mercoledì 2 Aprile 2025
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JASTEMMA di Giovanni Del Prete

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Da un’idea di Antonio Vitale. Regia e interpretazione Antonio Vitale

La solitudine accompagna Gennaro, napoletano, ormai da tempo. È diventata per quest’uomo, costretto a vivere in condizioni misere, un’amica invisibile. È stato licenziato da un giorno all’altro e si rivolge alla solitudine, confidandole le sue paure, le sue preoccupazioni ma anche i suoi sogni.

Lo fa a volte bestemmiando, pregando un Dio ed altre raccontando dei cunti di sua nonna che gli tornano alla memoria e che assolvono il compito di distrarlo, portandolo altrove con la mente. Ad un certo punto escogiterà per sopravvivere un piano. Quale sarà il piano di Gennaro?….è tutto da scoprire. Per una precisa scelta registica non ci saranno luci particolari né tantomeno musiche per rendere lo spettacolo ancora più realistico.

FONèS scritto diretto ed interpretato da Francesca Muoio e Luca Trezza

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FONèS, dal greco Voci, è un progetto di spettacolo per due Attori-Autori.

Un progetto attraverso cui si vuole raccontare la storia di alcuni personaggi semplici, miseri, quotidiani a cui accade qualcosa di Straordinario e che con il loro atteggiamento di fronte al Mistero, assurgono al ruolo di personaggi tragici. I monologhi e i racconti che s’intrecciano sono voci, Fonès appunto, che provengono dal fondo, dal profondo sia dei personaggi che degli autori-attori. Voci che poi si amalgamano e si fondono a ridosso di un luogo indefinito che può essere un SUD del Mondo.

Un lui e una lei. In uno spazio vuoto iniziano a raccontare. Sono Lui, Lei, sono la Notte, gli Animali, le cose, sono l’atmosfera che li pervade. Raccontano in prima ed in terza persona fondendo le loro voci, intrecciando i loro racconti e i loro corpi alla Musica. La voce al gesto- il gesto alla musicalità del racconto. Personaggi di volta in volta diversi che ci raccontano una storia, il loro mondo, la loro voce. Molti gli elementi ad accomunarli. E far dis-piegare attraverso le loro storie, tematiche archetipiche L’urgenza di questo progetto di spettacolo nasce dalla necessità di dare corpo ad alcune tematiche archetipiche, con la semplicità della narrazione primaria, ovvero la Favola.

Dare voce a storie\aneddoti\favole\racconti\ che sono per noi stralci di senso, possibilità di contatto reale con il pubblico. Tematiche come l’Amore, la Morte, la Sorte, la Solitudine, l’Identità, tematiche archetipiche ma sempre attuali. Narrare semplicemente, con un montaggio alternato, convulso, schizzato. Questa la sfida scenica. Favola e montaggio frastagliato. Dalla consapevolezza che il messaggio, il tema, sia nascosto nelle maglie del racconto. Approcciamo a questo progetto con la voglia di scandagliare il testo, vivisezionarlo e riportarlo sulla scena manifestandone il processo nel corpo nel linguaggio. Come un Autore-Attore che incarna il suo demone.

Chi saranno questi personaggi? -Uno spazzino che scende in un tombino – Una prostituta che voleva solo ballare -Un transessuale che ricorda la sua violenza in un tunnel. – Un Cameriera che ù vuole diventare Signora. -Una ragazza all’entrata di una discoteca che chiede di entrare -Un barista che chiede ad una maga una magia – Un bambino e il suo pappagallo – Un gabbiano e una colomba che s’incontrano

L’aspetto mistico e favolistico è presente anche attraverso la voce degli animali. Queste le storie che vanno a comporre un puzzle-scassato, immaginifico, come un quadro astratto che ci riporta ad una grande visione. Storie che ci fanno assaporare una dimensione partenopea antica, greca. La drammaturgia dei personaggi cercherà, attraverso i vari racconti, di creare un corto circuito emotivo –violento- contemporaneo, a tratti frenetico. La scena vuota a far parlare la Parola, il Racconto, la città.

