giovedì 1 Maggio 2025
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Castel Sant’Elmo a Napoli, da castello a fortezza a carcere militare

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In fotografia si vede Castel Sant'Elmo, castello medievale, sito sulla collina del Vomero
In fotografia si vede Castel Sant'Elmo, castello medievale, sito sulla collina del Vomero

Castel Sant’Elmo: storia, arte e panorami mozzafiato su Napoli

Castel Sant’Elmo, situato sulla collina del Vomero, è uno dei simboli più iconici di Napoli. Con una storia che abbraccia secoli, questo castello-fortezza è oggi un importante polo culturale, sede di mostre, eventi e uno dei punti panoramici più spettacolari della città.

Le origini: dal Castrum Sancti Erasmi a Castel Sant’Elmo

Le prime testimonianze di Castel Sant’Elmo risalgono al 1275, quando era conosciuto come Castrum Sancti Erasmi, grazie alla cappella dedicata a Sant’Erasmo situata nella struttura originaria. Nel 1329, Roberto d’Angiò affidò all’architetto Tino di Camaino la trasformazione dell’edificio in un vero palatium per la corte reale. La pianta quadrilatera e le torri che caratterizzavano l’edificio furono le basi della struttura odierna.

Nel 1456, un devastante terremoto distrusse parte delle torri e delle mura. Successivamente, con l’avvento degli Aragonesi, furono avviati importanti lavori di restauro. Durante il viceregno spagnolo, Castel Sant’Elmo assunse un ruolo strategico come fortezza difensiva per volere di Don Pedro de Toledo. Fu in questo periodo, tra il 1537 e il 1538, che l’ingegnere militare Pedro Luis Escrivà progettò l’attuale struttura a pianta stellare, simbolo di potenza e controllo militare.

Da fortezza a carcere militare: la trasformazione storica

Nel corso dei secoli, Castel Sant’Elmo divenne il luogo simbolo di numerosi eventi storici. Nel 1547, l’architetto Pietro Prato costruì una chiesa all’interno della fortezza, che fu però distrutta da un fulmine nel 1587. Successivamente, Domenico Fontana fu incaricato di un restauro completo, ricostruendo la chiesa e altri edifici, tra cui la dimora del castellano e il ponte levatoio.

Nel 1860, dopo l’ultima resistenza borbonica, il castello fu convertito in carcere militare, ruolo che mantenne fino al 1952. Durante questi anni, vi furono rinchiusi personaggi illustri come Tommaso Campanella, Mario Pagano e Carlo Poerio. Gli ambienti sotterranei e i camminamenti di ronda testimoniano ancora oggi l’aspetto imponente e austero della struttura.

Il restauro e la rinascita culturale

Negli anni ’70, Castel Sant’Elmo fu sottoposto a un imponente restauro, che riportò alla luce gli antichi percorsi e rese visibili gli ambienti originari. Nel 1982, la fortezza passò alla Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Napoli, che ne trasformò l’utilizzo: da simbolo di guerra a polo culturale. Oggi ospita mostre temporanee, eventi culturali e la Biblioteca di Storia dell’Arte “Bruno Molajoli”.

Paesaggio da Sud-Est a Nord-Ovest. Sguardi sulla città da Castel Sant'Elmo

Le attrazioni di Castel Sant’Elmo

La Piazza d’Armi e i panorami mozzafiato
La Piazza d’Armi, situata al cuore del castello, offre una vista impareggiabile su Napoli e sul Golfo. Da qui si possono ammirare il Vesuvio, Capri e l’intera città in un colpo d’occhio, rendendo Castel Sant’Elmo una meta imperdibile per fotografi e visitatori.

Le Garitte e i camminamenti di ronda
Le Garitte, utilizzate in passato per l’osservazione militare, sono oggi parte integrante delle installazioni artistiche contemporanee. I camminamenti di ronda, accessibili ai visitatori, offrono un’esperienza unica per immergersi nella storia e godere di scorci panoramici.

La chiesa di Sant’Erasmo e l’arte sacra
La chiesa dedicata a Sant’Erasmo, ricostruita da Domenico Fontana, conserva affreschi e opere d’arte, tra cui il monumento funebre di Pedro de Toledo e una statua in stucco di Sant’Erasmo del XVIII secolo.

Gli Ambulacri e il Carcere alto
Gli Ambulacri sotterranei raccontano la storia di un luogo che fu anche prigione. Oggi, il Carcere alto ospita esposizioni temporanee, mentre il Carcere basso è parte integrante del percorso museale

Un luogo dove storia e cultura si incontrano

Castel Sant’Elmo è molto più di un semplice castello: è un luogo dove la storia di Napoli si intreccia con la sua rinascita culturale. La sua posizione strategica e il suo valore storico lo rendono una tappa obbligata per chiunque voglia scoprire l’essenza di questa città unica.

La presa del castello e la proclamazione della Repubblica Napoletana

Quando i repubblicani riuscirono ad impadronirsi del castello e fu proclamata la Repubblica Napoletana, sulla vetta della fortezza venne innalzata la bandiera tricolore: gialla, rossa e turchina. A questa celebrazione prese parte anche la scrittrice e giornalista Eleonora Pimentel Fonseca con un Inno alla Libertà, da lei composto; arrestata alla fine della repubblica fu giudicata e condannata a morte per impiccagione.

La riconquista borbonica di Castel Sant’Elmo

Con la riconquista borbonica Castel Sant’Elmo ritornò al ruolo di prigione e vi furono incarcerati i rivoluzionari, tra cui Luigia Sanfelice. La Sanfelice, era una giovane ed attraente nobildonna napoletana, che, durante la Repubblica del 1799 denunciò una congiura ai danni del governo rivoluzionario. I responsabili furono fucilati e lei venne considerata come salvatrice della Repubblica; ma dopo la sconfitta fu condotta e imprigionata nel carcere di Sant’Elmo. Condannata a morte, la pena fu rimandata per una sua presunta gravidanza e nel frattempo venne rinchiusa a Palermo, come è documentato dal dipinto di Gioacchino Torna. Fu decapitata a Napoli 1’11 settembre 1800.

Le carceri di Castel Sant’Elmo hanno visto rinchiuso Carlo Poerio, patriota napoletano.

AI tempo dei moti rivoluzionari del 1821 le prigioni del castello custodirono, tra gli altri, il generale Pietro Colletta. Dal 1844 al 1848 Ferdinando II vi faceva rinchiudere il patriota napoletano Carlo Poerio, distintosi nei moti rivoluzionari del 1848. Furono rinchusi inoltre Mariano d’Ayala, Felice Ferri, Cesare de Marinis.

