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Al Teatro Grande di Pompei le Baccanti di Euripide

Dal 14 al 16 luglio nel Teatro Grande di Pompei, all’interno dell’importante sito archeologico, andrà in scena le Baccanti di Euripide.

Le baccanti di Euripide è un testo che pone sempre numerose sfide a chi lo voglia mettere in scena”, spiega il regista Andrea De Rosa, “la prima e la più importante delle quali consiste nell’essere l’unica tragedia il cui protagonista è un dio (Dioniso).

Una produzione importante realizzata con la collaborazione tra Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia.  Con un cast di attori di assoluta importanza come con Marco Cavicchioli, Cristina Donadio, Ruggero Dondi, Lino Musella, Matthieu Pastore, Irene Petris, Federica Rosellini, Emilio Vacca, Carlotta Viscovo

Le baccanti di Euripide. E’ possibile mettere in scena un dio?

Come si può rappresentare un dio? Come mettere in scena un dio? “Dio è morto”, scrisse Nietzsche più di un secolo fa e, a dispetto delle assurde guerre di religione che ancora si affacciano all’orizzonte della nostra storia recente, quella sentenza di morte sembra irreparabile e definitiva. Ma il sacro? Il misterioso? Sono anch’essi spariti per sempre dalle nostre vite? Che senso dare oggi alla presenza di un dio sulla scena, in un mondo in cui l’orizzonte del sacro sembra perduto per sempre? Il teatro è ancora il luogo dove un dio può prendere vita? dove possiamo ancora ascoltare la sua voce e, soprattutto, ancora interrogarlo?

Con le Baccanti di Euripide deciso a seguire le tracce di Dioniso

Mosso da tutte queste domande, ho deciso di mettermi sulle tracce di Dioniso. Il dio che da sempre ci affascina per il suo stretto legame con il senso di perdita di sé stessi e con la vertigine che ad esso si accompagna. È un dio difficile da afferrare, fragile e contraddittorio, insieme uomo e donna, debole e potente, creativo e distruttivo ma la posta in gioco è altissima perché egli promette agli uomini – attraverso il vino, la droga, la danza, la musica, il sesso e la morte – la liberazione dal dolore”.

Una giornata nel sito archeologico più importante d’Italia

Itinerari di Napoli ha organizzato una giornata all’insegna degli antichi fasti della cultura greca e romana. Il pomeriggio una visita guidata di tre ore circa all’interno degli scavi e la sera l’ingresso al teatro grande per assistere alle Baccanti di Euripide.

E’ possibile prenotare una visita guidata agli scavi di Pompei oltre che l’ingresso allo spettacolo al solo costo di 45,00 euro. Per maggiori informazioni e prenotazioni potete leggere Visita di Pompei e serata al Gran Teatro di Pompei

Visita di Pompei e serata al Gran Teatro di Pompei

Le Baccanti di Euripide ed il mito di Dioniso

Le Baccanti di Euripide è un’opera composta durante il volontario esilio del poeta in terra macedone e rappresentata postuma. E’ l’unica fra le tragedie greche a noi pervenute ad avere come protagonista Dioniso.
Il rapporto di Dioniso con la rappresentazione tragica è storicamente attestata dal fatto che le rappresentazioni avvenivano in occasione delle Grandi e delle Piccole Dionisie e delle Lenee. Oltre alle tragedie veniva rappresentato anche il dramma satiresco, che prende il nome dal coro dei Satiri, che, assieme ai Sileni, costituiscono il corteggio del dio. In più la rappresentazione tragica avveniva nel teatro di Dioniso, situato entro il Temenos, il recinto a lui sacro. La presenza di Dioniso nella tragedia non va dunque ricercata nelle vicende degli eroi, ma è essenzialmente una presenza meta-teatrale.

L’origine mitica di Dioniso risale alla città di Tebe e alla stirpe dei Labdacidi

Per lungo tempo si è ritenuto che il culto di Dioniso non fosse originario della Grecia, e il suo luogo di provenienza è stato identificato ora con la Frigia, ora con la Lidia, ora infine con la Tracia. La scoperta tuttavia delle tavolette micenee in lineare B con il nome del dio ha posto fine alla questione. Tuttavia si può ritenere che Dioniso abbia avuto in Grecia un ruolo trascurabile e solo dopo la sua vasta diffusione nell’area orientale sia stato riaccolto nella terra d’origine, non senza resistenza a causa del carattere orgiastico dei suoi rituali.
L’origine mitica di Dioniso risale alla città di Tebe e alla stirpe dei Labdacidi; Semele, figlia dei sovrani Cadmo e Armonia, fu amata da Zeus e a lui generò Dioniso. Era, accecata dalla gelosia, persuase Semele a chiedere a Zeus di mostrarsi a lei in tutta la sua maestà divina; il dio, che aveva fatto promessa a Semele di esaudire un suo desiderio, non potè negarglielo e dovette presentarsi a lei rivestito del potere del suo fulmine, da cui rimase folgorata. Semele portava nel suo grembo Dioniso: Zeus estrasse il nascituro da essa e lo cucì all’interno della sua coscia.

