La rassegna di corti teatrali ideata e diretta da Gianmarco Cesario è alla sua sedicesima edizione. Dal 2 al 4 dicembre sedici spettacoli inscena al Teatro Cortese.
I corti della formica tornano dopo appena sei mesi dalla quindicesima, con la sedicesima edizione di questa rassegna. L’anno pandemico come per molti, anche per questa rassegna, ha congelato lo scorrere normale del tempo così ci troviamo ad avere in un solo anno, a pochi mesi l’una dall’altra due edizioni quella del 2020 e quella del 2021. La XVI edizione de I corti della formica rappresenta, per Gianmarco Cesario ideatore e direttore artistico della rassegna, un momento di riflessione su quanto in questi anni si sia prodotto.
Tanti i nomi che sono emersi anche grazie al palco che la rassegna ha offerto alle centinaia di autori, autrici, registi, attori ed attrici, che ora appartengono alla realtà teatrale nazionale. Nomi che oggi sono vincitori di premi prestigiosi e partecipanti ai cartelloni dei principali teatri italiani, e che abbiamo avuto il privilegio di essere i primi a scoprire.
Gianmarco Cesario: ” Sono cinque anni che assumo sulle mie spalle il peso, a volte leggero, altre gravoso, di questo festival, che sono riuscito a far sopravvivere, almeno finora, anche allo tsunami pandemico”
Spiega Gianmarco Cesario – “Non è vanagloria, da parte mia che circa venti anni fa decise di lanciarsi in questa avventura e che ebbe la possibilità di realizzarla grazie innanzitutto alla collaborazione di Manuela Schiano Lomoriello ed il suo Teatro a Vapore, e dei suoi amici-collaboratori, Claudio Finelli, Luciano Correale e Roberta D’Agostino, approdati poi ognuno a progetti personali e relativi successi. Sono cinque anni che assumo sulle mie spalle il peso, a volte leggero, altre gravoso, di questo festival, che sono riuscito a far sopravvivere, almeno finora, anche allo tsunami pandemico.” – Continua sempre Gianmarco – “Non è vanagloria, dicevo, ma semplicemente una ricerca di motivazioni a non mollare, che in questo momento mi sono davvero difficili da trovare, per non dire impossibili, se ci si confronta con quella politica teatrale, che non riconosce nulla ad iniziative come la nostra. Resta comunque, anche per questa edizione, l’aver raccolto tante occasioni di collaborazione da chi ha dato fiducia alla manifestazione, a partire dalle 12 compagnie in concorso, ad Anna Sciotti e la gestione del Teatro Cortese che ci ospita per la seconda volta, a Beatrice Baino con Le Streghe del Palco ed I Mestieri del Palco, a Clelia Le Bouf per il progetto artistico, alle dieci scuole di teatro che hanno dato la possibilità ai loro allievi di partecipare alla giuria, e per finire, ai professionisti che hanno seguito e seguiranno l’aspetto tecnico.”
Appuntamento al 2, 3 e 4 dicembre al Teatro Cortese
Non ci resta che attendere l’appuntamento per il 2, 3 e 4 dicembre per vedere i corti teatrali di questa edizione e, chissà magari scorgere un futuro Mastroianni o magari un futuro Martone. In caso contrario non ci resta che sperare che la prossima edizione, la diciassettesima. Ricordiamo anche che dal prossimo mese d’aprile, riparte lo spin-off cinematografico dal titolo “LO SCHERMO DELLA FORMICA” che nasce grazie alla collaborazione con Salvatore Sannino e con il Cinema Teatro De Rosa di Frattamaggiore, che ospiterà la manifestazione di corti cinematografici.
Quest’anno la giuria della manifestazione è composta da 11 allievi provenienti da 8 scuole di teatro attive nel territorio di Napoli e provincia, tra cui Bellini Teatro Factory; Elaboratorio Teatro Elicantropo; Giuliart; Global Eventi; Mind the Gap; Scuola Beniamino Maggio; Talia; Theatre de Poche. Otto scuole ognuna con una sua specifica identità, così da offrire una pluralità di punti di vista, dai quali potrà risultare un giudizio quanto più obiettivo.
