In occasione della “Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, la regista Valentina Cognatti ci presenta lo spettacolo “Io ed Emma”, in scena al teatro Bolivar il 25 novembre
– intervista a cura di Maria Rosaria Marcelli –
“Il tradimento è nel silenzio. Soprattutto in quello di chi, standoci accanto, vede e decide di non parlare”. Quando ascolto le parole di Valentina Cognatti devo ancora assistere allo spettacolo “Io ed Emma”, scritto e diretto da lei, in scena giovedì 25 novembre al teatro Bolivar, ma si materializza nella mia gola un nodo e capisco subito che sarà una telefonata emozionante.
Manca ancora qualche giorno al debutto napoletano della Compagnia di Cerveteri nel teatro del quartiere Materdei che sta facendo parlare di sé per la qualità e l’estrema varietà dei contenuti proposti oltre che per l’affluenza di pubblico, e la direttrice artistica della Margot Theatre, accetta di raccontarsi.
In occasione della “Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, ognuno sente a modo proprio di poter fare qualcosa, esprimendosi come può. E, forse, la curiosità e l’attesa nate intorno al testo della Cognatti derivano da un carattere forte che riesce a farsi notare tra le infinite proposte ed iniziative che si affollano su questo delicato tema.
La storia della Compagnia Margot Theatre nasce a Cerveteri nel 2015…
Inizialmente era una scuola di teatro, poi siamo diventati una Compagnia ed in seguito anche un’associazione. Con il tempo è aumentato il numero delle classi e abbiamo realizzato produzioni con il sostegno del Comune. Sono sempre stati due gli obiettivi principali della Margot Theater: l’alta formazione teatrale e una funzione sociale imprescindibile.
Portiamo in scena i classici ma soprattutto le problematiche legate al rapporto tra “l’io e l’altro”. Personalmente, credo molto nel valore della pedagogia e dell’educazione per arrivare ad un’umanità e l’arte è l’unico terreno veramente neutrale nel quale tutti possono sentirsi uguali e sviluppare un’empatia.
Da dove arriva l’ispirazione per la scrittura di “Io ed Emma”? E quanto sono stati lunghi i tempi di metabolizzazione?
“Io ed Emma” nasce da una mia esigenza profonda. Questa ribellione alla violenza parte da lontano e per questo mi sono occupata in passato anche di bullismo e delle sue cause, non solo dal punto di vista delle vittime del fenomeno ma ricercando l’origine del comportamento dei bulli. La violenza sulle donne, che troppe volte sfocia nella platealità e nell’atrocità del femminicidio, più che viverla in modo diretto mi è passata accanto, non solo con i fatti di cronaca, ma con le esperienze di persone a me vicine.
La scrittura mi ha presa tre mesi che è relativamente poco. Avevo già tutto in testa e le testimonianze che ho raccolto nella vita le ho inserite in modo naturale all’interno del mio racconto teatrale.
Lo spettacolo s’incentra sul dialogo tra una madre e una figlia che si reincontrano. Cosa sarebbe cambiato se sulla scena ci fosse stato un figlio maschio?
Sinceramente non ne ho idea. Non riesco ad immaginarlo perché per scrivere questo testo è stato fondamentale essere donna! Sono partita da me, quindi forse non avrei saputo fare diversamente. Nella nostra storia, inoltre, la figlia è incinta e dunque il confronto diventa fra due madri, per necessità un dialogo al femminile.
Qual è la cifra specifica di “Io ed Emma”?
L’autenticità del testo e dell’interpretazione. Tutti, da me agli attori, sentiamo molto forte la responsabilità di trattare questa tematica. Non lo viviamo “solo” come uno spettacolo. E in più, il copione non resterà sempre uguale a se stesso. Evolverà un pochino nel tempo proprio perché io possa riconoscerlo sempre come parte di me, come avviene con ogni testo che scrivo.
Il cast di sole donne è solo una coincidenza (anche nel resto dello staff si nota una quota rosa predominante)?
È solo un caso, ovviamente. Io lavoro molto bene con gli uomini di cui apprezzo tantissimo un certo senso pratico e alcune dinamiche meno contorte. La quota maschile della nostra Compagnia è particolarmente ben voluta. Certo, per i contenuti di cui ci occupiamo la sensibilità e l’intesa femminile fanno la loro parte.
Non conosciamo ancora quali saranno le rivelazioni e le emozioni che scaturiranno da quest’incontro madre/figlia. Il peso della violenza non sarà tanto nella verità svelata quanto nel non detto…
Madre e figlia dialogheranno con un’alternanza di parole e di silenzi, non meno eloquenti, e arriverà il momento della confessione. In realtà, si tratta di fatti più che altro “dimenticati” per sopravvivenza. Tutti noi tendiamo a fuggire dal dolore perché ci spaventa e anche quando cogliamo dei segnali chiari proviamo a respingerli.
Affrontare ciò che ci fa male implica il superamento di noi stessi e il raggiungimento dell’altro: una strada difficile. Ecco, il “mio” teatro si basa “sull’altro” e non “sull’io”. Diversamente, per me, non avrebbe senso. Esattamente come nella vita.