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Muratori di Edoardo Erba al teatro Sannazzaro

Da venerdì 29 a domenica 31 ottobre al teatro Sannazaro va in scena Muratori di Edoardo Erba per la regia di Peppe Miale.

Muratori, la celebre commedia di Edoardo Erba viene messa in scena per la prima volta in lingua napoletana. Dal 29 al 31 ottobre al Teatro Sannazzaro vedremo impegnati Angela De Matteo, Massimo De Matteo, Francesco Procopio diretti da Peppe Miale in una commedia che affronta un tema quantomai attuale. Muratori infatti affronta la crisi dei teatri sempre più sacrificati per fare spazio a lucrosi megasupermercati. Tra esilaranti scambi comici e momenti di profonda riflessione, una storia di amicizia, rivincita e conflitti sociali che è un inno d’amore al teatro.

Muratori. La trama in sintesi

Di notte due muratori napoletani penetrano dentro una sala teatrale a confine con un supermercato. Lo scopo è di per realizzare, su incarico dell’unico proprietario, un muro abusivo velocemente e senza fare rumore. Giusto per allargare gli spazi del contiguo esercizio commerciale. Ma un’incantevole figura di donna, forse un riflesso di un ricordo di qualche personaggio già andato in scena su quel palco, si mostra ora all’uno ora all’altro per scombussolare le rispettive esistenze.

Così i due poveri muratori iniziano una staffetta di infatuazioni. Il sodalizio edile iniziale vacilla, lasciando sul terreno di quella contesa i rottami delle rispettive esistenze, tutte declinate alle miserande prospettive di due poveri cristi.

Lo spettacolo raccontato dal regista Peppe Miale

In una notte sospesa e infinita – scrive il regista Miale – due muratori si insinuano illegalmente in una sala teatrale al confine con un supermercato per realizzare un muro abusivo. Il fine è quello di allargare gli spazi del contiguo esercizio commerciale su mandato del proprietario del palazzo che contiene i due locali.

Ma la magia di quel luogo che sta per essere violato vive rappresentandosi in presenze presunte, rumori sinistri, luci irregolari, inducendo perplessità e domande nelle menti e nei cuori dei nostri due anti-eroi. Quando poi si palesa un’incantevole figura di donna, tale signorina Giulia, che appare ora all’uno ora all’altro. Ecco allora che Germano e Fiore nella più assoluta inconsapevolezza, quasi prede di un sortilegio, accennano a citazioni di parole testi e immagini che rimandano al luogo che stanno abitando in quella strana notte.

I due poveri lavoratori, cui la notte e la stanchezza avevano già offerto il destro per parlare dei massimi sistemi pur sempre in coerenza con la loro identità, si confrontano anche duramente fino addirittura a creare i presupposti per scombinare il sodalizio edile che avevano cercato di avviare, lasciando sul terreno di quella contesa i rottami delle rispettive esistenze. Rottami che poi sono anche i rottami di quell’abusivo muro che stanno realizzando e che scopriremo se riuscirà a diventare impresa compiuta. È il teatro che prova a sopravvivere sublimando se stesso in un viaggio infinito che vale proverbialmente più della meta.

Il testo di Edoardo Erba naviga tra rigogliosi orizzonti di concreta e raffinata comicità e, mai disdegnandole anzi sublimandole, piccole sorprendenti e sostanziali soste in acque che demandano ad un’acuta riflessione sulla condizione umana. E se nella nostra lettura, la retorica potrebbe rappresentare facile inciampo, è nostro desiderio provare a denunciare che, se è vero come è vero, che il momento pandemico in essere costringe ad una crisi della cultura (di cui il Teatro è solo fra le più alte rappresentazioni), è pur vero che l’Autore già nel 2002 ci segnalava che c’era chi desiderava che la cultura fosse murata in un supermercato.

Ed è quindi sempre nostro compito provare, con umiltà, ad essere quella signorina Julie che crea le condizioni affinché i muri non si sostituiscano ai sipari.

muratori al teatro sannazzaro

Il testo nato in italiano, venne subito cambiato in romanesco. Successivamente venne declinato anche in friulano ed in tedesco

ll testo di Muratori è nato in Italiano. – dice Edoardo Erba- E a me pareva bello così. Ma lo lesse Franco Quadri e mi telefonò subito: senti, il testo è ottimo, ma la lingua non va, rende proco credibili i personaggi. Io ci vedrei un dialetto, o almeno una forte cadenza regionale. Così nacque Muratori in romanesco, frutto di un minuzioso lavoro del gruppo che l’avrebbe poi messo in scena: Massimo Venturiello, Nicola Pistoia, Paolo Triestino ed io. L’edizione romana fu un successo che si prolungò per sedici stagioni consecutive. Un piccolo record, per lo meno per la mia drammaturgia.

Esaurita questa versione – che ne aveva figliate due: una in tedesco e l’altra in friulano – oggi Muratori riparte da Napoli. Con un gruppo di lavoro fresco, competente, motivato. Per la napoletanizzazione del testo abbiamo lavorato tutti insieme, esattamente come s’è fatto per il romanesco: una settimana di studio e lavoro, di confronto serrato parola dopo parola, battuta dopo battuta.

È rinato un testo di cui sono entusiasta. E grazie al lavoro di Geppi Liguoro, di Peppe Miale, di Massimo ed Angela De Matteo, di Francesco Procopio, di Luigi Ferrrigno e di tutti gli altri – vorrei citarli uno a uno perché sono tutti meritevoli – ha generato uno spettacolo memorabile. Vedendolo in scena al Campania Teatro Festival ho avuto l’impressione che appartenesse naturalmente alla tradizione del teatro napoletano. E per un pavese come me, credetemi, è un’emozione impagabile.

Muratori non ha solo cambiato lingua, ha cambiato umore, è un’altra cosa. Perciò chi ha già visto lo spettacolo in versione romanesca, può tuffarsi in quest’altro viaggio, con la certezza di trovarsi di fronte a qualcosa di assolutamente nuovo.
Napoli non è una città, è un mondo. E questo mondo è in grado di assimilare tradizioni diverse e farle proprie. Penso alle canzoni di Pino Daniele, dove il blues, la musica brasiliana e tante altre suggestioni, diventano carne e sangue di questa città, come se le fossero appartenute da sempre.

C’è a Napoli – ma non sono certo io a scoprirlo – una creatività diffusa, un’agilità di pensiero e una capacità di accoglienza unica e sorprendente. E io sono felice di sentirmi ostinatamente chiamare Eduardo invece di Edoardo, perché in quel cambio di vocale percepisco la stima e l’affetto di cui sono circondato. Presentarsi come autore a Napoli è come fare un esame difficilissimo, davanti a un pubblico severo. Grazie al lavoro di questa splendida compagnia, credo di aver superato la prova. Ringrazio tutti, uno per uno, e mi auguro che questo sia il primo di una serie di lavori che trovino proprio in Napoli stimolo e ispirazione.

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