Una grande esposizione dedicata al linguaggio grafico e poetico di Joan Miró
Miró viene celebrato a Napoli, che apre le porte a uno dei capitoli meno noti ma più significativi della carriera di Joan Miró. La mostra “Joan Miró: per poi arrivare all’anima”, aperta al pubblico dal 5 dicembre 2025 al 19 aprile 2026, offre un’analisi approfondita del suo rapporto con la parola, il segno e la grafica, settori che l’artista ha esplorato con la stessa intensità delle sue opere pittoriche.
La mostra e il progetto espositivo
Prodotta da Navigare srl, con il patrocinio del Comune di Napoli, del Consolato di Spagna e dell’Instituto Cervantes, e in collaborazione con Lapis Museum, l’esposizione riunisce circa 100 opere tra litografie, acquetinte e acqueforti, provenienti da collezioni private. Suddivisa in sette sezioni tematiche, illustra la sperimentazione tecnica di Miró, mettendo in evidenza come l’artista considerasse ogni materiale, supporto e strumento come vettore di significato. La curatela di Achille Bonito Oliva ha privilegiato la lettura del segno come fenomeno plastico e gestuale, piuttosto che puramente decorativo.
La parola come segno e il segno come linguaggio
Miró (1893–1983) non si limita alla pittura tradizionale: concepisce la parola come un elemento grafico, un materiale plastico da modellare nello spazio, dove lettere e frammenti calligrafici diventano segni autonomi, portatori di ritmo, tensione e movimento. La sua grafica non è mai mera illustrazione; ogni segno è un atto deliberato, studiato per oscillare tra leggibilità e astrazione. La calligrafia orientale, cinese e giapponese, influenza profondamente il suo approccio al gesto, che assume valore semantico e musicale, trasformando il foglio in uno spazio ritmico, quasi coreografico.
Peinture-poème, poesia visiva e sperimentazione grafica
Le Peinture-poème degli anni Venti segnano l’inizio di una sperimentazione che sfocia nella Poesia Visiva degli anni Sessanta: Miró unisce testo e immagine in relazioni plastiche e sinestetiche. Nei decenni successivi, e in particolare nel secondo dopoguerra, la grafica diventa laboratorio del gesto, terreno in cui si confrontano segno, ritmo e pressione del tratto. La litografia del 1976, Peinture = Poésie, ne è il manifesto, sancendo la perfetta equivalenza tra gesto pittorico e scrittura, tra visione plastica e esperienza cognitiva.
Tecniche e processi: acquaforte, acquetinta e litografia
Dal punto di vista tecnico, Miró sperimenta tutte le tecniche calcografiche: l’acquaforte gli consente variazioni tonali sottili e gradazioni di linea, l’acquetinta permette campiture morbide e atmosfere sfumate, mentre la litografia diventa mezzo privilegiato per la riproducibilità e la modulazione del segno su grandi formati. Le scelte grafiche non sono mai casuali: Miró analizza la densità, la continuità e l’interazione tra linee e campiture di colore, sviluppando una grammatica visiva che lega corpo, mano e mente in un atto unitario.
Miró e i poeti: un dialogo creativo
Miró lavora spesso con poeti e scrittori come Tristan Tzara, Paul Éluard, René Char, Jacques Prévert, Raymond Queneau e Joan Brossa, fondendo sperimentazione linguistica e visiva. Il risultato è un’opera in cui parola e segno diventano inseparabili, dove il ritmo della scrittura e la musicalità del gesto pittorico creano un linguaggio autonomo, immediatamente riconoscibile e radicalmente innovativo.
Il Miró meno noto in mostra a Napoli
La mostra napoletana consente di osservare un Miró meno noto ma essenziale per comprendere la sua poetica complessiva: l’artista che interroga il linguaggio, esplora la materia del segno e trasforma la parola in esperienza visiva. Visitare “Joan Miró: per poi arrivare all’anima” significa entrare nella dimensione del gesto controllato ma libero, dove ogni variazione, ogni prova tecnica, ogni segno calligrafico rivela la logica interna e la tensione creativa di uno dei massimi innovatori del Novecento.