I corti della formica XVI edizione. Programma
Giovedì 2 dicembre ore 20.30
BAR di Roberta Frascati, con Roberta Frascati. Foto di scena Davide Visca, regia Francesco Antonio Nappi
Anni ’60, è sera, le luci basse di un locale ci dicono che un altro giorno sta finendo. Al bancone una donna, non più giovane, non ancora anziana, che sistema le ultime cose prima di tirare giù la serranda e tornare a casa. La sorprende, neppure troppo, l’arrivo di avventori ritardatari. Non dice loro che sta chiudendo, anzi, li accoglie come vecchi amici venuti a farle compagnia. E come si fa con gli amici di sempre, prende a raccontare. Un fiume di parole, ricordi, consigli velati, speranze, sapientemente unite alla musica che viene fuori da una vecchia radio e all’odore del mare.
Bar è uno spettacolo che si incentra sul racconto e sul viaggio. Innanzitutto un viaggio nel tempo: negli anni ‘50-‘60 che vengono raccontati da una scenografia scarna ma ben inquadrata dal punto di vista dell’identità cronologica. Ma il viaggio è soprattutto un viaggio da raccontare e raccontarsi, al momento della sua conclusione, in un luogo preciso, un Bar, che si fa punto di partenza e di arrivo, crocevia di destini differenti, ciascuno con una sua storia e un suo vissuto.
Quel piccolo punto di riferimento, lontano nel tempo e vicino nello spazio, non è che la nostra esigenza, acuita ed evidenziata dalla pandemia, di prenderci un attimo per raccontare e raccontarci, un istante per ascoltare, un momento per ricordare e apprezzare ciò che ci circonda, vivendo del dono incommensurabile e, così come abbiamo imparato, per niente scontato, d’avere un pubblico, una platea, un interlocutore da poter guardare negli occhi e nei cui occhi riconoscersi.
OCCHI SOSPESI di Francesca Esposito con Lucio De Cicco, Livia Berté, Carmela Ioime. Costumi Michaela Castaldi, regia Francesca Esposito
Iride, un vecchio cieco, ossessionato dalla propria identità perduta, viaggia in compagnia della Muta, Sospiria e dell’Altra, Ieratica. La ricerca tormentata dell’identità è rivolta costantemente all’esterno. Iride ha un’idea dell’identità distaccata da sé, come se fosse un accessorio. La sua ricerca è inautentica e vana. In un clima da circo da quattro soldi, i tre personaggi falliscono puntualmente e ripetono le loro azioni giorno dopo giorno, in un frustrante carillon di sterili tentativi.
IL DISCORSO DEL PORCO di Sal Cammisa, liberamente ispirato a “La fattoria degli animali” di George Orwell. Con Sal Cammisa. Scene e costumi Enzo-Tammurrièllo Esposito. Aiuto regia Antonella Esposito e di regia Sal Cammisa e Daniela De Falco
Il discorso del porco è un monologo liberamente ispirato a La fattoria degli animali di George Orwell. Napoleon il maiale – capo della fattoria di cui è divenuto con violenza l’assoluto padrone – si presenta alla “sua” gente, in una domenica solitamente dedicata all’assemblea generale, per comunicare loro che da quel momento in poi le sedute dedicate al confronto e al dibattito sarebbero state sospese. Ne approfitta per celebrare i successi della fattoria, per informarli sulle ultime novità con l’esterno, per ripetere i 7 comandamenti. Ma qualcosa turberà la sua rigida sicurezza da capo di governo: anche il potere, ha le sue, nascoste, debolezze.
JINNIE di e con Jenny Brascio. Con Orazio Picella, regia Jenny Brascio e Orazio Picella
Jinnie è una donna moderna. Una donna che desidera una carriera, un lavoro una soddisfazione personale. Tuttavia è debole e ancora non lo sa. Jinnie vuole un amore integro, totale che si dedichi solo a lei e viceversa.
