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Mercoledì 11 Gennaio Flash mob sulle note de La donna è mobile

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La donna è mobile flash mob Mercoledì 11 Gennaio

Mercoledì 11 gennaio 2017, ore 17.30 Flash Mob sulle note de La donna è mobile

A Napoli, in Piazza Trieste e Trento l’aria più celebre che divenne un tormentone quando Rigoletto di Giuseppe Verdi andò in scena per la prima volta nel 1851 mercoledì 11 gennaio diventerà un Flasch Mob

La donna è mobile
qual piuma al vento,
muta d’accento ~ e di pensier.
Sempre un amabile
leggiadro viso,
in pianto o in riso, ~ è menzogner.
È sempre misero
chi a lei s’affida,
chi le confida ~ mal cauto il cor!
Pur mai non sentesi
felice appieno
chi su quel seno ~ non liba amor!
(Rigoletto, Atto III, scena seconda, aria del Duca di Mantova)

Un flash mob dedicato a chi ama l’opera

Un flash mob dedicato a chi ama l’opera o desidera avvicinarsi al mondo di Rigoletto di Giuseppe Verdi (in scena per 9 recite al teatro di San Carlo dal 18 gennaio al primo febbraio 2017) avrà luogo mercoledì 11 gennaio alle ore 17.30 in Piazza Trieste e Trento. Aperto a tutti i tipi di vocalità (contralto, basso, soprano e tenore).

Il foyer del Teatro di San Carlo si trasformerà in un palcoscenico aperto alla città

Il foyer del Teatro di San Carlo si trasformerà in un palcoscenico aperto alla città e a tutti gli aspiranti cantanti o a coloro che avranno voglia di prestare la loro voce. Sul sito del San Carlo sono disponibili i tutorial audio e le parti per i quattro registri vocali.

L’aria prescelta, il ‘tormentone’, banco di prova per tutti i partecipanti, sarà una delle pagine più note del repertorio operistico, quei versi scritti da Francesco Maria Piave che si dice Giuseppe Verdi tenne sotto embargo, per non rivelare l’effetto che avrebbe dovuto suscitare la sera della prima. Si narra infatti che il tenore Raffaele Mirate, che per primo la interpretò, dovette provarla in gran segreto.

La donna è mobile divenne un tormentone fischiettato dagli stessi gondolieri ed è ad oggi uno dei brani più eseguiti

Data l’estrema orecchiabilità e l’amabilità della musica, dopo la prima rappresentazione dell’opera, avvenuta alla Fenice di Venezia l’11 marzo 1851, La donna è mobile divenne un tormentone fischiettato dagli stessi gondolieri ed è ad oggi uno dei brani più eseguiti, memorabili furono le interpretazioni di Enrico Caruso, Giuseppe Di Stefano, Alfredo Kraus, Luciano Pavarotti, José Carreras, Plácido Domingo, per citarne solo alcune.

Al Teatro San Ferdinando il debutto nazionale di FERDINANDO

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Ferdinando in prima nazionale

Nadia Baldi firma la regia di FERDINANDO in prima nazionale dal 10 al 15 gennaio al Teatro San Ferdinando

Al Teatro San Ferdinando il debutto nazionale di FERDINANDO di Annibale Ruccello prodotto da Teatro Segreto per la regia di Nadia Baldi.
Lo spettacolo, in prima nazionale dal 10 al 15 gennaio è interpretato da Gea Martire, Chiara Baffi, Fulvio Cauteruccio e il giovane allievo della Scuola di teatro dello Stabile Francesco Roccasecca nel ruolo di Ferdinando.

Nel ruolo di Donna Clotilde, il personaggio abilmente disegnato da Ruccello, al centro della vicenda, è Gea Martire, affiancata, nella non meno distillata figura della di lei cugina, Gesualda, da Chiara Baffi, e da Fulvio Cauteruccio nei panni del parroco Don Catellino con il giovane Francesco Roccasecca in quelli del personaggio del titolo, Ferdinando.

I costumi sono di Carlo Poggioli, la consulenza musicale di Marco Betta, il progetto luci della stessa Nadia Baldi.

Nulla sembra poter cambiare il corso degli eventi, finché alla villa non arriva Ferdinando: giovane dalla bellezza “morbosa e strisciante”.

Donna Clotilde, baronessa borbonica, si è rifugiata in una villa della zona vesuviana, scegliendo l’isolamento come segno di disprezzo per la nuova cultura piccolo borghese che si va affermando dopo l’unificazione d’Italia. È con lei una cugina povera, Gesualda, che svolge l’ambiguo ruolo di infermiera/carceriera.

I giorni trascorrono uguali, tra pasticche, acque termali, farmaci vari e colloqui con il parroco del paese. Don Catellino, un prete coinvolto in intrallazzi politici. Nulla sembra poter cambiare il corso degli eventi, finché alla villa non arriva Ferdinando, un giovane nipote di Donna Clotilde, dalla bellezza “morbosa e strisciante”.

Sarà Ferdinando a gettare lo scompiglio nella casa. Metterà a nudo contraddizioni, disseppellendo scomode verità. Spingerà un intreccio apparentemente immutabile verso un inarrestabile degrado.

[cml_media_alt id='3266']Gea Martire in Ferdinando di Ruccello regia Nadia Baldi[/cml_media_alt]

Ferdinando si concentra su quello che è forse il più insondabile mistero: la mente umana.