Dopo l’entrata in Napoli di Garibaldi, l’esercito borbonico lasciò il castello. Il 9 settembre 1860 sul punto più alto della roccaforte sventolava il Tricolore italiano con lo stemma sabaudo.

Al Museo Duca di Martina “Riccardo Dalisi a Pompei”

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Riccardo Dalisi al museo Duca di Martina

Al Museo Duca di Martina a Napoli la mostra a cura di Claudio Gambardella con le opere di Riccardo Dalisi

Domenica 3 settembre, in occasione dell’appuntamento “domenica al museo” si concluderà la mostra “Riccardo Dalisi a Pompei”, a cura di Claudio Gambardella, dedicata al viaggio immaginifico di Dalisi tra le suggestioni di Pompei, paradigma di un mondo antico.
L’esposizione si svolge nell’ambito della Trilogia della Ceramica, manifestazione ideata da I LOVE POMPEI e realizzata in collaborazione con il Polo museale della Campania, che lo scorso anno ha presentato  UGO MARANO, handmaker felice.

Riccardo Dalisi è anche uno degli esponenti più rappresentativi dell’Handmade in Italy

Riccardo Dalisi, architetto, designer e artista di rilievo internazionale presente con le sue opere nei più importanti musei del mondo dal  MoMA di New York al Centre Pompidou di Parigi, dal Guggenheim Museum di New York al Triennale Design Museum di Milano. Dalisi è anche uno degli esponenti più rappresentativi dell’Handmade in Italy, il nuovo progetto teorico studiato da Claudio Gambardella posto alla base di queste manifestazioni per promuovere  con Luisa Ambrosio, direttore del Museo Duca di Martina, l’incontro tra cultura del progetto e cultura del saper fare in Italia.

Riccardo Dalisi un artista che sa essere garbato, gioioso, ilare, ironico e anche umano

A Dalisi si deve il merito di aver intrapreso in un modo originale, con le sue sperimentazioni e progetti a partire dagli anni ’70, un lavoro di ricerca sull’uso di materiali poveri e comuni, trasformandoli con manualità artigiana in opere d’arte, con la capacità di collegare il lavoro su scala industriale con quello artigianale. La sua attività è stata premiata con il Compasso d’Oro ADI per la ricerca sulla caffettiera napoletana (1981) e del Compasso d’Oro ADI alla carriera (2014). Un artista “che sa essere garbato … gioioso, ilare, ironico e anche umano, fantastico, persino grottesco (G. Dorfles).

Il Museo Duca di Martina sede di  una delle maggiori collezioni italiane di arti decorative

Al Museo Duca di Martina – sede di  una delle maggiori collezioni italiane di arti decorative con oltre seimila opere di manifattura occidentale ed orientale, databili dal XII al XIX secolo, il cui nucleo più cospicuo è costituito dalle ceramiche – saranno esposte circa 40 opere di Dalisi, prodotte nel corso degli anni da aziende Italiane e straniere, e alcune nuove piastrelle inedite, ideate per questa mostra e realizzate da una delle aziende storiche del Salernitano, la Ceramiche Giovanni De Maio.

I patrocini

Hanno concesso il Patrocinio alla manifestazione: Assessorato allo Sviluppo e Promozione del Turismo della Regione Campania.  Comune di Napoli. Comune di Pompei. Dipartimento di Architettura e Disegno Industriale di UNICAMPANIA/VANVITELLI. Ordine e Fondazione degli Architetti P.P.C. di Napoli e provincia. CONFAPI Campania. Delegazione Campania dell’ADI-Associazione per il Disegno Industriale.  Museo Alessi. Triennale Design Museum.

Informazioni

Museo Duca di Martina
Riccardo Dalisi a Pompei
Sede: Via Cimarosa 77 \ via Aniello Falcone, 171,  Napoli
Orario: 8,30-19,00 (ultimo ingresso 17.30)- martedì chiuso
Biglietto € 4,00
tel. 081 5788428  – pm-cam.martina@beniculturali.it – facebook.com/museoducadimartina

Domenica al museo con l’ingresso gratuito nei musei del polo museale

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domenica al museo alla certosa di san martino

Domenica al museo con l’ingresso gratuito nei musei della Campania. Mostre ed incontri nei musei del polo museale

Ritorna puntale l’appuntamento della prima domenica del mese con i musei aperti. Tanti gli eventi in programma fra mostre ed incontri.  Dal “Il cammino delle certose. I percorsi dell’anima” alla visita guidata di Castel Sant’Elmo a cura dell’Istituto Italiano dei Castelli. Per gli amanti del design sono da sottolineare le mostre al Museo Della Ceramica Duca Di Martina con le esposizioni di due tra i massimi designer a livello internazionale: Riccardo Dalisi e Roberto Mango

Una domenica al museo tra assonanze e distinzioni con Il cammino delle certose.

Il Cammino delle Certose ripropone all’attenzione del grande pubblico nazionale e internazionale un patrimonio straordinario che merita prospettive nuove, degne dell’eredità di valori spirituali, economico-sociali e civili che ancora custodiscono. Tre luoghi simbolo della storia universale e dell’immaginario religioso, architettonico e artistico. Certosa di San Martino a Napoli; Certosa di San Giacomo a Capri e Certosa di San Lorenzo a Padula
Il filo conduttore delle esposizioni, tra assonanze e distinzioni, si articola sulle interpretazioni storiche dei temi della meditazione, della violenza, della redenzione, del conflitto religioso con capolavori quali Giuditta e Oloferne di Artemisia Gentileschi, fino alle declinazioni  di artisti contemporani dei campi di forza del silenzio, dell’ambiente naturale, dell’impegno etico, del legame con il territorio, in una trama discontinua e inquieta di relazioni fluide, senza tempo e senza confini.

Castel Sant’ Elmo. Un’incredibile fortezza.