Il lavoro, l’identità e la solitudine, sono i temi portanti di questo progetto. E poi il Magico oltre il Reale. Il poter forzare il quotidiano e cercare di sopportare. Il linguaggio utilizzato è il napoletano, anche se non mancheranno neologismi creati per rendere meglio la sensazione da spiegare, da raccontare, da sentire. Si farà riferimento attraverso i racconti all’atmosfera notturna, ai buchi sotterranei. Come il Tunnel, il Tombino, la Tazza di Caffe, Il Bagno… Così come al volo di animali. Il pappagallo, la gatta, gli uccelli… Dove accadimenti e sensazioni si mischieranno per essere echi lontane, Fonès appunto, che echeggiano storie attuali, ma dal sapore antico in cui il pubblico possa riconoscersi. Un quadro astratto contemporaneo.

PROGETTO DI MESSA IN SCENA Cosa ci sarà? Lo spazio lo immaginiamo vuoto. Solo la musica e pochi oggetti a definire le scene e i personaggi. Una scopa, un telefono, una gonna, scarpe, rossetti e un grembiule a raccontare ulteriormente il mistero. Come Lavoreremo? Partiamo dai Testi. Essendo composti da storie, a volte favole a volte personaggi che parlano in prima persona, o terza persona cercheremo di vivificarli (dare anima –corpo-sangue-vita) creando dei dialoghi, degli intrecci tra i due Attori-Autori.

Quando uno racconta, l’altro con il corpo farà il personaggio, quando l’altro racconta l’altro attore farà lo stesso, cambiando ogni due racconti il modus scenico. Facendo in modo che la composizione omogenea ed esponga un quadro vivido in movimento atto a far capire le delicatezze e i dettagli della storia, con gesti- allusioni. Piccole parole sottaciute. (vedi esempio spettacolo precedente – Leggendo Leggende Napoletane)Le musiche scelte aiuteranno a questa composizione. Corpo –Musica- Gesto-Parola che si fondono in un tutt’uno che ci regali un’idea di storia. Le tematiche affrontante saranno la Solitudine, l’Amore, la Morte, L’identità. Tematiche antiche per voci sofferenti contemporanee.

VAPOROSA NEBBIOLINA di Paolo Capozzo

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Con Carmela Aria e Paolo Capozzo. Disegno luci Gianni Di Nardo. Musiche Pietro Turco. Realizzazione progetto scenografico Marina Parrilli. Foto di scena: Antonia Di Nardo. Regia Paolo Capozzo

SINOSSI: Romeo è un ex attore di teatro che, a causa di una malattia mentale degenerativa, vive recluso inun ospedale psichiatrico. Accudito amorevolmente da una Giulietta immaginaria, Romeo sembra ignorare lo squallore della realtà che lo circonda. Ma i ricordi della sua vita precedente ogni tanto riemergono, potenti e

incontrollabili, costringendolo ogni volta a rivivere quelli che sono stati i suoi ultimi momenti di consapevolezza, quando l’aggravarsi improvviso della malattia ha costretto la compagnia a interrompere lo spettacolo e la tournee. Perennemente in bilico tra realtà e allucinazione, Romeo e Giulietta tenteranno di portare a termine quell’ultima replica mai conclusa.

NOTE DI REGIA: Il carattere meta-teatrale di questo lavoro ha un peso specifico rilevante.Tutto avviene nella mente di Romeo, devastata dalla malattia, e la realtà, tragica e ineluttabile,affiora solo alla fine, seppur largamente preannunciata.Tra i personaggi shakespeariani, e i loro interpreti non esiste soluzione di continuità.