E qui che comincia la fregatura. Perché nella ricerca di quell’amore “ideale” si tuffa a capofitto in un progetto matrimoniale dimenticando se stessa. Si sposa e, moglie entusiasta, si dedica completamente al coniuge come una geisha. E’ allegra, canta, gioca, si diverte. Il marito però, dal canto suo, la tiene segregata come in una bottiglia di vetro dalla quale Jinnie osserva il mondo.
E’ un uccellino in gabbia, una lucertola sotto ad un bicchiere. Jinnie si sente ingannata, non ha avuto ciò che gli era stato promesso: una vita piena, dei figli, la felicità. Da qui i primi screzi, litigi, verbalmente violenti, che fanno impazzire Jinnie. Oramai come un animale in cattività vaga nella sua casa-bottiglia cercando una via di uscita. Sbatte da un lato all’altro, perdendo il lume della ragione. Ce la farà a liberarsi? Ce la farà a “rompere” la sua bottiglia? Lo sketch vuole accendere un “lumino” su un tipo di violenza sulle donne di cui non si parla MAI. Non la violenza fisica, di cui visibilmente le donne portano evidenti segni corporei bensì quella psicologica, più subdola e meschina.
VENERDÌ 3 DICEMBRE ore 20,30
AUTOGRILL di Tiziana Beato. Adattamento teatrale di Pier Paolo Palma da “Lettera 3” dal libro “Tra tutti i miei bisogni ci sei tu” con Selene D’Alessandro. Aiuto regia, costumi e make up Georgia de’Conno. Regia Pier Paolo Palma
Una lettera, ma sarebbe più corretto dire una confessione. In una notte scelta per non dormire, in un luogo scelto per non restare, una voce rimbomba tra porte automatiche e mattonelle. È una voce profonda, è la voce di chi ha scelto di conoscere gli uomini indagandoli attraverso il sesso, accudendo tutte le loro paure. È una donna che sceglie di spogliarsi per raccogliere nudità che il corpo non vede. È una voce di fredda concretezza e riflessioni che aspirano al lirico, in un vorticoso bathos di sincerità. Se è vero che la poesia si incontra in determinate periferie e in date ore, tra pensieri malinconici e grandi, dobbiamo ascoltare il racconto di una voce, troppo reale per accedere ad un bar sotto il mare.
L’AMORE PERFETTO di Valentina Varrella, con Livia Bertè e Ciro Scherma. Regia Roberta Misticone
Una donna sulla cinquantina, Iris, incontra il suo amante, Marcello, anche lui cinquantenne, nella nuova garçonniere di lui. Sono allegri, complici e appassionati. Lui è un ospite impeccabile: le ha inviato un vestito da sera a casa, quello stesso pomeriggio, affinché lo indossasse, le ha preparato dei regali e le ha ordinato la sua cena preferita, annaffiata da copioso champagne.
Lei si sente accolta e protetta e può confidare a Marcello il proposito di intentare presto la causa di divorzio verso il marito, a sua volta fedifrago, che nel frattempo ha sorpreso con la giovane amante, seguendolo in strada, qualche giorno prima. Marcello la ascolta e la coccola, paziente, soprattutto quando lei ha un passeggero momento di nevrosi e si lascia andare al pianto, pensando alla sua vita andata in pezzi ed alla giovinezza perduta.
Quando la serata volge al termine, con calma e pacatezza Marcello chiede ad Iris di saldare i suoi servigi, e da qui si comprende che la relazione tra i due è solo un accordo basato sul danaro e che lui non fa altro che “accompagnarla”, prezzolato, in questa delicata fase della vita, così come fa con altre donne, senza preoccuparsi di celarlo. Iris sembra quasi non dare peso alla cosa. Nel mondo perfetto che ha creato, Marcello è un amante appassionato ed i loro incontri sono reali parentesi amorose, in una vita deprimente.