«FERDINANDO – scrive nelle note Nadia Baldi – contiene notevoli elementi espressivi per una realizzazione teatrale delle emozioni umane specchiandosi nella tagliente forza di una storia che attraverso il teatro ruoti intorno al disvelamento di una serie di segreti.

Ferdinando si concentra su quello che è forse il più insondabile mistero: la mente umana. Nasce così in me l’esigenza di indagare il possibile e impossibile mondo creativo che le donne sanno attuare quando i freni inibitori e culturali non hanno più il loro potere censurante.

Tutti i personaggi in una prima fase si presenteranno nel loro quotidiano. Sveleranno solo poi geniali strategie e stupefacenti mondi interiori. Lo spettacolo si incentrerà su un’indagine minuziosa, sul cogliere le sottigliezze dei gesti, degli sguardi, dei corpi in agguato.

Esiste sempre una connessione tra noi e i luoghi, tra noi e gli oggetti, tra noi e la memoria

Racconterà la singolare dinamica attraverso la quale gli oggetti divengono padroni dei luoghi. Le fantasie interiori dei personaggi diventano padroni della loro esistenza fino a spingerla verso una dimensione surreale, comica, drammatica e imprevedibile. Esiste sempre una connessione tra noi e i luoghi, tra noi e gli oggetti, tra noi e la memoria.

Le follie e gli incroci amorosi contenuti nella trama emergeranno come elementi contemporanei e modernissimi che da sempre regolano la potenza dei sogni e degli affetti presenti nella storia dell’umanità. Ferdinando mette in luce le connessioni esistenziali fra dramma e malinconia, comicità e solitudine. Sottolineando tali contrasti attraverso un uso di una messinscena che mira a svelare gli opposti sentimentali disseminati in tutte le esistenze».

Calendario rappresentazioni:

10, 11 e 13 gennaio ore 21.00;
12 gen. ore 17.00;
14 gen. ore 19.00;
15 gen. ore 18.00
Teatro San Ferdinando: www.teatrostabilenapoli.it | tel 081 292030 – 081 291878

La bonafficiata, il lotto, la tombola e la fantasia dei napoletani

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Bonafficiata a Napoli era il nome dato al gioco del lotto.

Non tutti sanno che bonafficiata era l’equivalente dialettale per “lotto”. Ne discendeva anche il modo di dire “Puozze piglià na bonafficiata!”, spesso usato in senso ampio per augurare una buona sorte. Taluni pensavano che nascesse dall’aggiunta dell’aggettivo buona al sostantivo afficiata, in cui riconoscevano l’equivalente di lotto o di vincita al lotto.

Bonafficiata deriva da beneficiata: vincitrice del lotto delle zitelle

Il termine Bonafficiata deriva da Beneficiata indicando le vincitrici di una speciale “lotteria” che si teneva a Napoli per sorteggiare periodicamente delle ragazze povere cui dare una dote in denaro (25 ducati) perchè potessero sposarsi.

Il Lotto delle Zitelle nacque verso il finire del ‘600 e prevedeva l’abbinamento di numeri a nomi di ragazze bisognose scelte dalla Regia Camera. Il numero delle fanciulle ammesse variava tra 80 e 90 e solo 5 di esse vincevano la dote. Questa lotteria fu soppressa nel 1865.

Nel cuore di Napoli si trova una strada dedicata alla Bonafficiata

A Napoli oggi si trova ancora una strada dedicata alla Bonafficiata: via Bonafficiata vecchia, una traversa di Salita Paradiso.
Il gioco del lotto però non è nato a Napoli, infatti si è diffuso nella città, solo nel 1682 mentre si sa che è nato a Genova nel 1539 con le scommesse illegali che il popolo faceva sui 90 nomi dei candidati per le elezioni al Senato che sarebbero usciti dalle urne
Il gioco del lotto è stato sempre ritenuto un gioco pericoloso e immorale e più volte è stato abolito ma con scarsi risultati tant’è che, per superare la crisi finanziaria del XIX secolo, si decise di legalizzarlo per trarne profitto a favore dello Stato.

Nel 1734 re Carlo III di Borbone ufficializza nel suo Regno il gioco del Lotto

Nel 1734 il re di Napoli Carlo III di Borbone era deciso ad ufficializzare il gioco del Lotto. In quanto il gioco del lotto se mantenuto in modo clandestino, avrebbe sottratto entrate alle casse dello Stato.

A ciò si opponeva il frate domenicano Gregorio Maria Rocco. Non era giusto introdurre un ‘così ingannevole ed amorale diletto‘ in un paese in cui si cercava sempre di rispettare gli insegnamenti cattolici.
Carlo III facendo presente che il lotto, se giocato di nascosto, sarebbe stato più pericoloso per le povere tasche dei sudditi, riuscì a spuntarla, ad un patto però, che il gioco del lotto, almeno nella settimana delle festività del Natale, sarebbe stato sospeso.

Durante le festività di Natale il gioco del lotto era vietato: nasce la tombola

In quei giorni il gioco, insomma, non poteva distrarre il popolo dalle preghiere.
Ma il popolo subito pensò di organizzarsi per proprio conto.
I novanta numeri del lotto furono messi in ‘panarielli’ di vimini e, per divertirsi in attesa della mezzanotte, ciascuno provvide a disegnare numeri sulle cartelle.
Così la fantasia popolare riuscì a trasformare un gioco pubblico in un gioco familiare, che prese il nome di tombola dalla forma cilindrica del numero impresso nel legno e dal capitombolo che fa lo stesso numero nel cadere sul tavolo dal panariello che, una volta, aveva la forma di tombolo.