I “caratteri” si sovrappongono al punto che non è possibile distinguere i ricordi, i sensi di colpa, i pentimenti degli uni e degli altri. La malattia ha trascinato l’esistenza di Romeo dentro una malinconia intrisa di rimpianti, il più forte dei quali forse è di non essere riuscito a sottrarre la sua Giulietta al triste destino che gli è toccato. D’altro canto, la presenza di lei, è un unguento per la sua umanità a brandelli, l’unica luce dentro il buio pesto della sua pazzia.

USB di Salvatore Majorino

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Con Peppe Carosella | Lucia Maglitto. Regia Salvatore Majorino

Cosa ci fanno un criminale da strapazzo ed una prostituta su di un pianerottolo di un condominio qualunque? Divisi da una porta di un misterioso inquilino, intrattengono un dialogo surreale e divertente. Usb è uno spettacolo torbido ed esilarante, con un finale scioccamente inaspettato, dalle tinte rosso sangue e nero thriller. 

TEODORA DEGLI SPIRITI – Suite per un eccidio di Danilo Rovani

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Con Denise Capuano, Danzatore Cristian Luino. Musiche Pasquale Ruocco. Regia Danilo Rovani

Nella notte di Pasqua del 1686, nel castello del marchese Lorenzo Alberti, a Pentidattilo (Calabria) si perpetra uno degli eccidi più sanguinosi della storia, a opera del Barone di Montebello Ionico Bernardino Abenavoli. In quella sanguinosa notte persero la vita molti uomini, donne e bambini, tra cui appunto, il marchese Lorenzo

Alberti. Una delle poche superstiti di cui si ha notizia fu la sorella minore del marchese, Teodora, che, grazie ad un cunicolo che dal castello, posto sulla rocca, sbucava parecchie centinaia di metri più in giù, a mare, riuscì a sfuggire agli assalitori che nel cuore della notte fecero scempio della sua famiglia. Teodora degli spiriti racconta in prima persona, attraverso la voce della stessa protagonista la sua fuga, la permanenza ed infine la fuoriuscita dal cunicolo grazie a cui riesce a salvarsi.

All’interno dello stretto passaggio, Teodora ragiona, ripensa a come pochi istanti prima gli aggressori stessero compiendo la strage, ricorda la sua infanzia e comprende come e perché sia avvenuto quel massacro. Descrive ciò che i suoi occhi hanno visto fuggendo e ripercorre passo passo tutti gli accadimenti che hanno portato lei e la sua famiglia a questo culmine. La giovane uscirà da quell’angusto luogo di salvezza mutata nell’essenza, maturata, non più giovincella, ma donna, non più marchesina solo come titolo, ma unica e sola erede e nuova marchesa di Pentidattilo di Calabria.

LA NOTTE PRIMA DELLE FERIE di Valentina Varrella

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Diretto e interpretato da Marco Fandelli. Aiuto regia Milena Pugliese. Voci registrate Marco Fandelli e Milena Pugliese.

SINOSSI: In una città semideserta in pieno agosto, un uomo, padre di famiglia, rientra dal lavoro e si pregustala partenza per il giorno successivo quando finalmente potrà godere delle ferie estive e raggiungere il resto della famiglia al mare. La sua routine sarà però interrotta a tratti dai litigi dei vicini, una coppia giovane, che squarcia con grida e rumori improvvisi la calma del condominio disabitato. Il protagonista segue, pur non volendo, la sequenza del violento alterco, optando per una giusta, aparer suo, discrezione e per una certa, infastidita, indifferenza.

NOTE DI REGIA: Tutti abbiamo assistito alla violenza ma in pochi siamo intervenuti.al sicuro della propria abitazione, un uomo ascolta un litigio coniugale dai toni sempre più accesi. Forse interverrà, oppure chiuderà le finestre e riprenderà la sua confortante routine. Io so bene cosa farei al suo posto, e non ne vado fiero. E voi cosa fareste?