COMANDAMENTO OTTAVO di Salvatore Vitale. Con Vincenzo Canoro, Francesco Raucci, Aniello Santonastaso, Alessandra Totaro, Tommaso Tuccillo, Filomena Zahora. Regia Salvatore Vitale
Passeggiando per i vicoli nel cuore di Forcella, capita di osservare delle targhe, che ai più possono apparire insignificanti, ma che in alcuni casi racchiudono una vera e propria storia di vita vissuta. E’ il caso di una targa che si può notare a via San Nicola dei Caserti, proprio nelle vicinanze di quella che indica il nome del vico, uno dei vicoli che incrociano la più nota via dei Tribunali.
La targa recita la seguente espressione “Dio m’arrassa da invidia canina, da mali vicini et da bugia di uomo dabene” (che più o meno si traduce in “Dio mi salvi dall’invidia cieca, dai mali vicini e dalle bugie di un uomo perbene”), una scritta che risale a secoli fa, e che racconta le sventure di un povero calzolaio che, calunniato da un vicino di casa, fu condannato per un omicidio che non aveva mai commesso. La storia, risalente all’incirca alla metà del cinquecento, fu ricostruita da Giovanni Garruccio, un architetto e storico napoletano di inizio ottocento, e fu ripresa poi da Benedetto Croce, nel suo famoso libro “Storie e leggende napoletane”.
La vicenda narra di uomo onesto di umili origini, che conduceva una vita tranquilla, dedicata principalmente alla sua attività artigianale. Egli era infatti un calzolaio, ed aveva una bottega in via San Nicolò dei Caserti, poi ribattezzata via San Nicola dei Caserti. L’artigiano aveva una gran passione per la musica, tant’è che si dilettava nel suonare il violino durante il tempo libero, ma tanto bastò per fornire ai vicini di casa il pretesto per alimentare lamentale nei suoi confronti.
Le persone che vivevano nei pressi della sua abitazione erano per lo più benestanti, persone dedite maggiormente alla ricerca del benessere sempre maggiore, perdendo di vista proprio la semplicità delle piccole cose, e quindi della soddisfazione di godere la vita, al punto da provare addirittura invidia per la serenità con la quale l’uomo conduceva la sua umile vita. Tutto ciò comportava continui chiacchiericci avverso il calzolaio, il quale ne restava fortemente dispiaciuto, e maggiormente cercava riparo da tutto ciò nella musica.
Un giorno però accadde qualcosa di veramente clamoroso, era ormai tanta l’invidia del vicinato avverso il calzolaio, che trovarono il modo di sbarazzarsi definitivamente di lui. L’occasione fu data dall’omicidio di un uomo che avvenne proprio nel vicoletto di San Nicola dei Caserti, e durante le indagini, un uomo distinto, testimoniò contro il povero calzolaio, indicandolo quale colpevole dell’assassinio. I magistrati, fortemente influenzati dal testimone, che era una delle personalità di spicco del quartiere, diedero credito alla testimonianza, confermando l’accusa al povero calzolaio, condannando poi l’accusato alla pena capitale.
La notizia suscitò grande sconcerto nel vicinato, ma nulla ormai si poteva fare per scongiurare l’esecuzione stabilita. Prima di morire il calzolaio espresse un suo ultimo desiderio, ovvero quello di donare tutti i suoi averi all’ospedale della Pace, nosocomio attivo fino al 1975, a condizione che fosse stata incisa una targa che raccontasse la verità sulla falsa accusa.
