Giovedì 24 febbraio al Teatro Nuovo di Napoli Dolore sotto chiave/Sik Sik l’artefice magico di Eduardo De Filippo. Carlo Cecchi porta in scena due piccoli gioielli della tradizione eduardiana, riflessione sul mondo del teatro come metafora della vita
Dolore sotto chiave/Sik Sik l’artefice magico, due gioielli della tradizione eduardiana, saranno in scena, giovedì 24 febbraio 2022 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 27) al Teatro Nuovo di Napoli per la regia di Carlo Cecchi, anche interprete assieme ad Angelica Ippolito, Vincenzo Ferrera, Dario Iubatti, Remo Stella, Marco Trotta.
Maestro del teatro, funambolo e innovatore della scena che ha attraversato il Novecento, Carlo Cecchi restituisce con questo dittico l’amarezza e il realismo di Eduardo De Filippo, la sua capacità di graffiare anche con una sola, fulminea invenzione paradossale.
Presentato da Marche Teatro, Teatro di Roma-Teatro Nazionale ed Elledieffe, il lavoro di Cecchi mette in scena due storie scritte a molti anni di distanza l’una dall’altra, che si legano fluide come due atti di un unico spettacolo.
Dolore sotto chiave è un gioco beffardo sul senso della morte portato in scena con irresistibile comicità. Mentre Sik Sik l’artefice magico, atto unico scritto nel 1929, è uno dei capolavori del Novecento. “Come in un film di Chaplin – racconta Cecchi – è un testo immediato, comprensibile da chiunque e nello stesso tempo raffinatissimo. L’uso che Eduardo fa del napoletano e il rapporto tra il napoletano e l’italiano trova qui l’equilibrio di una forma perfetta, quella, appunto, di un capolavoro”.
Sik -Sik (in napoletano, “sicco” significa secco, magro e, come racconta lo stesso Eduardo, si riferisce al suo fisico) è un illusionista maldestro e squattrinato che si esibisce in teatri d’infimo ordine insieme con la moglie Giorgetta e Nicola, che gli fa da spalla. Una sera il compare non si presenta per tempo e Sik Sik decide di sostituirlo con Rafele, uno sprovveduto capitato per caso a teatro. Con il ripresentarsi di Nicola poco prima dello spettacolo e con il litigio delle due “spalle” del mago, i numeri di prestigio finiranno in un disastro e l’esibizione si rivelerà tragica per il finto mago ma di esilarante comicità per il pubblico.
Un rigoroso esempio di coscienza critica nel classico gioco “del teatro nel teatro” attraverso quella contrapposizione tra realtà e finzione, spinta oltre l’asfittico dibattito tra vita e forma. Due anime artistiche vigorose si saldano così sulle tavole del palcoscenico, per entrambi “specchio” in cui la realtà si riflette nella finzione e viceversa.
Dolore sotto chiave è un gioco beffardo sul senso della morte portato in scena con irresistibile comicità
Dolore sotto chiave nasce come radiodramma nel 1958, andato in onda l’anno successivo con Eduardo e la sorella Titina nel ruolo dei protagonisti, i fratelli Rocco e Lucia Capasso. Viene portato in scena due volte con la regia dell’autore, con Regina Bianchi e Franco Parenti nel 1964 (insieme a Il berretto a sonagli di Luigi Pirandello) per la riapertura del Teatro San Ferdinando di Napoli e nel 1980 (insieme a Gennareniello e Sik-Sik) con Luca De Filippo e Angelica Ippolito.
Lucia, sorella di Rocco, per molti mesi nasconde al fratello – nel timore che questi possa compiere un atto inconsulto – l’avvenuta morte della moglie Elena e finge di occuparsi delle cure della donna, gravemente malata. Lucia impedisce a Rocco di vedere la moglie, con la scusa che la sua sola presenza potrebbe causare emozioni che potrebbero esserle letali. Rocco, esasperato dalla interminabile agonia di lei, in una crisi di rabbia entra a forza nella stanza della malata e la scopre vuota. Lucia gli rivela l’amara verità: la moglie è morta da tempo, mentre lui era in viaggio per lavoro. Comincia qui un alternarsi di responsabilità e accuse fra i due fratelli; si presentano, non voluti da Rocco, i vicini, per sostenerlo nel lutto; infine Rocco rivelerà alla sorella i suoi segreti.
In Dolore sotto chiave torna in scena il tema della morte, affrontato da Eduardo in tante sue opere, in chiave comica, seria o semiseria: da Requie a l’anema soja, al primo atto di Napoli milionaria! Fino al parodistico funerale dell’ultimo lavoro, Gli esami non finiscono mai. In Dolore sotto chiave questo tema non è poi così centrale come potrebbe sembrare, la morte non è la protagonista della vicenda.