Per ogni numero della tombola un simbolo

I simboli della tombola napoletana sono quasi tutti allusivi, alcuni anche piuttosto scurrili.
La parola ‘tombola’, secondo alcuni verrebbe da tombolare (roteare o far capitombolare i numeri nel paniere), secondo altri verrebbe da tumulo (forse per la forma piramidale del paniere).

Memento dal 3 al 6 gennaio al Nuovo Teatro Sancarluccio

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Dal 3 al 6 gennaio con MEMENTO un percorso dei più bei brani musicali che hanno segnato la nostra musica.

Dal 3 al 6 gennaio con MEMENTO un percorso dei più bei brani musicali che hanno segnato la nostra musica.

La musica quella vera, autentica, quella che appartiene al popolo, alle genti e che il mondo ci invidia, un patrimonio che la Campania e che tutto il meridione custodisce da sempre e che, anno dopo anno, si arricchisce di nuovi artisti che scrivono pagine di storia musicale indelebili che vanno ad aggiungersi ad un repertorio già vastissimo e straordinario e che ci conquistano.

Memento con Matteo Mauriello insieme a Marianita Carfora, Benedetta Fontana

Matteo Mauriello insieme a Marianita Carfora, Benedetta Fontana ed insieme ai miei amici musicisti proveremo a donare ed a restituire quelle magiche atmosfere e sensazioni che hanno caratterizzato e segnato il nostro percorso artistico e la nostra vita.

Ricordare da dove veniamo, le nostre radici, le nostre tradizioni, la nostra cultura è alla base di tutto. E’ conoscenza, è emozione, è anima, è vita.

Informazioni ed Orari

Orari: 3 gennaio ore 19,00 4 gennaio ore 21,00 5 gennaio ore 19 venerdì 6 ore 18
Info e prevendita: Nuovo Teatro Sancarluccio | telefono 081 410 44 67

 

Natale al Teatro San Ferdinando con Miseria e Nobiltà

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Miseria E Nobiltà di Eduardo Scarpetta con protagonista Tonino Taiuti su regia di Arturo Cirillo in scena dal 21 dicembre all’8 gennaio

Nel segno della rilettura di testi emblematici della tradizione teatrale partenopea si colloca l’allestimento prodotto dal Teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale di Miseria e Nobiltà di Eduardo Scarpetta con la regia di Arturo Cirillo. Lo spettacolo debutterà in prima nazionale al Teatro San Ferdinando di Napoli mercoledì 21 dicembre, dove replicherà fino a domenica 8 gennaio 2017.

La celebre commedia di Eduardo Scarpetta del 1887

La celebre commedia di Eduardo Scarpetta del 1887, che narra la vicenda dello scrivano pubblico Don Felice e del salassatore Don Pasquale che si fingono parenti del marchesino Eugenio perché questi possa ottenere la mano della figlia di un ex cuoco arricchito, vede protagonista, nel ruolo di Felice, Tonino Taiuti. Con lui recitano Giovanni Ludeno (Pasquale), Milvia Marigliano (Luisella), Sabrina Scuccimarra (Concetta), Arturo Cirillo (Gaetano), Rosario Giglio (Marchese Ottavio Favetti e Giacchino Castiello), Gino De Luca (Luigino e Vicienzo), Giorgia Coco (Bettina), Valentina Curatoli (Gemma), Viviana Cangiano (Pupella), Christian Giroso (Eugenio), Roberto Capasso (Biase), Emanuele D’Errico (Peppeniello). Le scene sono di Dario Gessati; i costumi di Gianluca Falaschi; il disegno luci è di Mario Loprevite; le musiche sono di Francesco De Melis.

Miseria e nobiltà è un bellissimo testo, brillante e violento

Arturo Cirillo, regista di riferimento dello Stabile di Napoli, nelle sue note di regia scrive: “Miseria e nobiltà è un bellissimo testo. Come tutti i bellissimi testi dentro ci si trova di tutto, o almeno parecchio. Anche cose che non si pensavano, che erano sfuggite all’esperienza della lettura. È un testo brillante e violento, sentimentale e crudele. Ci senti il rapporto con la tradizione: la fame di Pulcinella e il drammone sentimentale, la famiglia e la condizione sociale, le maschere e i travestimenti, le beffe e gli apparenti lieti fine. La lingua è quella già incontrata in “Mettiteve a fa’ l’amore cu me!” un po’ di anni fa. Una lingua sincopata, onomatopeica, con cui il corpo ha a volte una vera e propria collusione”.

Miseria e Nobiltà, per tradizione, è il terreno di debutto dei figli d’arte

«In questo caleidoscopico contenitore – continua ancora Cirillo – da cui sono usciti almeno un film celeberrimo e vari spettacoli su cui ammettiamo che non ci siamo documentati e ai quali non abbiamo chiesto ispirazione, dicevamo che in questo testo dei temi si sono affermati maggiormente. La fame, con tutto il suo generale apparato di pasti immaginari o reali, elencazioni di cibi, ex cuochi, accordi per pranzi e cene da ripetersi per anni. Altro tema che affiora prepotentemente, quasi da sè, è la paternità.

