venerdì 26 Aprile 2024
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Mi chiamano Mimì. Per cantare libera la libertà di un libero canto

Mi chiamano Mimì. Testo e regia a cura di Sarah Falanga. Sul palco del Nuovo Teatro Sancarluccio Sarah Falanga con Christian Mirone, Francesca Morgante, Giusy Paolillo, Marco Gallotti e Damiano Agresti. Sul palco ad accompagnare Sarah anche Andrea Palazzo alle chitarre, Davide Ferrante alla batteria e Vittorio Cataldi al pianoforte.

Mi chiamano Mimì è una celebrazione al mito di Mia Martini. Una celebrazione letta attraverso il ricordo di un uomo che l’ha amata, la ama e l’amerà per sempre. Anche non vivendo mai quell’amore in maniera totale, mai riconoscendolo, mai nella pienezza e nella sua importanza.

Il titolo dello spettacolo riprende il celebre verso della romanza pucciniana, “mi chiamano Mimì” de La Bohème.

La Romanza “mi chiamano Mimì”, appunto, è cantata da Mimì, mentre sta per morire e Rodolfo, il suo amato che non ha saputo riconoscere il loro amore, si rende conto che la morte è la separazione totale tra i due. Interviene quindi, l’elemento della morte, altissimo, assoluto, utilissimo a dare spessore e valore all’amore, poco riconosciuto dagli “umani mortali”.

Mi chiamano Mimì ci racconta della nostra inconsapevolezza della morte.

La “vita” pur essendo un bene preziosissimo, nel suo splendore confonde ed inebria gli uomini, beffandoli, illudendoli di onnipotenza. Ed ecco i poveri uomini ritenersi infallibili, essendo incontrastabili presuntuosi, alimentati dalla saccenza della vita e dall’inconsapevolezza della morte. La vita infatti mette a dura prova il genere umano, ne sfida l’intelligenza, tentandola e stordendola di false certezze.

Nell’abitudine del vivere e del viversi, nell’avere, per così dire “a disposizione” il proprio amore, quando lo viviamo nella scontatezza e negli episodi quotidiani, scrivendo insieme, facendo insieme la spesa, litigando, quando è in scena con noi, quando ce l’abbiamo a scrivere un testo con noi, quando ce l’abbiamo tutte le notti vicino, dando vita, semmai, ogni volta ad un “minuetto” …così non sempre l’amore viene riconosciuto e vissuto. Pertanto, la MORTE interviene a che questo amore possa essere vibrante nella totalità. Molte volte, però, l’amore negato dalla morte, sfocia in un altro sentimento importante, in un’altra condizione dell’animo, che è la FOLLIA…il distacco dalla realtà! “Follia” che serve agli artisti per distanziarsi dalla vita materiale, lasciando un’eredità al pubblico di ogni tempo.

Mia Martini vive, infatti, tutta la sua vita, sia artistica che privata, da perfetta bohèmienne

Pertanto, in nessuno dei due casi, né per la morte, né per la follia, in questo spettacolo si distingue un’accezione negativa. Perché Mimì, intesa come Mia Martini, questa volta, non è un personaggio negativo. A questo proposito, interessante è il riferimento alla Bohème, che nella stesura del testo, individua nella personalità di Mia Martini anche il più profondo e letterale significato del termine stesso.

Mia Martini vive, infatti, tutta la sua vita, sia artistica che privata, da perfetta bohèmienne. Andar via dalla “guerra” della sua casa, non trovare mai fissa dimora né emotiva né fisica, alla ricerca sempre di quell’angolo di cielo, di felicità, di creatività, di libertà…d’amore.

Mia Martini un’artista unica e insostituibile. Un’artista che ha vissuto grandi sofferenze, riuscendo a tradurle in poesia e in musica

Lei, la bohèmienne che viene giudicata male, zingara, malefica…ma che vola alto. “Mimì dagli occhi scuri e dai capelli neri, strega del sud! Mimì la pazza, Mimì che porta morte, Mimì che porta male!” Non porta affatto male, perché la sua morte sviscera un amore, non solo in un uomo, ma anche nel suo pubblico, nei suoi colleghi… e dà la possibilità a coloro che negavano la Sua forza, oscurandola con tante malignità, di emergere, di farsi strada, di “occupare il suo posto” (e chi crede veramente di sostituirla, si rende da solo ridicolo!), quel vuoto incolmabile che qualcuno prova ad occupare….Ma chiaramente lei è unica ed insostituibile, come ogni artista. Artista che ha vissuto grandi sofferenze, riuscendo a tradurle in poesia e in musica!

Il suo volto, il suo modo di cantare, il suo modo di interpretare un testo, infatti, era ed è per sempre la libertà totale dell’Arte, data da quella “follia”… suscitata dalla sofferenza, dovuta alla mancanza d’amore!
Paradossalmente, lei è stata il “capro espiatorio”. Il “Gesù Cristo” in croce, l’Artista crocifissa, che però è RISORTA dalle sue stesse ceneri, per essere UNIVERSALE, indiscussa in ogni momento e in ogni tempo. Insomma, addirittura la morte, nelle mani di Mimì è un elemento positivo. Solo nella libertà della morte, Mimì è LIBERA e susciterà per sempre emozioni molto positive!
A circa vent’anni dalla sua scomparsa, infatti Mia Martini è più libera e presente che mai.

L’essenza della sua personalità e l’immagine della sua forza interpretativa unica, la hanno resa viva…ancora più viva di quanto lo sia stata, costretta dalle ignoranti cattiverie del becero vociare sul suo conto…
Ora è libera veramente, vibrante nella sua, e nella nostra, musica.

Mi chiamano Mimì di Sarah Falanga consegna al pubblico una trama semplice e profonda. La storia di un uomo che ha amato Mimì, forse a sua insaputa.

Ora Franco senza di Lei è un Sole senza luce…Poi la scoperta di un amore, la sua illusione e l’ingombrante ed ossessionante ricordo.
E pensare che Mimì ha sempre creduto di non essere mai stata amata “a modo suo”!
Lo spettacolo è dedicato alle DONNE ed a quegli uomini che ancora non si sono accorti del loro valore. E’ anche dedicato a quegli uomini, che riconoscono nelle loro donne, un segreto e prezioso dono di vita, che si rinnova. E’ un continuo input, è il voler risvegliare non solo il ricordo, ma la possibilità che ogni donna ha, o deve darsi, nel cambiare un percorso doloroso, scegliendo la sua storia!

Redazione IDN
Redazione IDNhttps://napoli.itineraridellacampania.it
EDITOR E WEB DESIGNER. NATO A VENEZIA NEL 1973, VIVO E LAVORO FRA MILANO E NAPOLI. Sono nato nel 1973 a Venezia. Nascere e vivere a Venezia significa avere la fortuna di crescere respirando il profumo dell'arte in tutte le sue espressioni, dall'architettura alla pittura fino al cinema, così sin da subito mi sono lasciato trasportare da queste sensazioni. Da prima la fotografia, poi il teatro e la televisione, fino a scoprire, verso gli anni novanta, il piacere della sintesi e dell'impatto visivo del segno grafico. E' emozionante vedere stringere nelle mani di persone che non conosci e che non mi conoscono il frutto del mio lavoro.
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