OCCIDENTE di Antonio Mocciola

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Con Gregorio Del Prete. Regia Giuseppe Cerrone

SINOSSI: Ispirato da una storia drammaticamente vera, “Occidente” svela – nei raccapriccianti dettagli delle torture di Guantanamo – l’insensatezza di tutti gli estremismi religiosi. Un imam trentenne, nelle mani di un gruppo di canaglie in divisa, viene pian piano privato della dignità, dell’essenza, e persino del suo credo. In scena un incubo che prende forma con pochi oggetti, e poca luce. La luce della ragione, la grande assente nell’eterna notte dell’intolleranza. Che sia Oriente, che sia Occidente.

NOTE DI REGIA: Sorvegliare e punire per estorcere verità fasulle inventate, costruite dalla più opulenta delle democrazie occidentali: gli Stati Uniti D’America. Questo è, in buona sostanza, Occidente di Antonio Mocciola. Compito della regia sarà quello di non citare il dolore ma di mostrarlo ed incarnarlo in sinergia con l’autore e l’interprete. La discrezione non fa per noi. Il potere annulla il soggetto, lo annienta, irretisce, avvalendosi di metodi e strutture che la regia restituisce con coraggio, in un processo di osmosi con il pubblico chiamato, poco alla volta, a prendere coscienza dell’orrore. La strategia, bressoniana, di resistenza all’emozione per lanciarla di schianto, in modo imprevisto e folgorante, si avvale delle partiture di Bruckner e Mahler appena la parola tace o si placa nel gesto inesausto del protagonista. “L’uomo è soltanto un errore di Dio? O Dio è soltanto un errore dell’uomo?”, si chiede l’autore, Antonio Mocciola. Il Marchese de Sade sostiene che attraverso il crimine, l’uomo rigenera il mondo e la Natura (con una buona dose di fantasia l’idea è attribuita in Juliette a papa Pio VI). Di sicuro mediante il crimine, il potere perpetua se stesso, avvalendosi e godendo del male. È lo stato delle cose (anche in democrazia). E vogliamo restituirlo in poche scene.

LA TENEREZZA di Carlotta Carpentieri

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Con Carlotta Carpentieri | Giada Laporta. Regia Francesco Gafforio

SINOSSI – Primo capitolo di unaTrilogia che costituisce un progetto nato dall’urgenza di raccontare l’infinità di storie nascoste tra le pagine polverose di archivi abbandonati. È esattamente quel sentimento di calda comprensione di una vita lontana nel tempo l’ispirazione e l’aspirazione di quest’opera. La parte uno è l’impellente racconto di Nunzia, pellegrina di manicomi, profeta di un amore ingenuo, narratrice delle dimenticate. La dimensione è il ricordo, da quello antico e profondo, che contrappone chi può sopravvivere alla Storia e chi non ne è meritevole, a quello prossimo, che arriva a sfiorarci, senza toccarci davvero.

NOTE DI REGIA: Costruire la semplicitàLa prima volta che mi è capitato di leggere fino alla fine questo testo ricordo di aver trascorso alcuni minuti a riflettere, sorpreso dalla natura delle riflessioni che sorgevano spontanee. Di fronte all’apparente semplicità del contenuto sarei stato tentato di limitarmi a pensare agli aspetti tecnici della messinscena e affidare esclusivamente alla perizia delle interpreti la buona riuscita del progetto, ma in cuor mio sapevo che ciò non sarebbe bastato. Come si costruisce la semplicità? La risposta a questa apparente aporia in breve tempo mi apparve chiara: il training. Soltanto lunghe sessioni di gioco avrebbero permesso alle attrici di accedere al nucleo puro e limpido di sensazioni che i personaggi trasudano da ogni azione, verbale, non verbale o para-verbale che fosse.

Il luogo della mente – Soltanto dopo i primi incontri è parso chiaro a tutti che in scena si era creato un confine spaziale fra il presente di Nunzia, con la sua apparente incapacità di raccontare il suo mondo, e il presente infinito e indefinito della sua mente, nella quale si muovono gli altri personaggi, tutti interpretati dalla stessa attrice, una testimonianza tangibile e vivida di ciò che le parole di Nunzia faticano a raccontare. Ecco che la scena è occupata quasi totalmente da questo mondo nascosto che solo il teatro è riuscito a rendere visibile. La claustrofobica realtà del manicomio, rappresentata da un’attrice quasi immobile al centro della scena, fa esplodere i suoi confini e li confonde con quelli del mondo taciuto, fatto di immagini profonde e simboliche, di azioni che si eternano e hanno il sapore della libertà e del dolore incancrenito.