La storia ci ha raccontato di come due importanti famiglie teatrali si siano create e divise in relazione al non riconoscimento da parte di Eduardo Scarpetta dei suoi figli illegittimi. E forse vi è anche un significato ulteriore nel fatto che proprio questo testo sia stato, per tradizione, il terreno di debutto dei figli d’arte, con il padre capocomico che presentava al mondo del teatro il figlio, nei ruoli rispettivamente di Don Felice e Peppiniello.

Paternità che si rincorrono fino alla fine, dove il litigio tra padre e figlio del primo atto trova una sua pacificazione e accettazione nel terzo. Una vecchia famiglia si ricrea, dopo che ci si è ritrovati sotto travestite spoglie e divise di servitù. E poi c’è la vera miseria e la finta nobiltà, vera perché la fame non è effimera, non è eterea ma è concreta e materica. La nobiltà al contrario è apparenza, “albagia”, come un sogno. “Miseria e nobiltà” è un bellissimo testo e questa del San Ferdinando è una bellissima compagnia. Buon natale e buon anno».

Per informazioni e prenotazioni

Teatro San Ferdinando
Biglietteria:  081 551 33 96
biglietteria@teatrostabilenapoli.it

 

Adriana Lecouvrer dal 16 ottobre al Teatro San Carlo

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Adriana Lecouvreur

Da domenica 16 ottobre e fino a domenica 23 torna in scena al San Carlo Adriana Lecouvreur, capolavoro verista di Francesco Cilea.

La messa in scena proposta al Teatro di San Carlo, per la regia di Lorenzo Mariani, vedrà protagonista Anna Pirozzi che si alternerà a Svetla Vassileva nel ruolo del titolo, il conte Maurizio sarà Gustavo Porta, mentre la principessa di Bouillon avrà le voci di Luciana D’Intino e Marianne Cornetti. Sul podio il Maestro Daniel Oren.
Composta da Francesco Cilea su libretto di Arturo Colautti, Adriana Lecouvreur (1902) ha come fonte l’omonimo dramma di Eugène Scribe e Ernest Legouvé, cavallo di battaglia di molti grandi interpreti di fine ‘800 come Eleonora Duse e Sara Bernhardt.

Adriana Lecouvrer si ispira alla figura realmente esistita di Adrienne Lecouvreur

L’opera trae ispirazione dalla figura di Adrienne Lecouvreur attrice realmente esistita che rivoluzionò l’arte della recitazione alla Comédie-Française, donna raffinata e seducente, che ebbe successo tanto in società quanto in palcoscenico, fino ad annoverare metà della corte di Luigi XV fra le sue conoscenze, a conquistarsi l’ammirazione di Voltaire e di altri letterati insigni, nonché a diventare l’invidiata amante di Maurice, conte di Sassonia, il soldato brillante che grazie alle sue imprese era diventato il beniamino delle dame aristocratiche di tutta Europa.

Si sospettò per un po’ che questa relazione potesse aver causato la morte di Adrienne, avvenuta all’età prematura di trentotto anni, avvelenata, si disse, da una delle altre amanti del conte. La tragedia ebbe un seguito anche dopo la sua morte; le furono infatti negati i riti funebri da una Chiesa inclemente, la quale si oppose finanche alla sua sepoltura in terra consacrata – provocando in tal modo l’indignazione eloquente di Voltaire, il quale espresse il suo dolore nella Elegia in morte di Mademoiselle Lecouvreur.

 

La parte di Adriana Lecouvreur ha attratto tante prime donne ansiose di sfruttare il suo pathos delizioso

Non sorprende perciò che la parte abbia attratto tante prime donne – Mafalda Favero, Magda Olivero, Renata Tebaldi e Joan Sutherland – fra le altre tutte ansiose di sfruttare il suo pathos delizioso. La sua “Io son l’umile ancella”, per esempio, comunica il senso di morbidezza in maniera non meno efficace e memorabile della “Mi chiamano Mimi” di Puccini. La frase iniziale di quest’aria, come il tema de “La dolcissima effigie” del conte Maurizio, ricorre come un leitmotive in tutta l’opera.

Se da un lato sarebbe sbagliato affermare che Cilea possiede un ingegno paragonabile a quello vivido di Puccini, dall’altro questa musica parla con una sua voce riconoscibile che è delicatamente commovente e che ha donato alla tragica Adrienne Lecouvreur una fragile immortalità. Non sono solo le singole arie a colpire seppure ve ne siano tante e tutti i duetti degli innamorati, ma è l’intera partitura che ha una fluidità e una fragranza le quali rafforzano il dramma in ogni momento.

Adriana Lecouvreur è un’opera davvero nuova con un’originale cambio di prospettiva

Adriana Lecouvreur è un’opera davvero nuova nel suo genere: nonostante si intuisca il profondo amore per la tradizione che anima Cilea, ciò che colpisce maggiormente è, infatti, l’originale cambio di prospettiva di cui è portatrice. Cilea non cerca lontano e non esplora atmosfere esotiche; rimane invece nel luogo in cui è sempre stato, che ama e conosce meglio di ogni altro: il TEATRO!