Domenica 3 settembre, ore 10.30  visita guidata al castello con l’Istituto Italiano dei Castelli. Castel Sant’Elmo è una grandiosa fortezza che riecheggia in una forma stellare a sei punte, con un intricato sistema di gallerie difensive e la piazza d’armi superiore un tempo dotata di artiglierie a lunga gittata. La visita, condurrà i partecipanti alla scoperta degli aspetti tecnici-difensivi di questo straordinario esempio di architettura fortificata, unico al mondo per forma e soluzioni adottate. Feritoie, caditoie, ponti levatoi, fossati, rivellini, merli e merloni, bombarde e bombardiere: i visitatori saranno introdotti all’affascinante ed originale linguaggio che contraddistingue l’architettura militare dell’età moderna.
Per questa domenica al museo la prenotazione è obbligatoria. Si può prenotare via  email castellicampania@virgilio.it  o telefonicamente al tel. 333 6853918

Al Museo Duca di Martina, Villa Floridiana due importanti designer Riccardo Dalisi e Roberto Mango

Riccardo Dalisi a Pompei

Al Museo Duca Di Martina Domenica si conclude l’esposizione di Riccardo Dalisi. Curata da Claudio Gambardella, e realizzata con il Polo museale della Campania nell’ambito della Trilogia della Ceramica. L’esposizione è dedicata al viaggio immaginifico di Dalisi tra le suggestioni di Pompei, paradigma di un mondo antico. A Riccardo Dalisi, designer e artista di rilievo internazionale, si deve il merito di aver intrapreso in un modo originale, con le sue sperimentazioni e progetti a partire dagli anni ’70, un lavoro di ricerca sull’uso di materiali poveri e comuni. Materiali trasformati con manualità artigiana in opere d’arte, con la capacità di collegare il lavoro su scala industriale con quello artigianale. Le sue opere sono presenti nei più importanti musei del mondo.

Roberto Mango designer\ 1950 -1968

Sempre al Duca Di Martina in Villa Floridiana la mostra è dedicata all’attività di uno dei più importanti designer del panorama italiano e non solo. La mostra propone una riflessione sull’autore, sul suo ruolo nel dibattito internazionale e sulle più importanti realizzazioni come designer. Comprese nel tempo del suo soggiorno negli Stati Uniti e del successivo in Italia e nell’ambiente produttivo napoletano. Un ruolo, quello di Roberto Mango che oggi sta emergendo sempre di più dai numerosi contributi, nazionali e internazionali. Chiarendo molte circostanze e concorrendo a inquadrare correttamente il fenomeno napoletano nel suo insieme come uno dei capitoli della più generale storia del design italiano. La mostra ripercorre gli anni della sua carriera professionale maggiormente significativi e intensi in quanto a produttività, a relazioni e scambi di esperienze, prima del pieno coinvolgimento nell’insegnamento universitario.

Domenica al Museo al Duca di Martina Roberto Mango

Per domenica al museo il Museo archeologico dell’Agro Atellano a Succivo propone Aperi Museum

Domenica 3 settembre all ore 11 in occasione della Domenica al Museo e della Rassegna Estate a Succivo, il Museo archeologico e il Comune di Succivo propongono ai visitatori
l’aperitivo al museo e percorsi guidati alle collezioni, a cura dell’Archeoclub di Atella.

Video Intervista ad Alessandro Giannini che presenta il suo nuovo singolo

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Alessandro Giannini ci presenta il suo nuovo singolo.

Alessandro Giannini, berretto in testa e chitarra sempre in mano. Napoletano con la voglia di raccontare Napoli Alessandro Giannini è un cantautore proveniente dai quartieri spagnoli di Napoli.

Abbiamo incontrato Alessandro al Caffè Sapphire di Pozzuoli, dove ha voluto presentarci il suo ultimo lavoro, il nuovo singolo che preannuncia il prossimo disco.

Alessandro Giannini, una sonorità tipicamente mediterranea.

Una voce matura, testi che narrano la vita nel quotidiano, una chitarra con una sonorità tipicamente mediterranea. Queste le caratteristiche di Alessandro Giannini. “Le cose che non sai”, ed il lavoro discografico intitolato “Io che vivo ccà” grazie a queste caratteristiche ottengono un ottimo successo di pubblico e di critica.

Alessandro Giannini trascorre la sua adolescenza tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli dove vive ancora oggi. Con lui cresce la passione per la musica: scrive le sue prime canzoni all’età di 14 anni. Inizia a lavorare cambiando vari mestieri, cercando sempre qualcosa che non lo impegnasse tutta la giornata per continuare a coltivare il suo unico sogno.

A soli quindici anni la collaborazione con Tony Cercola.

Giannini a 15 anni viene ospitato in un concerto di Tony Cercola, noto musicista partenopeo, svoltosi all’ Otto Jazz Club. Il successo ottenuto sprona Alessandro Giannini che decide di vivere le prime esperienze in studio di registrazione. Nel 2005 incide il suo primo singolo composto da due brani “Ovunque sei” e “Tra noi”.

Alla fine di questo progetto si rende conto che non era ciò che cercava dalla musica. La musica pop non lo soddisfa. Passa qualche anno e Alessandro inizia a scrivere brani di contesti sociali. Storie vissute nei vicoli del suo quartiere. Alessandro Giannini si allontana dal pop e si immette nell’ etnico mediterraneo iniziando a cantare nella sua lingua madre ossia il dialetto.

La collaborazione con Merolla e l’omaggio ad Enzo Grananiello.

Nel 2013 ritorna in gioco con un progetto ben preciso intitolato: “Io che vivo ccà” composto da otto brani di cui uno scritto da Enzo Gragnaniello che Alessandro ha voluto omaggiare con “Senza Voce”, un altro brano presente nell’album di Giannini. L’album ha visto come Special Guest il grande Musicista nonché amico Ciccio Merolla: il nome del brano è “Luna e Sole”. Alessandro Giannini in questo progetto si cala anche in veste di produttore infatti l’album è autoprodotto ed è stato distribuito sul territorio nazionale.

Il 2013 è un anno molto importante per Alessandro dopo aver lottato per la creazione del progetto Io che vivo ccà inizia a fare promozione eseguendo un concerto al Teatro Trianon di Napoli dove è stato ben apprezzato sia dal pubblico che dai critici della Rai.

Segue un’estate ricca di eventi dove una data in particolare conferma la bravura ed il talento di Giannini, quella del 3 Agosto al Maschio Angioino di Napoli.

Le collaborazioni di Alessandro Giannini: Nello Daniele, M’Barka Ben Taleb, Franco Ricciardi, Marzo Zurzolo

Giannini viene contattato per aprire il concerto di Antonio Onorato e Piero Gallo noti musicisti partenopei: nell’occasione sale sul palco anche il grande Toninho Horta. Gli organizzatori dell’evento notano che Alessandro Giannini nella sua apertura ha lasciato il segno e quindi improvvisano una chiusura inaspettata lasciandogli di nuovo il palco per un finale a sorpresa che vede come Special Guest Piero Gallo che con la sua mandola e la grinta di Alessandro cantano e suonano ‘O figlio ‘e chi nun tene niente brano autobiografico dello stesso Giannini. Non ultima la sua performance live a Caivano in occasione del lancio dell’ultimo album di Nello Daniele, fratello di Pino, insieme ad artisti quali Pietra Montecorvino, M’Barka Ben Taleb, Franco Ricciardi, Marzo Zurzolo, Ciccio Merolla, Tony Esposito.