Non ti scordar di me I confini labili e invisibili fra questi due mondi sono gli stessi che nel testo si palesanonella dialettica fra il detto e il taciuto, fra la superficialità e la leggerezza, fra la memoria el’oblio. E proprio quest’ultima dicotomia rappresenta per me e per le attrici che simettono in gioco il vero punto di tensione (non esattamente di conflitto) che anima lascena: Nunzia ha l’esigenza di ricordare eventi e realtà che le sorde mura degli istitutisoffocano ogni giorno, nascondendo al mondo la profonda umanità degli interpretiinvolontari che la civiltà ha deciso di dimenticare. Ma Nunzia è un essere umano e per quanto si sforzi di ricordare alla perfezione i dettagli, per strapparli all’oblio e renderegiustizia alle sue compagne di prigionia dimenticate dal mondo, la memoria perdegradualmente terreno a favore dell’oblio: un lungo braccio di ferro che ciascuno di noi èdestinato a perdere contro la Storia.

Il Rito Queste considerazioni hanno guidato la costruzione della pièce. Nunzia e le immaginidella sua mente fanno la Storia, che è fatta di uomini e donne che decidono diraccontare: lo fa attraverso il rito della narrazione, che è poi il rito del teatro. Portare inscena la sua volontà di eternare la sua esperienza e questi volti altrimenti dimenticatipermette allo spettatore di ricordare che lontano dall’orizzonte delle nostre esperienzec’è un mondo che ha necessità di raccontare e raccontarsi per non svanire.

ITRIA scritto diretto ed interpretato da Aurora Miriam Scala

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Aiuto regia Maria Chiara Pellitteri. Supporto tecnico Valerio Puppo

Ci troviamo in una stanza della mente. In un tempo non tempo, in un luogo non luogo, a ricordare. Colei che ricorda è Itria: una donna siciliana. Il suo è un ‘repitu’, un lamento funebre. Dal lamento parte il racconto, dal dolore viscerale. Tutto si accavalla come in un vortice di ricordi e di emozioni, un continuo susseguirsi di flashback e di bruschi ritorni al presente che fanno di Itria l’unica voce capace di evocare tutti i protagonisti di questa misteriosa pagina della storia italiana. La scena è pervasa dal tulle da sposa bianco.

Itria ricorda. Ricorda la purezza dell’amore e le brutture di un mondo che la vuole ancora schiava nella sua stessa terra. Ricorda le risate in famiglia, le parole taglienti del potere, la pioggia d’estate sotto la quale danza spensierata e gioiosa, ricorda l’assalto delle camionette, gli spari.

Il due Dicembre 1968, uno sciopero pacifico e non violento si trasforma in un eccidio. I braccianti di Avola scioperavano per chiedere la parità. Volevano essere pagati 3.480 lire e lavorare 7 ore e mezza esattamente come i braccianti della zona limitrofa. Volevano che giungesse anche nelle campagne della Sicilia Sud Orientale il controllo sulle assunzioni, e che il mercato di piazza non fosse più il metodo col quale scegliere i lavoratori, come fossero bestiame.

Itria ha tre figli ed è la moglie di Giuseppe Scibilia, bracciante di 46 anni, anche lui partecipe della protesta. Nella mente di Itria ogni ricordo è chiaro. Ogni istante. Dopo giorni e giorni di richieste da parte dei sindacati, i braccianti non riescono ad ottenere risposte dai proprietari terrieri, non c’è dialogo, non c’è apertura. Si decide per il blocco stradale. La celere irrompe ad Avola, nella statale 115, sparando ad altezza d’uomo. Decine e decine di feriti e due morti. Giuseppe Scibilia e Angelo Sigona perdono la vita.

