scherzando e ridendo il flutto azzurro, incrosta sulla pietra le sue conchiglie, mette l’arena nei cortili, lasciandovi la verde e lucida piantagione delle alghe”.
Palazzo Donn’Anna, espressione dello stile barocco, riveste un fascino particolare sia per la suggestiva collocazione sul mare sia, forse, per l’incompiutezza dell’edificio che assume un fascino particolare.