Fusion Touch la personale della scenografa pittrice Antonella Giordano

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Fusion Touch a Castel Dell'Ovo

Inaugura a Napoli, a Castel dell’Ovo, il 21 luglio dalle ore 17.00 “Fusion Touch”, la personale della scenografa pittrice Antonella Giordano a cura di Marina De Feo.

Fusion Touch a Castel dell’Ovo, nella suggestiva Sala delle Terrazze saranno in mostra fino al 31 luglio quaranta lavori. Pannelli tattili senza barriere, creati appositamente dall’artista per un pubblico di non vedenti, ipovedenti e non solo per un approccio trasversale e multisensoriale all’arte e alla realtà.

Con Fusion Touch l’arte diventa da toccare

“Fusion Touch” è un progetto espositivo inclusivo che intende promuovere l’accessibilità e la fruizione dell’arte in un’ottica partecipata e condivisa. Con “Fusion Touch” l’arte diventa da toccare, le opere infatti saranno fruibili all’interno delle sale di Castel dell’Ovo per tutto il periodo espositivo anche ad un pubblico di non vedenti, di ipovedenti e per tutti coloro che vorranno avvalersi dell’arte-terapia per il proprio benessere psicofisico.

La mostra è dedicata ai Maestri Antonio e Tamara Tammaro, artisti affermati, che hanno insegnato alla Giordano ad amare e a convivere con e per l’arte. Fusion Touch è patrocinata dalla Presidenza del Consiglio Regionale della Campania e realizzata in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli.

Antonella Giordano nata ad Avellino nel 1965

Nata ad Avellino nel 1965, la Giordano, frequenta l’Istituto d’arte. Si laurea poi all’ Accademia delle Belle Arti di Napoli nel 1988 in Scenografia. Frequenta ambienti culturali ed artistici di rilievo ottenendo notevoli apprezzamenti critici grazie ad una spiccata originalità compositiva. Partecipa a numerose mostre collettive con i grandi maestri dell’arte napoletana del novecento.

Dal 1990 abita a Grosseto, dove attualmente vive e lavora. La sua attività spazia nel campo della scenografia, nell’ideazione di eventi culturali e come pittrice. Numerosissime le esposizioni personali dell’artista.

Figlia d’arte, segue le tracce del nonno il Maestro Antonio Tammaro

La sua cultura artistica proviene da una profonda conoscenza e dall’amore innato per l’arte tramandatale dalla madre Tamara e dal nonno, il Maestro Antonio Tammaro, entrambi maestri d’arte ed artisti affermati.

Le sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private. Molte sue opere pittoriche sono presenti presso l’ospedale pediatrico di Orbetello, e presso il fondo di arte moderna e contemporanea della Fondazione “Il Sole” di Grosseto di Grosseto. A Napoli si trovano al Santo Bono, al Centro Dentalcoop, presso il Centro Medico Salus. E ancora al Museo ARCA di Napoli presso il Complesso Monumentale di Santa Maria la Nova. Un’altra sua installazione è presente presso il Museo della Scarpa di Villa Foscarini Rossi a Venezia.

Fusion Touch informazioni

Vernissage:
venerdì 21 luglio dalle ore 17.00 -Sala delle Terrazze- Castel dell’Ovo, Via Eldorado, 3 (Borgo Marinari) Napoli | Free Entry

Orari apertura al pubblico:
Lunedì-Sabato h.09.00-19.30 (ultimo accesso 18.45)
Domenica e festivi h. 09.0-14.00 (ultimo accesso 13.45)

La mostra resterà aperta al pubblico fino al 31 luglio 2017
Info e prenotazioni gruppi: marina.defeo@virgilio.it

La pasta e l’arte della pastificazione: il Pastificio Cav. Mario Vicinanza

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L’arte della Pasta nella città di Gragnano

L’arte del produrre la pasta a Gragnano ha una storia antica. In realtà la tradizione della pastificazione a Gragnano ha origini molto lontane, che ci rimandano al tempo dei Romani. Già in quel periodo nel territorio gragnanese si macinava il grano: le acque del torrente Vernotico, che scendevano lungo la cosiddetta Valle dei Mulini, azionavano le pale che macinavano le messi in arrivo via mare dalle colonie romane. Le farine così ottenute venivano poi trasformate nel pane che doveva nutrire le città limitrofe di Pompei, Ercolano e Stabiae.

Quando Ferdinando II trasformò la città di Gragnano nella città dei Maccheroni

La storia data l’origine della fama di Gragnano come patria della fabbricazione della pasta al 12 luglio del 1845, giorno in cui il re del Regno di Napoli, Ferdinando II di Borbone, durante un pranzo concesse ai fabbricanti gragnanesi l’alto privilegio di fornire la corte di tutte le paste lunghe. Da allora Gragnano diventò la Città dei Maccheroni.

La Pasta di Gragnano è oggi un prodotto I.G.P

Attualmente a Gragnano sono attive decine di pastifici, molti dei quali sono confluiti nel Consorzio “Gragnano Città della Pasta”, fondato nel 2003 con l’obiettivo di difendere e rilanciare la tradizione di Gragnano.

La Pasta di Gragnano è oggi un prodotto I.G.P grazie all’ottenimento del primo riconoscimento comunitario di qualità assegnato alla pasta in Italia e in Europa secondo quanto previsto dalla Gazzetta Ufficiale n. 198 del 25 agosto 2010, che ne disciplina l’indicazione geografica protetta.

L’arte della pasta ed il “Pastificio Cav. Mario Vicinanza”

In questo contesto di eccellenza e tradizione abbiamo deciso di seguire la storia del “Pastificio Cav. Mario Vicinanza” che nasce in ricordo del bisnonno Mario che si dedicò all’arte bianca fin dai primi anni del ‘900. La qualità della pasta fù da subito molto alta e venne esportata con successo negli Stati Uniti ed in alcuni paesi europei, tanto da ricevere a Londra nel 1912 la medaglia d’oro con diploma d’onore dalla “Mostra Internazionale di Londra”
Negli anni seguenti impiantò un pastificio a Gragnano producendo i tradizionali “MACCARONI”.
La lavorazione fu sospesa nel periodo bellico(1915-1918) perché il fondatore fu chiamato a servire la patria.

Il dopoguerra e il molino Fontanavecchia

Nel dopoguerra, quale rappresentante di sfarinati di cereali per il molino ”Fontanavecchia” di
Campobasso, ebbe stretti legami con i più importanti pastifici del territorio. Su tale scia, oggi, produciamo pasta trafilata al bronzo di grande qualità, utilizzando le migliori semole di prima estrazione impastate con maestria e pazienza con la salubre acqua di Gragnano.