Vai su Play Store e scarica l’applicazione gratuita “Itinerari di Napoli” lascia il tuo commento. Al commento più bello in omaggio due ingressi per domenica 23 ottobre alle ore 17 per vedere Adriana Lecouvre

[cml_media_alt id='3197']i teatri della città di Napoli con Itinerari di Napoli[/cml_media_alt]

 

 

Quando il mare lambiva la zona del Cerriglio

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S’arrecorda ‘o mare ô Cerriglio cioè quando il mare lambiva la zona del Cerriglio

La zona del Cerriglio, prossima al porto, era ubicato il Sedile di Porto, uno dei tanti comprensori amministrativi in cui, in periodo viceregnale, era divisa la città di Napoli.
Nella medesima zona del Cerriglio esisteva, nel 1600 circa, una antica bettola o osteria frequentata da ogni tipo di avventori dai nobili che vi venivano a provare l’ebrezza dell’ incontro con il popolino, ai plebei che per pochi soldi vi si sfamavano, agli artisti in cerca di ispirazione alle prostitute in cerca di clienti.

La locanda del Cerriglio, ovvero la locanda dove fu aggredito Caravaggio

Michelangelo Merisi, maggiormente noto come il Caravaggio, aveva ancora una volta dipinto i propri ricordi e i propri tormenti, finendo per ritrarre – anche in questo caso – se stesso nel Cristo che aveva assunto l’atteggiamento di “un colpevole che scappa ai suoi guardiani”.
Una notte fonda, Caravaggio era in via Sedile del Porto nella taverna del Cerriglio, la locanda piu celebre della citta, nascosta nel reticolo tortuoso e maleodorante dei vicoli di quella zona del porto. La taverna era nota sia per la bonta della sua cucina e del suo vino – pari solo alla vivacita dei suoi avventori – sia per il gran numero di scrittori e artisti seduti ai suoi tavoli.

La locanda del Cerriglio veniva frequentata da nomi illustri come Benedetto Croce

E proprio le numerose e autorevoli testimonianze letterarie, che si moltiplicano nel corso dei secoli, fanno comprendere l’importanza del locale frequentato da nomi illustri come Giovan Battista Della Porta, Giambattista Basile, Giulio Cesare Cortese, Sgruttendio, Giovan Battista del Tufo, Carlo Celano, Emmanuele Bidera, Vincenzo D’Auria, Benedetto Croce.
Un luogo malfamato e pericoloso dunque? Molto probabilmente non piu del resto della citta e in particolare di quella zona, a pochi passi dal Porto. Di sicuro, pero, le taverne napoletane erano considerate – al pari di molte altre in Europa – ad alto rischio, in particolare per l’usanza di farne un rifugio per balordi e criminali. Quella notte, si bevve e si rise. Quattro uomini, si intrufolarono in silenzio nei locali. Caravaggio forse era ebbro di vino. Cerco di fuggire facendosi strada tra tavoli e lanterne a petrolio, fu aggredito, preso a pugni e a calci, sbattuto contro i muri umidi di muffa.

Ancora oggi non si conoscono gli agressori del Caravaggio

Le ipotesi formulate nel corso degli anni da numerosi autori appaiono senza fondamento, sia in termini di logica che di cronologia. Forse, l’episodio nella taverna del Cerriglio potrebbe essere banalmente legato a uno “sgarro” a qualche malavitoso che, platealmente, aveva punito il rissoso pittore.

Tutto ciò rimane un mistero, che influirà anche sulla conclusione di questa breve storia. Molti hanno notizia che il Caravaggio sia morto: “Si ha avviso da Napoli che fosse ammazzato Caravaggio, celebre dipintore, altri lo dicono sfregiato”. Dopo l’agguato Michelangelo, forse controllato dalla polizia spagnola, lavorava intensamente, terminando diversi capolavori trai quali “La negazione di San Pietro” (1610) il “San Giovanni Battista” (1610) e “David con la testa di Golia” (1609-10).

Il martirio di Sant’Orsola l’ultimo quadro dipinto a Napoli

L’ultimo quadro dipinto eseguito a Napoli, nella primavera del 1610, prima di partire, e “Il martirio di Sant’Orsola” (1610), eseguito per il principe Marcantonio Doria, concludendo quel conto in sospeso che l’artista aveva con il Doria per non avergli affrescato il casino di Sampierdarena come il principe desiderava.

Napoli Oktoberfest: Il meglio della birra al Centro Direzionale

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Divertimento e gusto al Centro Direzionale nel secondo week end di ottobre con Napoli Oktoberfest un programma di eventi gratuiti all’insegna della birra e dello spettacolo.

Da mercoledì 5 a domenica 9 ottobre l’Associazione M.A.S., in collaborazione con Buongiorno Italia, To Business, Gesco e Napoli Click, e il Patrocinio del Comune di Napoli e la Municipalità 4, organizza “Napoli Oktoberfest”, cinque giorni con 60 stand tra birrifici nazionali e internazionali e prodotti tipici bavaresi oltre ai più classici della tradizione italiana.
L’evento si arricchisce di un programma di musica e intrattenimento pensato per i giovani e le famiglie.

L’Oktoberfest è aperta mercoledì 5 dalle 12,00 fino a domenica 9 a mezzanotte. L’ingresso, anche agli spettacoli, è gratuito.