A tenere la scena non sono le conseguenze della morte di Elena, ma una vita che non è più vita proprio perché qualcuno ha deciso di sottrarre quell’evento alle sue leggi naturali. La morte fa il suo corso – sembra dire Eduardo – portando con sé un carico di lutti, ma all’uomo non resta che affrontarla, perché anch’essa fa parte della vita e cercare di negarla, di non riconoscerla, significa negare la vita stessa. E non c’è mostruosità peggiore, dice l’autore per bocca del suo personaggio, che bloccare il flusso naturale dell’esistenza, sostituire la vita vera con una artificiale e falsa, in cui anche i sentimenti, i dolori, le emozioni risultano paralizzati (I Meridiani, Einaudi)
Sik-Sik l’artefice magico, atto unico scritto nel 1929, è uno dei capolavori del Novecento.
“Come in un film di Chaplin” – dice Carlo Cecchi – “è un testo immediato, comprensibile da chiunque e nello stesso tempo raffinatissimo. L’uso che Eduardo fa del napoletano e il rapporto tra il napoletano e l’italiano trova qui l’equilibrio di una forma perfetta, quella, appunto, di un capolavoro.” Sik-Sik (in napoletano, “sicco” significa secco, magro e, come racconta lo stesso Eduardo, si riferisce al suo fisico) è un illusionista maldestro e squattrinato che si esibisce in teatri di infimo ordine insieme con la moglie Giorgetta e Nicola, che gli fa da spalla.
Una sera il compare non si presenta per tempo e Sik-Sik decide di sostituirlo con Rafele, uno sprovveduto capitato per caso a teatro. Con il ripresentarsi di Nicola poco prima dello spettacolo e con il litigio delle due “spalle” del mago, i numeri di prestigio finiranno in un disastro e l’esibizione si rivelerà tragica per il finto mago ma di esilarante comicità per il pubblico.
Con più di 450 repliche solo a Napoli, lo spettacolo ebbe un successo enorme. Eduardo reinterpretò Sik-Sik alla fine della sua carriera; recitò per l’ultima volta al Teatro San Ferdinando di Napoli nell’aprile del 1979 e nel 1980, al Manzoni di Milano, affiancato dal figlio Luca e da Angelica Ippolito, si ritirò dalle scene dopo cinquant’anni di carriera. “Partecipai all’edizione del 1980” – ricordava Luca De Filippo in un’intervista – “Allora ero giovane, fu un momento bellissimo. Avevo già fatto parti importanti, ma nel ruolo di Rafele riuscii per la prima volta a far ridere mio padre”.
Carlo Cecchi attore e regista
Carlo Cecchi, dopo aver frequentato, all’inizio degli anni Sessanta, l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica come allievo attore, dal 1968, anno di fondazione del suo proprio teatro, ha diretto molti spettacoli e recitato molti ruoli. Si ricordano: Il borghese gentiluomo e Il misantropo di Molière (con le traduzioni di Cesare Garboli), Woyzek e Leonce e Lena di Büchner, Il bagno di Majakovski, L’uomo, la bestia e la virtù di Pirandello, Il compleanno di Pinter, Finale di partita di Beckett, e molti lavori di Shakespeare, fra cui una trilogia: Amleto, Sogno di una notte d’estate, Misura per misura.
Con il Teatro Stabile delle Marche (oggi MARCHE TEATRO), di cui è artista di riferimento dal 2003, ha in repertorio: Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, Tartufo di Molière, Claus Peymann compra un paio di pantaloni e viene e mangiare con me di Thomas Bernhard, Sik Sik l’artefice magico di De Filippo e Sogno di una notte d’estate di Shakespeare, il dittico Troppo sbronzo da dire ti amo? di Caryl Churchill e Prodotto di Mark Ravenhill.
In tutti questi spettacoli Cecchi è protagonista e regista. Come attore ha interpretato nel 2013 La serata a Colono di Elsa Morante diretto da Mario Martone prodotto dalla Fondazione Teatro Stabile di Torino, Marche Teatro e Teatro di Roma. Per questo spettacolo è stato premiato con l’UBU come miglior attore protagonista.
Sempre come regista e attore con Marche Teatro ha portato in scena negli ultimi anni La dodicesima notte di William Shakespeare (co-prodotto con Il Teatro Franco Parenti) e Enrico IV di Luigi Pirandello. Nel dicembre 2021 gli è stato assegnato il Premio Ivo Chiesa_Una vita per il teatro.