La ricetta per una pasta di eccellenza è la filiera corta

Il “Pastificio Cav. Mario Vicinanza” per garantire un’ elevata qualità dei propri prodotti ha messo in piedi un progetto di “filiera corta” volta a sfruttare le ricchezze dei nostri territori e trasferirle poi nel prodotto finale Pasta di Gragnano I.G.P.
A seguito di studi e continue ricerche, si è riuscito ad individuare una selezione di grano di elevata qualità proveniente esclusivamente dal suolo Campano in grado di garantire delle caratteristiche chimico-fisiche ed organolettiche molto elevate al prodotto finale .
Questo grande lavoro di ricerca per le materie prime viene poi arricchito da una fase di
trasformazione che segue la tradizione centenaria della città di Gragnano, ovvero, semola di grano duro di elevata qualità, trafilatura al bronzo e lunghi tempi di essiccazione a basse temperature.

la pasta ed il pastificio Cav. Mario Vicinanza

Il processo produttivo per la produzione della “Pasta di Gragnano” si compone in cinque fasi

La “Pasta di Gragnano” è il prodotto ottenuto dall’impasto della semola di grano duro con acqua della falda acquifera locale. Come spiega l’amministratore del Pastificio Cav. Mario Vicinanza, l’Ing. Ciro Milo,Il processo produttivo per la produzione della “Pasta di Gragnano” si compone in cinque fasi.

Prima fase: l’impasto e la gramolatura

La semola di grano duro ottenuta viene impastata con acqua. La successiva fase della gramolatura, fasi che l’impasto ben lavorato diventa omogeneo ed elastico.

Seconda fase: l’estrusione o trafilatura.

La trafilatura è una fase molto importante per ottenere una buona qualità del prodotto finale. Una volta ottenuto l’impasto, questo viene trafilato in “trafile”. Utensili esclusivamente in bronzo, che permettono di conferire alla pasta una superficie rugosa determinandone la forma.

Terza fase: l’essiccamento.

L’essiccazione varia a seconda dei formati e comunque avviene ad una temperatura compresa tra 40 e 60°C per un periodo compreso tra le 6 e le 60 ore. La fase dell’essiccamento è ottenuta attraverso le celle statiche.

Quarta fase: il raffredamento e la stabilizzazione.

L’elemento finale dell’essiccazione è il raffreddatore che provvede a portare a temperatura ambiente la pasta ancora a temperatura d’essiccatoio e quindi a stabilizzare la propria temperatura prima di immetterla nell’ambiente esterno.

Quinta fase: il confezionamento.

Deve essere effettuato nelle aziende di produzione entro le ventiquattro ore successive all’uscita dall’essiccatoio; per evitare le perdite di umidità che comprometterebbero le qualità organolettiche speciali del prodotto.

Al Teatro Grande di Pompei le Baccanti di Euripide

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Dal 14 al 16 luglio nel Teatro Grande di Pompei, all’interno dell’importante sito archeologico, andrà in scena le Baccanti di Euripide.

Le baccanti di Euripide è un testo che pone sempre numerose sfide a chi lo voglia mettere in scena”, spiega il regista Andrea De Rosa, “la prima e la più importante delle quali consiste nell’essere l’unica tragedia il cui protagonista è un dio (Dioniso).

Una produzione importante realizzata con la collaborazione tra Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia.  Con un cast di attori di assoluta importanza come con Marco Cavicchioli, Cristina Donadio, Ruggero Dondi, Lino Musella, Matthieu Pastore, Irene Petris, Federica Rosellini, Emilio Vacca, Carlotta Viscovo

Le baccanti di Euripide. E’ possibile mettere in scena un dio?

Come si può rappresentare un dio? Come mettere in scena un dio? “Dio è morto”, scrisse Nietzsche più di un secolo fa e, a dispetto delle assurde guerre di religione che ancora si affacciano all’orizzonte della nostra storia recente, quella sentenza di morte sembra irreparabile e definitiva. Ma il sacro? Il misterioso? Sono anch’essi spariti per sempre dalle nostre vite? Che senso dare oggi alla presenza di un dio sulla scena, in un mondo in cui l’orizzonte del sacro sembra perduto per sempre? Il teatro è ancora il luogo dove un dio può prendere vita? dove possiamo ancora ascoltare la sua voce e, soprattutto, ancora interrogarlo?

Con le Baccanti di Euripide deciso a seguire le tracce di Dioniso

Mosso da tutte queste domande, ho deciso di mettermi sulle tracce di Dioniso. Il dio che da sempre ci affascina per il suo stretto legame con il senso di perdita di sé stessi e con la vertigine che ad esso si accompagna. È un dio difficile da afferrare, fragile e contraddittorio, insieme uomo e donna, debole e potente, creativo e distruttivo ma la posta in gioco è altissima perché egli promette agli uomini – attraverso il vino, la droga, la danza, la musica, il sesso e la morte – la liberazione dal dolore”.

Una giornata nel sito archeologico più importante d’Italia

Itinerari di Napoli ha organizzato una giornata all’insegna degli antichi fasti della cultura greca e romana. Il pomeriggio una visita guidata di tre ore circa all’interno degli scavi e la sera l’ingresso al teatro grande per assistere alle Baccanti di Euripide.

E’ possibile prenotare una visita guidata agli scavi di Pompei oltre che l’ingresso allo spettacolo al solo costo di 45,00 euro. Per maggiori informazioni e prenotazioni potete leggere Visita di Pompei e serata al Gran Teatro di Pompei

Visita di Pompei e serata al Gran Teatro di Pompei

Le Baccanti di Euripide ed il mito di Dioniso

Le Baccanti di Euripide è un’opera composta durante il volontario esilio del poeta in terra macedone e rappresentata postuma. E’ l’unica fra le tragedie greche a noi pervenute ad avere come protagonista Dioniso.
Il rapporto di Dioniso con la rappresentazione tragica è storicamente attestata dal fatto che le rappresentazioni avvenivano in occasione delle Grandi e delle Piccole Dionisie e delle Lenee. Oltre alle tragedie veniva rappresentato anche il dramma satiresco, che prende il nome dal coro dei Satiri, che, assieme ai Sileni, costituiscono il corteggio del dio. In più la rappresentazione tragica avveniva nel teatro di Dioniso, situato entro il Temenos, il recinto a lui sacro. La presenza di Dioniso nella tragedia non va dunque ricercata nelle vicende degli eroi, ma è essenzialmente una presenza meta-teatrale.