LEUKÓS ZÓPOHS di Luigi Parlato con Rossella Castellano e Luigi Parlato. Regia Rossella Castellano
Leukós Zóphos, sono flebili scie luminose nella più impenetrabile oscurità, fuochi fatui, corpusanti nel mare in tempesta, moscerini neri che ronzano intorno alla fiamma della candela. Leukós Zóphos è una storia che si ripete all’infinito. Leukós Zóphos sono due anime, quella di Mammà e Tummasino, marchiate e maledette, condannate a reincarnarsi un innumerevole numero di volte e a subire sempre lo stesso ineluttabile destino. Mammà è una donna che ha perso l’uso delle gambe ed ha visto più di quanto gli occhi umani possano sopportare, Tummasino ha perso la vista e gran parte dei ricordi. Nelle loro parole risuonano voci ed echi lontani di popoli del passato, mentre viaggiano, nei secoli dei secoli, alla continua ricerca di una spiegazione alla malvagità dell’animo umano, una risposta che forse non troveranno mai…
SABATO 4 DICEMBRE ore 18,00
ENRICU ‘U CURTU di Cristina Gennaro e Davide Migliorisi liberamente ispirato all’”Enrico V” di William Shakespeare. Con Cristina Gennaro e Davide Migliorisi. Canzoni composte da Cristina Gennaro e Davide Migliorisi
Due cuntisti cuntano e arricuntano le gesta del Re Inglese che conquistò la corona di Francia. Divenuto re di Inghilterra, il giovane e acerbo Enrico si imbarca sullo Stretto della Manica, alla testa di un esercito di pochi soldati. Alla vigilia della campagna di Azincourt le parole eroiche pronunciate dal re Enrico incoraggiano l’esercito tanto da procurare la vittoria. Tema del dramma è l’orgoglio di essere pochi, felicemente pochi, per vincere. E pochi, felicemente pochi, sono Davide e Cristina sul palco, moltiplicati dalla fantasia del pubblico che vedrà interi eserciti.
LA PAURA COMINCIA DAI PIEDI di Angela Villa. Con Milena Pugliese, scene Peppe Ronga, aiuto regia Marco Fandelli e regia di Milena Pugliese
“Sei stato tu, adesso lo dici, perché?” Il brano si apre con una domanda, è una domanda che ogni donna vorrebbe rivolgere ai carnefici, a chi vive nell’ombra a chi considera ogni vita come un semplice oggetto da calpestare, distruggere, bruciare… Una donna racconta gli ultimi giorni della propria vita. È una testimone di giustizia e attraverso di lei parlano tutte le donne che si ribellano all’obbedienza nei confronti dei clan per amore dei figli. In alcune parti del brano si possono ritrovare alcuni eventi riferiti alla vita di Lea Garofalo. Simbolo, suo malgrado, della lotta di ogni donna nei confronti di tutte le mafie.le donne che si ribellano all’obbedienza nei confronti dei clan per amore dei figli. Ispirato alle vicende di Lea Garofalo. Simbolo, suo malgrado, della lotta di ogni donna nei confronti di tutte le mafie.
OMBRE di e con Antonio Torino. Regia Angela Rosa D’Auria
Un uomo è come una città, ma se la città parlasse come un uomo? Se raccontasse delle sue strade, dei suoi monumenti, dei suoi parchi, delle finestre, delle case, dei luoghi più interni, poco frequentati, delle sue periferie buie e solitarie di cui essa stessa può aver timore? Ognuno di questi luoghi significano un ricordo, un sentimento, un’ora potente della vita, della nostra vita. Il pubblico/visitatore incontrerà l’unico abitante di questa città, sotto la luce della luna creatrice di ombre misteriose.
La drammaturgia inedita è stata scritta pensando a un racconto di Dino Buzzati, intitolato “La città personale”.
SPECCHIO di Patrizia Di Martino, con Vincenzo Coppola. Regia, scene e costumi Vittorio Passaro
Nell’Italia fascista, un giovane ragazzo benestante è in conflitto con la sua sessualità e con tutta la famiglia di appartenenza mussoliniana. Si confronta con il suo corpo che sente estraneo, si osserva ogni giorno nudo allo specchio, si guarda si tocca, si nasconde il membro, non si piace. Ogni giorno si affaccerà allo specchio, si truccherà, si struccherà, la sensazione è che non si piacerà mai. Uno scontro con sé stesso e contro le idee social politiche educative impostagli da piccolo, che lo farà crescere, ribellare e conquistare la propria libertà vivendo eccessi, estremizzando tutta la propria vita e le proprie scelte fino alla fine.
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