Nelle Baccanti di Euripide Il prologo è recitato da Dioniso in persona

Dioniso si presenta subito come figlio di Zeus e di Semele e indica agli spettatori gli elementi essenziali della scena: la reggia di Tebe, la tomba di Semele e le rovine della sua casa, distrutta dal fulmine di Zeus ed ora resa recinto sacro da Cadmo e ricoperta da Dioniso di tralci di vite. Dopo varie peripezie, il dio è giunto a Tebe per istituire qui i suoi riti; ma le sorelle di Semele hanno affermato che questa avrebbe generato Dioniso da un uomo qualsiasi, e che poi avrebbe sostenuto di essere stata amata da Zeus e che per questo il dio l’avrebbe folgorata. Per punirle, Dioniso le ha fatto impazzire e diventare Menadi. Il prologo procede informando gli spettatori che il nuovo re, Penteo, figlio di una delle sorelle di Semele, Agave, nega il suo culto; per questo Dioniso lo punirà.

Il prologo si conclude con l’invito di Dioniso alle Baccanti, affinchè lascino il monte Tmolo in Lidia e vengano a Tebe per far sentire lo strepito dei loro timpani a tutti i Tebani.

Mito nel prologo.

Dirce accolse nella sua casa Antiope, una giovane donna sedotta da Zeus, trattandola però come una prigioniera; quando la ragazza mise al mondo due bimbi, Anfione e Zeto, Dirce ordinò di portarli sul monte Citerone e di abbandonarli. Allevati da un pastore i ragazzi si vendicarono di Dirce legandola a un toro infuriato, ma Dioniso ebbe pietà di lei e la trasformò in una sorgente. Anfione fu poi padre del fiume Ismeno, e Zeto sposò Tebe.

Nella parodo il coro esprime la sua gioia di celebrare il dio e rievoca aspetti e momenti dei riti bacchici. La parodo si compone di un prooimion (preludio).

Nel preludio le menadi rispondono al richiamo di Dioniso

Nel preludio la prima strofa inizia con un makarismos: beato chi conosce i misteri divini e può celebrare sia la grande madre Cibele che Dioniso. Prosegue con un incitamento alle Baccanti affinchè riportino Dioniso in Grecia. Nella prima antistrofe viene ripercorsa la doppia nascita di Dioniso. La seconda strofaè un incitamento a Tebe a celebrare i riti bacchici sul Citerone, dove le donne tebane già attendono, spinte dall’invasamento del dio. Vengono rievocati altri simboli del culto dionisiaco: l’edera, la quercia e il pino, la pelle di cerbiatto, il tirso. Nella seconda antistrofe si evocano gli strumenti musicali dionisiaci, il tamburello e l’aulo frigio, il primo inventato dai Coribanti per coprire i vagiti di Zeus bambino nascosto dalla madre Rea dal padre Crono, e il secondo donato da Rea ai Satiri.

Nell’epodo il coro conclude aggiungendo gli ultimi tasselli al quadro rituale dionisiaco.

Nel primo episodio appare sulla scena Tiresia, senza accompagnatore pur essendo cieco, e addobbato con pelle di cerbiatto, corona d’edera e tirso, come una baccante. La sua figura ha qualcosa di risibile. Egli chiama Cadmo, che esce dalla reggia anche lui comicamente travestito da baccante; dal dialogo tra i due si evince che essi hanno deciso di onorare Dioniso. Il riso si gelava sugli spettatori all’apparire di Penteo.

Nelle Baccanti di Euripide ecco il sentimento del contrario

La resis di Penteo mette in evidenza la sua posizione: è un momento di pirandelliano umorismo: dopo il comico, l’avvertimento del contrario, ecco il sentimento del contrario, l’umorismo. Il ridere sui due vecchi perde d’innocenza sulla bocca di Penteo e diventa critica feroce contro i sostenitori di Dioniso. Il re ha sentito le notizie riguardanti ‘arrivo di un giovane misterioso e l’allontanamento delle donne dalla città per andare a baccheggiare sul monte; egli ha fatto subito portare in carcere alcune donne, compresa sua madre e sua zia. Quanto allo straniero, Penteo minaccia che gli farà staccare la testa dal collo.