L’origine mitica di Dioniso risale alla città di Tebe e alla stirpe dei Labdacidi

Per lungo tempo si è ritenuto che il culto di Dioniso non fosse originario della Grecia, e il suo luogo di provenienza è stato identificato ora con la Frigia, ora con la Lidia, ora infine con la Tracia. La scoperta tuttavia delle tavolette micenee in lineare B con il nome del dio ha posto fine alla questione. Tuttavia si può ritenere che Dioniso abbia avuto in Grecia un ruolo trascurabile e solo dopo la sua vasta diffusione nell’area orientale sia stato riaccolto nella terra d’origine, non senza resistenza a causa del carattere orgiastico dei suoi rituali.
L’origine mitica di Dioniso risale alla città di Tebe e alla stirpe dei Labdacidi; Semele, figlia dei sovrani Cadmo e Armonia, fu amata da Zeus e a lui generò Dioniso. Era, accecata dalla gelosia, persuase Semele a chiedere a Zeus di mostrarsi a lei in tutta la sua maestà divina; il dio, che aveva fatto promessa a Semele di esaudire un suo desiderio, non potè negarglielo e dovette presentarsi a lei rivestito del potere del suo fulmine, da cui rimase folgorata. Semele portava nel suo grembo Dioniso: Zeus estrasse il nascituro da essa e lo cucì all’interno della sua coscia.

Nelle Baccanti di Euripide Il prologo è recitato da Dioniso in persona

Dioniso si presenta subito come figlio di Zeus e di Semele e indica agli spettatori gli elementi essenziali della scena: la reggia di Tebe, la tomba di Semele e le rovine della sua casa, distrutta dal fulmine di Zeus ed ora resa recinto sacro da Cadmo e ricoperta da Dioniso di tralci di vite. Dopo varie peripezie, il dio è giunto a Tebe per istituire qui i suoi riti; ma le sorelle di Semele hanno affermato che questa avrebbe generato Dioniso da un uomo qualsiasi, e che poi avrebbe sostenuto di essere stata amata da Zeus e che per questo il dio l’avrebbe folgorata. Per punirle, Dioniso le ha fatto impazzire e diventare Menadi. Il prologo procede informando gli spettatori che il nuovo re, Penteo, figlio di una delle sorelle di Semele, Agave, nega il suo culto; per questo Dioniso lo punirà.

Il prologo si conclude con l’invito di Dioniso alle Baccanti, affinchè lascino il monte Tmolo in Lidia e vengano a Tebe per far sentire lo strepito dei loro timpani a tutti i Tebani.

Mito nel prologo.

Dirce accolse nella sua casa Antiope, una giovane donna sedotta da Zeus, trattandola però come una prigioniera; quando la ragazza mise al mondo due bimbi, Anfione e Zeto, Dirce ordinò di portarli sul monte Citerone e di abbandonarli. Allevati da un pastore i ragazzi si vendicarono di Dirce legandola a un toro infuriato, ma Dioniso ebbe pietà di lei e la trasformò in una sorgente. Anfione fu poi padre del fiume Ismeno, e Zeto sposò Tebe.

Nella parodo il coro esprime la sua gioia di celebrare il dio e rievoca aspetti e momenti dei riti bacchici. La parodo si compone di un prooimion (preludio).

Nel preludio le menadi rispondono al richiamo di Dioniso

Nel preludio la prima strofa inizia con un makarismos: beato chi conosce i misteri divini e può celebrare sia la grande madre Cibele che Dioniso. Prosegue con un incitamento alle Baccanti affinchè riportino Dioniso in Grecia. Nella prima antistrofe viene ripercorsa la doppia nascita di Dioniso. La seconda strofaè un incitamento a Tebe a celebrare i riti bacchici sul Citerone, dove le donne tebane già attendono, spinte dall’invasamento del dio. Vengono rievocati altri simboli del culto dionisiaco: l’edera, la quercia e il pino, la pelle di cerbiatto, il tirso. Nella seconda antistrofe si evocano gli strumenti musicali dionisiaci, il tamburello e l’aulo frigio, il primo inventato dai Coribanti per coprire i vagiti di Zeus bambino nascosto dalla madre Rea dal padre Crono, e il secondo donato da Rea ai Satiri.

Nell’epodo il coro conclude aggiungendo gli ultimi tasselli al quadro rituale dionisiaco.

Nel primo episodio appare sulla scena Tiresia, senza accompagnatore pur essendo cieco, e addobbato con pelle di cerbiatto, corona d’edera e tirso, come una baccante. La sua figura ha qualcosa di risibile. Egli chiama Cadmo, che esce dalla reggia anche lui comicamente travestito da baccante; dal dialogo tra i due si evince che essi hanno deciso di onorare Dioniso. Il riso si gelava sugli spettatori all’apparire di Penteo.

Nelle Baccanti di Euripide ecco il sentimento del contrario

La resis di Penteo mette in evidenza la sua posizione: è un momento di pirandelliano umorismo: dopo il comico, l’avvertimento del contrario, ecco il sentimento del contrario, l’umorismo. Il ridere sui due vecchi perde d’innocenza sulla bocca di Penteo e diventa critica feroce contro i sostenitori di Dioniso. Il re ha sentito le notizie riguardanti ‘arrivo di un giovane misterioso e l’allontanamento delle donne dalla città per andare a baccheggiare sul monte; egli ha fatto subito portare in carcere alcune donne, compresa sua madre e sua zia. Quanto allo straniero, Penteo minaccia che gli farà staccare la testa dal collo.

La verità per Penteo è che il figlio di Semele è stato bruciato dal fulmine di Zeus

Questo straniero sostiene la divinità di Dioniso, mentre la verità per Penteo è che il figlio di Semele è stato bruciato dal fulmine di Zeus. Egli vede poi i due vecchi e li rimprovera incolpando il sacerdote di aver convinto il nonno. Dopo un breve ed aspro rimprovero del coro a Penteo, si apre la lunga resis di Tiresia, espressione di una teologia complessa che è il vero nucleo tematico della tragedia; il fatto che poi Tiresia non compaia più lo innalza dal rango di personaggio a quello di profeta.

Nelle Baccanti di Euripide scopriamo i due principi basi per gli uomini: il secco e l’umido.

Tiresia rovescia su Penteo l’accusa di non avere nous, dicendo che due sono i principi basi per gli uomini: il secco e l’umido. Dioniso riveste il liquido, contrapposto al solido di cui è padrona Demetra: questa nutre gli uomini con sostante secche, mentre il Dioniso ha scoperto il vino che dà l’oblio dei dolori. Secondo Tiresia Zeus dopo che ebbe salvato Dioniso alla nascita, staccò un pezzo di etere e lo diede a Era come ostaggio spacciandolo per il bambino: la parola ostaggio (omeros) è somigliante alla parola coscia (meros), ciò fece sì che gli uomini si inventassero la favola del bambino cucito nella coscia di Zeus.

Il primo episodio si chiude con tre interventi della stessa durata.