“Il nostro obiettivo” spiega l’organizzatore Alfredo Orofino, Presidente dell’Associazione M.A.S. “è realizzare eventi, che possano diventare un veicolo di cultura verso un target trasversale: portare i giovani in una direzione di sano divertimento e permettere il contatto con le realtà locali, dare un’opportunità lavorativa a ragazzi ed a piccole imprese, mettere in luce realtà culturali anche di fuori dell’ambito enogastronomico. Non ci resta che portare in alto i boccali e divertirci con Napoli Oktoberfest con un pizzico di italianità”.
Tre i punti forti del programma: birra, cibo e spettacoli.

La Birra: protagonista assoluta del Napoli Oktoberfest

La birra sarà protagonista assoluta della manifestazione. Verrà dato spazio ai produttori italiani e stranieri, dove i visitatori potranno seguire il proprio percorso alla scoperta della bevanda più antica del mondo. Dalla classica Ale alla profumata Berliner Weisse, dalla rinfrescante Bière Blanche alla birra light a quella scura, dalla Brown Ale alla Bitter Stout. Dalle ricette più tradizionali a quelle più innovative, come la birra per celiaci, provenienti dal centro Italia.

Il buon cibo

Stinco, pollo, carne grigliata, hamburger, wurstel, weisswurst, pesce grigliato, crauti, brezel, pane nero, e tante altre specialità bavaresi animeranno lo spazio del Centro Direzionale con una selezione di cibo per tutti i gusti. Alla più classica tradizione bavarese si potranno gustare i nostri prodotti italiani da abbinare alla più spumeggiante delle bevande: panzerotti, arrosticini, arancini, caciocavallo impiccato, olive ascolane, e molto altro.
Accanto a queste succulenti prelibatezze ci sarà la possibilità di gustare dell’ottima carne grigliata che trova un giusto abbinamento con la birra tra cui il barbecue americano, la carne argentina e brasiliana, la cucina greca e tante altre sorprese.

MUSICA E SPETTACOLO

Ogni sera dalle 18,00 il Centro Direzionale ospita Dj set, con musica fino a mezzanotte.

NAPOLI OKTOBERFEST – CENTRO DIREZIONALE

Date e orari:
– giovedì 6 ottobre aperti dalle 12:00 alle 00:00
– venerdì 7 ottobre aperti dalle 12:00 alle 00:00
– sabato 8 ottobre aperti dalle 12:00 alle 00:00
– domenica 9 ottobre aperti dalle 12:00 alle 00:00

INFO:
orofinoalfredo@gmail.com
Facebook: International Street Food – To Business Agency – Buongiorno Italia
+39 3475792556 +39 3459773071

200 grammi di teatro a sera con i Duetti del Teatro Bolivar

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Un buon inizio di stagione al Teatro Bolivar con la voglia di raccontare e raccontarsi

Abbiamo deciso di iniziare la stagione 2016/2017 del teatro Bolivar – dall’evocativo titolo “nuovevele” – con la più antica delle arti, ovvero l’arte del racconto. In ogni parte del mondo, dai suoi albori ad oggi, gli uomini si sono sempre seduti, e continuano a farlo seppur più di rado, intorno a un tavolo o a un fuoco per raccontare e ascoltare storie, fiabe, gesta o fatti realmente accaduti, talvolta enfatizzati. La necessità di raccontare e di raccontarsi continua a essere il fondamento delle relazioni umane e per questo crediamo che possa essere un buon inizio per questa nuova stagione del Bolivar.

L’attore vuole “recitare da solo” per donare, in maniera diretta, paesaggi e visioni interiori

Oggi il racconto ha cambiato pelle ed è diventato monologo, ma l’esigenza da cui nasce non è cambiata. Ogni attore, prima o poi, avverte la spinta prepotente di volersi confrontare con il “recitare da solo” per donare, in maniera diretta, paesaggi e visioni interiori.

Riteniamo che la condivisione del proprio mondo, con le sue sfumature ed emotività, diventi un invito a guardarsi dentro, a ripiegare sulla propria interiorità, trovando così la cura per stare bene. I monologhi, oltre a essere una risposta organica all’imbarbarimento produttivo contemporaneo, fungono anche da screening, fornendo informazioni sullo stato di salute del teatro oggi. Le diversità stilistiche e poetiche individuali, inoltre, diventano pozzo di ricchezza per gli spettatori e per chi ancora crede nel teatro come via di cura.

Inizia la rassegna “Duetti” al Teatro Bolivar: gli appuntamenti per questo fine settimana

Inizia 29 settembre la rassegna “Duetti” del teatro Bolivar e propone subito due opere di sicuro interesse, con gli EFFETTO C.C. ovverp topolino Crik e ATTENDERE PREGO

EFFETTO C.C. ovvero topolino Crik
di Francesco Silvestri e Melina Formicola
con Carlo Roselli, Antonetta Capriglione, Igor Canto
regia Francesco Petti

Antonio Cafiero è un ritardato mentale. Ha enormi difficoltà a trattenere nozioni o a collegare tra loro i pochi frammenti del suo passato che riesce a ricordare. Vede il mondo girargli intorno e ha l’impressione di non farne parte, o di esserne una parte marginale. Ma lui vuole essere di questo mondo, vuole essere normale. Cafiero, grazie a un’improbabile operazione chirurgica, riesce a guardare oltre la siepe, scopre il mondo meraviglioso della conoscenza e della memoria.
Alter ego di Antonio è il topo Crick, che è stato sottoposto alla stessa operazione, prima di lui e con successo. Ma proprio Antonio comincerà a studiare il fenomeno Crick, scoprendo che questa operazione ha una controindicazione: è limitata nel tempo.
La scienza, dunque, si illude di controllare l’uomo, ma le forze della natura aspettano e colpiscono impreviste e incontrollabili, come uno tsunami dell’anima.