Orde di giornalisti accorrono a raccontare l’accaduto. “I fatti di Avola” diventano l’emblema della lotta sindacale. I politici del tempo assicurarono: “si andrà fino in fondo alla faccenda”. Dopo oltre 50 anni dal fatto, e un’inchiesta secretata, nessuno ha mai saputo la verità. Nessun colpevole, nessuna risposta. Solo l’amara consolazione di essere stati il motore che ha portato alla stesura dello Statuto dei Lavoratori da parte del Ministro Brodolini. “Ma cu ammazzau a Peppe? A me maritu.”

ALOYSIA – Storia di una Janara di Luigi Parlato

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Con Rossella Castellano e Luigi Parlato. Direttore di scena Fabiana Maresca. Costumi e oggetti di scena Barattoli Cosmici. Regia Rossella Castellano

SINOSSI – Nell’anno 1666 una terribile carestia si abbatte sul piccolo borgo di Malvignano: i campi sono aridi, i pozzi secchi, gli animali muoiono. Ridotto in miseria e affamato, il popolo fa sentire la sua voce, rivoltandosi contro l’autorità di Don Francisco Ferrante Mandraga, alto prelato ma di umili origini, dalla condotta discutibile, morbosamente attaccato alla ricchezza e al potere.

Ai margini della Selva di Pizzo Monte vive Aloysia, che dopo essere scappata dal convento in cui era stata rinchiusa, ha scelto di diventare una Janara, una strega, una donna reietta e perseguita perché diversa, donna libera ed emancipata quindi pericolosa per la società del tempo. Sentendosi minacciato dal popolo, Mandraga si autoproclama Inquisitore e accusa pubblicamente Aloysia di essere colpevole di stregoneria e unica responsabile della carestia, evidente castigo divino. Aloysia, vittima di ingiustizie passate, invece di tentare la fuga o nascondersi, decide di affrontare il proprio destino.

NOTE DI REGIA – La scelta registica si è orientata verso la costruzione di una scenografia ruotante per permettere veloci e serrati cambi di scena, contornati da tagli di luce netti in contrasto con zone d’ombra, per caratterizzare l’atmosfera cupa del Seicento, un secolo caratterizzato da violenza, superstizione, discriminazione e paura, che prendono forma come demoni inquietanti dell’immaginario popolare, materializzandosi nella figura esoterica del Voie Marrangone e attraverso il significato allegorico di elementi quali la troccola, le forbici arrugginite e le antiche litanie per allontanare gli spiriti maligni.

L’ennesimo atto di violenza ai danni di una donna sta per essere consumato: lo si percepisce nella strategia accusatoria dell’Inquisitore, nei gesti cadenzati del Boia, nel suono lamentoso della troccola, che richiama Vox Populi, elemento emblematico che abbiamo immaginato di rappresentare non fisicamente ma attraverso voci che risuonano sulla scena, come una folla in rivolta dove non è più possibile distinguere il singolo, ma un branco, tutti si lasciano trascinare dal sentimento dominante e unificante, nessuno ha il coraggio di opporsi.

Per la scelta dei costumi ci siamo attenuti a quelli tipici dell’epoca, ma abbiamo voluto deformare in maniera grottesca alcuni elementi per enfatizzare l’ambivalenza e le contraddizioni morali dei personaggi, come ad esempio l’orlatura della mantella dell’abito domenicano dell’Inquisitore. La giustapposizione e il capovolgimento del bianco e del nero nei tessuti, accompagnano di pari passo quello degli effetti di luce, a sancire lo scontro tra Janara e Inquisitore, magia e religione, conoscenza e superstizione, entrambi hanno una visione opposta e complementare di ciò che è bene e ciò che è male, ognuno mette in atto la propria trappola nella quale potrebbe rimanere irrimediabilmente invischiato.