Cadmo cerca di convincere Penteo dicendogli che anche se non crede nella divinità di Dioniso, può fingere di crederci. Infine Tiresia si rivolge a Cadmo per invitarlo a porre in atto la loro andata al monte, sicuri di fare il loro dovere per il bene della città.
Il quinto episodio è uno dei più movimentati della tragedia: esso è costituito dal racconto di un messaggero (il secondo angellos), che riferisce al coro e al pubblico i momenti dell’uccisione di Penteo. Il re avverso al dionisiaco, che era apparso prima potente, poi via via sempre più indebolito rispetto al dio, ora subisce la sua sconfitta.

Penteo, con Dioniso, nella spedizione di avvistamento delle baccanti

Il messaggero narra di aver accompagnato Penteo, con Dioniso, nella sua spedizione di avvistamento delle baccanti. Quando il re è giunto sul luogo, ha chiesto di poter vedere le donne da una posizione più agevole, ed ha proposto egli stesso di salire su un albero. Ma da quella posizione Penteo è visto dalle baccanti, che accorrono e dopo aver prima lanciato sassi, si pongono attorno all’albero e lo sradicano, provocando la caduta di Penteo. Ed è proprio Agave che per prima si avventa sull’infelice, i cui tentativi di farsi riconoscere risultano vani. I particolari dello sparagmos vengono puntualmente elencati dal messaggero: lo strappo di una spalla, l’asportazione delle membra, braccia e gambe. Agave si impossessa della testa e la confitta in cima al proprio tirso. Poi si reca in città con questo trofeo credendo che sia la testa di un leone.

Nell’esodo, il coro introduce Agave che sta giungendo alla reggia.

Agave avvia un dialogo lirico con il coro in cui esibisce con entusiasmo il suo trofeo. Ella poi chiede che possa vederlo suo padre Cadmo e che suo figlio Penteo lo appenda sulla facciata del palazzo. Entra Cadmo con i servi che portano su una barella i resti di Penteo; Agave si rivolge al padre annunciandogli di aver catturato ed ucciso la preda che porta sul tirso e gli dice che egli deve esserne orgoglioso. La risposta di Cadmo è insieme un grido di dolore e l’inizio della rivelazione: l’impresa delle figlie è stato un assassinio e la disgrazia è avvenuta per opera di Dioniso che si è vendicato.

Che aveva a che fare Penteo con la sua follia?

A questo punto Agave prende consapevolezza della situazione e passa ad una seconda fase in cui si preoccupa dell’integrità del cadavere e poi si abbandona alla domanda sconsolata: che aveva a che fare Penteo con la sua follia? Seguono il lamento di Cadmo e di Agave.

Pompeii Theatrum Mundi Pompei palcoscenico del mondo

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Prometeo

Dal 22 giugno al 23 luglio 2017 al Teatro Grande di Pompei la prima edizione della rassegna di drammaturgia antica POMPEII THEATRUM MUNDI

Da Orestea a Prometeo, da Antigone a Baccanti a Fedra nelle regie di Luca De Fusco, Massimo Luconi, Andrea De Rosa, Carlo Cerciello. Un progetto quadriennale realizzato e promosso da Teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale e Parco Archeologico di Pompei.

Il progetto quadriennale POMPEII THEATRUM MUNDI

Il progetto quadriennale POMPEII THEATRUM MUNDI, immaginato per il Teatro Grande del più imponente sito archeologico del mondo qual è quello di Pompei, nasce d’intesa e collaborazione tra il Teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale e il Parco Archeologico di Pompei, nel più vasto programma di promozione dell’area e dopo la riapertura al pubblico del bellissimo Teatro Grande.

Cinque grandi testi riproposti al pubblico nell’affascinante atmosfera degli scavi

Secondo un articolato calendario, tra il 22 giugno e il 23 luglio 2017 sul palcoscenico del Teatro Grande (costruito nel II sec. a.C.) andrà in scena il primo ciclo di drammaturgia antica. Cinque grandi testi riproposti al pubblico nell’affascinante atmosfera degli scavi.
«Dal 2014 – dichiara Massimo Osanna, direttore generale del parco archeologico di Pompei, le scene del Teatro Grande sono state restituite al pubblico internazionale, dove la nuova rassegna del Teatro Stabile di Napoli si inserisce in modo naturale. Nel celebrare e far rivivere al pubblico l’unicità e la sacralità di questi luoghi, Pompei ancora una volta si profila come laboratorio di arte e cultura, palcoscenico del mondo aperto alla tradizione e all’innovazione».

Eschilo, Sofocle, Euripide, Seneca saranno rappresentati nel luogo in cui, con tutta probabilità, furono messi in scena già in epoca romana

«Lo Stabile da me diretto – annota Luca De Fusco – propone un progetto di drammaturgia antica, scelta tanto importante quanto naturale. Testi di Eschilo, Sofocle, Euripide, Seneca saranno rappresentati nel luogo in cui, con tutta probabilità, furono messi in scena già in epoca romana. Un luogo non neutro ma fortemente caratterizzato e pieno di fascino, esso stesso elemento della narrazione teatrale. In questo luogo riportiamo il teatro di prosa con una manifestazione che ci auguriamo susciti l’attenzione e il gradimento del pubblico. Per sedici serate da trascorrere in uno dei maggiori palcoscenici della storia dell’umanità». «Cinque capolavori – sottolinea il direttore De Fusco – tesi a privilegiare ed esaltare il rapporto tra contenitore e contenuto, tra spazio scenico e narrazione teatrale, che la straordinaria location di Pompei consente e garantisce come poche altre al mondo».

Sky Arte a Napoli dal 5 al 7 maggio con tre giorni di performance

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sky arte a Napoli

Sky Arte porta a Napoli tre giorni di performance coinvolgenti con tanti protagonisti della scena artistica italiana e internazionale

Teatro, musica, arte classica e contemporanea, fotografia, street art. Sky Arte porta a Napoli tre giorni di performance coinvolgenti. Tanti protagonisti della scena artistica italiana e internazionale si ritroveranno a Napoli dal 5 al 7 maggio per il primo Festival di Sky Arte, in collaborazione con Sky Academy.
Sky offre al pubblico un’occasione unica di assistere a incontri, mostre, proiezioni, concerti e
anteprime nel cuore pulsante del Meridione e di partecipare alla creazione di opere d’arte che
saranno lasciate alla città.

Sky Arte occasione per celebrare l’arte nella sua essenza più pura.