ATTENDERE PREGO primo studio su “Umoristica sinfonia di una vita non agita”
scritto pensando a “Giorni Felici” di Samuel Beckett
di e con Monica Palomby

Una donna, nel mezzo del cammino della sua vita, decide di non guardare più né avanti né indietro, né tanto meno dentro di lei. Vuole rimanere staccata e divisa, senza ricongiungersi. Cerca la via di fuga, fingendo di essere quella che non è, o solo fingendo di essere. Prega e attende che la vita scorra con semplicità e che la morte arrivi. Ma la vita colpisce senza avvisare: le scorre in pancia, sulla lingua, le attraversa il cuore, lei che di vita è già sazia abbastanza. Vuole anzi scacciarla via, come un macigno che occlude l’entrata alla caverna. Parla parla parla. E canta per non restare sola, tanto – pensa – «qualcuno mi sta ancora guardando… qualcuno sta ancora preoccupandosi di me…».
È una storia eroica al contrario: la scelta di paralizzare l’anima, «una vera grazia… nessun cambiamento, nessun dolore… o quasi».

venerdì 30 settembre

TRAGODIA il canto del capro

tratto da un racconto di Emanuele D’Errico
adattamento Ettore Nigro ed Emanuele D’Errico
con Emanuele D’Errico
regia Ettore Nigro
scene Armando Alovisi | musiche originali Mario Autore | costumi Francesca Del Monaco | regista assistente Rebecca Furfaro

«Conosce la storia di Gugliemo Belati?». Guglielmo è un ragazzo di paese che decide contrariamente al volere degli adulti genitori di voler sposare la sua fidanzata. Armato di coraggio, un anello e un pacchetto di caramelle a menta, corre in auto verso la futura sposa Teresa. Durante questo viaggio si ferma a raccogliere dei fiori e davanti a un fiore arancione con gocce di blu incontra una capra.
L’allestimento trascina lo spettatore in un mondo di fiaba, verosimile a quello reale, recuperando la possibilità di esplorare ciò che non si conosce, ciò che non è di questo mondo, il mistero. E proseguendo nella ricerca, Guglielmo vive la possibilità di cadere e inciampare nel dubbio. È il Bivio, simbolo del dubbio, che sottostà alla trama e alla messa in scena. Il bivio mette in gioco i sentimenti di paura e coraggio, lo slancio e la regressione, l’irrazionalità e la razionalità, il mistero e il conosciuto, e, dunque, chiama in causa l’Errore, e l’errare.

LUCI DELLA CITTÀ

Stefano Cucchi
di Pino Carbone e Francesca De Nicolais
con Francesca De Nicolais
regia Pino Carbone

Un ragazzo di 31 anni è morto mentre era sotto la custodia dello Stato, per usare un’espressione da libro di denuncia, o da teatro di narrazione.

Questo spettacolo vuole essere le lacrime che non abbiamo pianto.
La rabbia che non abbiamo gridato.
La poesia che non gli è stata concessa.

sabato 1° ottobre

TELÈ

di Lorenza Sorino e Arturo Scognamiglio
con Arturo Scognamiglio
regia Lorenza Sorino
scene Armando Alovisi | musica finale Stefano Morelli

Telè è la storia di Telemaco D’Amore, ragazzino dei quartieri problematici di Napoli, ennesimo figlio di una famiglia numerosa dove tutti fanno “lavoretti” per portare qualcosa a casa. Il padre di Telemaco è sparito da due mesi per cercare fortuna all’estero e Telè decide, all’insaputa di tutti, di mettersi sulle sue tracce e affronta un viaggio che lo porta in Svizzera. Arrivato a destinazione scoprirà che la meta è meno importante del percorso fatto e imparerà a diventare uomo e padre.
Il viaggio di Telè è ambientato in un “non tempo”, sembra di essere negli anni ’50 e poi, invece, un piccolo indizio catapulta lo spettatore negli anni ’80 e ’90, fino ai giorni nostri. Una scelta, questa, per sottolineare che il viaggio, l’emigrazione alla ricerca di un luogo migliore, fa parte della nostra storia da sempre, ma non sempre, dopo il viaggio e la fatica, si raggiunge ciò che si è desiderato, sognato, mitizzato.

MICROSTORIE

Racconti di una picciridda siciliana
con Maria Stella Pitarresi
regia e coreografie Fabrizio Varriale
produzione Danza Flux

Microstorie è un progetto in divenire che racchiude scritture coreografiche e drammaturgiche ispirate ai temi della memoria, dei suoni del quotidiano e della proiezione dell’umano. Sono appunti che svelano la relazione con il tempo, lo spazio vissuto e l’immaginario, che diventano fondamenta delle azioni sceniche. Il primo quaderno di appunti “Naufragio di un clown”, ispirato alle letture di S.T.Coleridge e F.Pessoa ed interpretato dallo stesso Varriale, è stato presentato all’interno della stagione teatrale 2015/16 del Teatro Bellini di Napoli. Il secondo quaderno di appunti “Racconti di una picciridda siciliana” è una raccolta di vicende interiori, pensieri ed emozioni vissute, unite al linguaggio fisico della danza. In scena la storia di una ragazza siciliana che attraversa episodi tragici ed ironici : dai giochi d’infanzia alla scoperta dell’ amore, insieme al senso della perdita e dell’ineluttabilità del destino.

domenica 2 ottobre

SCHIFOSI l’orchestra vuota

tratto dall’opera omnia di David Foster Wallace
di Luca Iervolino e Rosario Sparno
con Luca Iervolino
regia Rosario Sparn
incursioni sonore Massimo Cordovani
disegno luci Riccardo Cominotto

Un personaggio si muove fra i membri della sua famiglia.
L’orchestra che ha creato la musica della sua esistenza.