La verità per Penteo è che il figlio di Semele è stato bruciato dal fulmine di Zeus

Questo straniero sostiene la divinità di Dioniso, mentre la verità per Penteo è che il figlio di Semele è stato bruciato dal fulmine di Zeus. Egli vede poi i due vecchi e li rimprovera incolpando il sacerdote di aver convinto il nonno. Dopo un breve ed aspro rimprovero del coro a Penteo, si apre la lunga resis di Tiresia, espressione di una teologia complessa che è il vero nucleo tematico della tragedia; il fatto che poi Tiresia non compaia più lo innalza dal rango di personaggio a quello di profeta.

Nelle Baccanti di Euripide scopriamo i due principi basi per gli uomini: il secco e l’umido.

Tiresia rovescia su Penteo l’accusa di non avere nous, dicendo che due sono i principi basi per gli uomini: il secco e l’umido. Dioniso riveste il liquido, contrapposto al solido di cui è padrona Demetra: questa nutre gli uomini con sostante secche, mentre il Dioniso ha scoperto il vino che dà l’oblio dei dolori. Secondo Tiresia Zeus dopo che ebbe salvato Dioniso alla nascita, staccò un pezzo di etere e lo diede a Era come ostaggio spacciandolo per il bambino: la parola ostaggio (omeros) è somigliante alla parola coscia (meros), ciò fece sì che gli uomini si inventassero la favola del bambino cucito nella coscia di Zeus.

Il primo episodio si chiude con tre interventi della stessa durata.

Cadmo cerca di convincere Penteo dicendogli che anche se non crede nella divinità di Dioniso, può fingere di crederci. Infine Tiresia si rivolge a Cadmo per invitarlo a porre in atto la loro andata al monte, sicuri di fare il loro dovere per il bene della città.
Il quinto episodio è uno dei più movimentati della tragedia: esso è costituito dal racconto di un messaggero (il secondo angellos), che riferisce al coro e al pubblico i momenti dell’uccisione di Penteo. Il re avverso al dionisiaco, che era apparso prima potente, poi via via sempre più indebolito rispetto al dio, ora subisce la sua sconfitta.

Penteo, con Dioniso, nella spedizione di avvistamento delle baccanti

Il messaggero narra di aver accompagnato Penteo, con Dioniso, nella sua spedizione di avvistamento delle baccanti. Quando il re è giunto sul luogo, ha chiesto di poter vedere le donne da una posizione più agevole, ed ha proposto egli stesso di salire su un albero. Ma da quella posizione Penteo è visto dalle baccanti, che accorrono e dopo aver prima lanciato sassi, si pongono attorno all’albero e lo sradicano, provocando la caduta di Penteo. Ed è proprio Agave che per prima si avventa sull’infelice, i cui tentativi di farsi riconoscere risultano vani. I particolari dello sparagmos vengono puntualmente elencati dal messaggero: lo strappo di una spalla, l’asportazione delle membra, braccia e gambe. Agave si impossessa della testa e la confitta in cima al proprio tirso. Poi si reca in città con questo trofeo credendo che sia la testa di un leone.

Nell’esodo, il coro introduce Agave che sta giungendo alla reggia.

Agave avvia un dialogo lirico con il coro in cui esibisce con entusiasmo il suo trofeo. Ella poi chiede che possa vederlo suo padre Cadmo e che suo figlio Penteo lo appenda sulla facciata del palazzo. Entra Cadmo con i servi che portano su una barella i resti di Penteo; Agave si rivolge al padre annunciandogli di aver catturato ed ucciso la preda che porta sul tirso e gli dice che egli deve esserne orgoglioso. La risposta di Cadmo è insieme un grido di dolore e l’inizio della rivelazione: l’impresa delle figlie è stato un assassinio e la disgrazia è avvenuta per opera di Dioniso che si è vendicato.

Che aveva a che fare Penteo con la sua follia?

A questo punto Agave prende consapevolezza della situazione e passa ad una seconda fase in cui si preoccupa dell’integrità del cadavere e poi si abbandona alla domanda sconsolata: che aveva a che fare Penteo con la sua follia? Seguono il lamento di Cadmo e di Agave.

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