Tema del Festival, organizzato in collaborazione con il Polo museale della Campania e con il
patrocinio del Comune di Napoli e dell’Università degli Studi Federico II, è LA RIGENERAZIONE: si parte infatti dall’idea di rinascita propria della creatività e delle arti, cui Sky Arte ha dedicato
grande attenzione fin dalla nascita. Per Sky, e più in particolare per Sky Arte, punto di riferimento privilegiato del rapporto tra cultura e televisione in Europa, è un’occasione per celebrare l’arte nella sua essenza più pura, nelle sue innumerevoli rappresentazioni, non solo attraverso lo schermo, offrendo una proposta culturale unica e multiforme, capace di coinvolgere il pubblico di ogni età. Per Napoli, da sempre tra i luoghi più vivaci, creativi, capace di coniugare innovazione e tradizione, è una grande opportunità per mostrare al mondo il prezioso tessuto storico-artistico e culturale che la città sa offrire.

Napoli città cosmopolita e multiculturale esempio sempre dinamico ed originale della ricchezza artistica

Si tratta infatti di un progetto che si inserisce nella più ampia missione di Sky di partecipare
anche all’evoluzione culturale della società. Essere un soggetto attivo che stimola, promuove e si fa punto di raccordo tra i territori, le città e la realtà internazionale. Da qui nasce l’idea di uscire dagli schermi. Organizzare il Festival in una città cosmopolita e multiculturale esempio sempre dinamico ed originale della ricchezza artistica, storica e creativa di questo Paese.

Le location di Sky Arte

Quartier generale del Festival di Sky Arte sarà il Museo Pignatelli, uno dei più significativi esempi di architettura neoclassica della città. La villa monumentale, lungo la Riviera di Chiaia, ospiterà dibattiti, proiezioni di film e documentari, workshop e alcune delle attività di Sky Academy, rivolte ai bambini e ai ragazzi.
Le altre location coinvolte saranno il Museo MADRE, che ospiterà l’evento inaugurale del Festival e il cinema serale all’aperto, le Gallerie d’Italia – Palazzo Zevallos Stigliano, sede museale e culturale di Intesa Sanpaolo a Napoli, e il Rione Sanità. In particolare, grazie alla collaborazione con la Fondazione di Comunità San Gennaro, la Basilica di San Gennaro Extra Moenia e la Basilica di Santa Maria della Sanità ospiteranno pièce teatrali e il concerto di chiusura del festival di Vinicio Capossela.
Il Festival offrirà inoltre l‘opportunità di assistere gratuitamente alle proiezioni delle principali
produzioni originali realizzate da Sky Arte in questi quattro anni e dei grandi film d‘arte prodotti da Sky.

Busti d’argento in esposizione e processione il 6 maggio a Capua

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In esposizione a Capua i Busti d'argento
busti d'argento. Foto di Giovanna di Benedetto

Dopo una pausa di più di settant’anni, torna per la terza volta  la processione dei busti d’argento.

Dopo una pausa di più di settant’anni, torna per la terza volta un appuntamento molto sentito e che dimostra l’importanza e la ricchezza della storia di Capua. La processione dei busti dei santi patroni e copatroni, vere opere d’arte in argento.
La processione si terrà nel pomeriggio del 6 maggio alle ore 18.00. Partirà dalla Cattedrale di Capua dove i busti saranno esposti per tutta la giornata. Il punto info Capua Sacra presenta per l’occasione il “racconto d’argento”, la storia dei 7 busti che tornano ad essere mostrati in pubblico.

Per la Fiera del Grano, o di San Marco, nel ‘600 si faceva a Capua una solenne processione il 25 aprile. In quella occasione era uso benedire i campi fuori l’antica Porta del Ponte, oggi Porta Roma. Un percorso che arrivava fino alle torri di Federico II dove avveniva la benedizione dell’arcivescovo ai campi per augurare una buona raccolta del grano. Qui veniva portata una croce ricavata dalla cera del cero pasquale, avanzata l’anno precedente o mischiata con altra cera nuova.

I busti d’argento vere opere d’arte dei maestri argentieri napoletani.

Nel 1700 il Tesoro della Cattedrale si arricchì di molte statue d’argento, opere dei maestri argentieri napoletani. Tra queste opere i busti dei santi patroni e copatroni iniziarono ad essere parte della processione del grano. Oggi sono sette ma in origine le statue dovevano essere almeno ventuno, in base a quanto scriveva nel 1766 Francesco Granata nel libro “Storia Sacra della Chiesa metropolitana di Capua”. Molte, purtroppo, sono andate perse o distrutte.

L’ultima volta, nel periodo dell’anteguerra, le statue d’argento sfilarono nel 1941. Nel 1967 fu fatta una processione delle Rogazioni senza le statue. Il 1° novembre del 1966, in occasione del millenario della Sede episcopale elevata a dignità Metropolitana da papa Giovanni XIII, ne furono postate in processione tre.

Le statue, oggi conservate negli armadi murali della Cappella del Santissimo Sacramento, sono quelle di: Santo Stefano, protomartire (sec.XVIII), Sant’ Agata, vergine e martire (sec.XVIII), Sant’ Irene, (sec.XVII), Busto argenteo della B.V.Addolorata (sec.XVIII), San Sebastiano, (sec.XVI), Sant’Andrea Avellino ( sec.XVIII), San Gaetano Tiene – fondatore dei Chirici Regolari – (sec.XVIII), Urna argentea di San Prisco ,vescovo e martire (sec.XI) il cui busto argenteo fu distrutto durante l’ultima guerra.
Ma nel Tesoro ve ne erano altre, pure d’argento fatte, grazie alle “’ limosine dei fedeli”, dal cardinale arcivescovo Caracciolo e si dice che la più bella di tutte sia stata quella di San Tommaso D’Aquino, forse liquefatta per ordine del Borboni.

L’itinerario dei busti d’argento.

Il particolare itinerario partirà alle ore 9.30 dal Punto Informativo Capua Sacra e condurrà i visitatori, ripercorrendo il tragitto della antica processione, dalla cattedrale alle torri di Federico II, i cui resti rappresentano una delle collezioni più importanti del Museo Campano.
Nel pomeriggio, alle ore, 18.00 i busti d’argento saranno portati in processione per le via della città con partenza dalla Cattedrale.
Il percorso proposto in mattinata per la visita prevede le seguenti tappe:
•    Visita alla cattedrale e ai suoi tesori con l’esposizione dei busti reliquari in argento
•    Resti delle torri di Federico II
•    Visita al Museo Campano
•    Ritorno in cattedrale lungo Via dei Principi Longobardi (Chiese a Corte)

Per effettuare la visita è previsto un Contributo di 4,00 €. Comprende la visita in cattedrale e l’accompagnamento ai resti delle torri di Federico II.
Il biglietto per l’ingresso al Museo Campano costa 6,00 € – intero, 3,00 € ridotto.
Per informazioni Info Capua Sacra