Schifosi sono personaggi torbidi, divertenti quanto autenticamente amorali, che si confessano attraverso un originale, candido e violento linguaggio quotidiano e che raccontano la loro realtà.
Protagonisti incapaci di “dare” gratuitamente, di donare, terrorizzati dalla verità, che mantengono i rapporti sociali solo perché “sai non si sa mai, in fondo…”.
Approfondendo la vasta opera di David Foster Wallace è nato uno spettacolo – accompagnato dalle “note disturbanti” di Massimo Cordovani – in cui si indaga la possibilità di dire quel che non si può dire perché è amorale: i due temi presi in prestito da Wallace sono la genitorialità e la violenza sulle donne. Una madre ambiziosa, decisa, disperatamente, a mostrarsi amorevole; un padre frustrato e moribondo che implora una indecente cortesia; un figlio che smette di recitare il ruolo del figlio perché sa che gli altri sanno che lui sa che gli altri sanno.

SUPERFIABA

di e con Beppe Casales
musiche originali Isaac de Martin

Superfiaba è una fiaba, ma non è un racconto per bambini. È una storia che ha a che fare col meraviglioso e che parla a tutti. Racconta di un ragazzo che ha perso il coraggio. Racconta di come questo ragazzo cerca di riavere il suo coraggio. Racconta una storia d’amore, ma racconta anche la morte. Il testo dello spettacolo parte dalle funzioni della fiaba – che lo studioso Propp individuò quasi un secolo fa – per usarle e superarle. Il risultato è una storia ambientata in un mondo visionario in cui ogni personaggio si rivela essere qualcosa di diverso da quello che sembra. Lo spettatore segue il protagonista della storia nell’incontro con personaggi di varia natura: una salsiccetta, un bruco, un lupo, un gruppo di Scout, un generale, un sorcetto, un venditore di frittelle… Superfiaba è una storia di liberazione perché, come dice Italo Calvino, nelle fiabe c’è «lo sforzo per liberarsi e autodeterminarsi inteso come un dovere elementare, insieme a quello di liberare gli altri, anzi il non potersi liberare da soli, il liberarsi liberando».

Non sei nemmeno l’ultimo lampione di Fuorigrotta il significato e la storia

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Nun si’ manco l’urdemo lampione ‘e Forerotta

Non sei nemmeno l’ultimo lampione di Fuorigrotta è uno dei modi di dire, ad oggi poco conosciuto, che si usava per parlare di una persona che non aveva voce in capitolo. Si faceva riferimento all’ultimo lampione che vi era a Fuorigrotta all’epoca della pubblica illuminazione a gas, denominato 6666, numero che per la Smorfia napoletana significa quattro volte scemo. Da qui l’espressione “l’urdemo lampione ‘e Fuorigrotta”,quello che non conta, ovvero l’ultimo scemo che può parlare, perché il suo parere non ha valore.

La storia dell’ultimo lampione di Fuorigrotta

Il primo gennaio del 1817 Ferdinando IV di Borbone concesse a Pietro Andriel di Montpellier, con decreto reale, la privativa per l’illuminazione a gas idrogeno di Napoli, ma fu solo nel 1837 che il cavaliere Giovanni De Frigiere ottenne da Ferdinando II di poter illuminare la città con il gas prodotto dall’olio d’oliva. La scelta cadde su questo prodotto per rispettare una delle principali produzioni del Regno.

In quello stesso anno ventinove lanterne illuminarono il porticato della basilica di San Francesco di Paola. Per far alimentare le falene fu costruito un opificio dietro i portici della basilica. L’esperimento ebbe un tale successo che il re decise di estendere l’illuminazione anche al Palazzo Reale e ad altre strade adiacenti.

Napoli fu la prima città italiana a realizzare un impianto di illuminazione a gas, preceduta in Europa solo da Parigi, Londra e Vienna.

Il 13 dicembre 1838 fu stipulato un contratto di appalto dell’illuminazione a gas tra il sindaco Don Giuseppe Caracciolo e De Frigiere. L’accordo prevedeva che nel giro di un anno fossero illuminate le principali vie cittadine, quali via Toledo, via Chiaia, riviera di Chiaia, Pignasecca, Chiatamone, largo Castello, Monteoliveto, via Tribunali, via Foria, Porta Nolana e altre. Nel 1840 fu illuminato anche il Teatro San Carlo. Per far fronte alle nuove necessità fu creato un nuovo opificio al Vico Cupa a Chiaia. In quell’anno ci fu l’inaugurazione ufficiale del gasometro. Bisognava aspettare il 1885 perchè la luce arrivasse anche nei quartieri allora più periferici come il Vomero, fino ad allora l’illuminazione si fermava all’ultimo lampione di Fuorigrotta.

La rubrica è curata dal Prof Ermete Ferraro e Aldo Pietrosanti