giovedì 28 Marzo 2024
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Museo del Corallo Ascione

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Il Museo del Corallo Ascione si trova all'interno della Galleria Umberto I, uno dei luoghi simboli di Napoli
Il Museo del Corallo Ascione si trova all'interno della Galleria Umberto I, uno dei luoghi simboli di Napoli

La Galleria Umberto I, uno dei luoghi simboli di Napoli, ospita il museo del corallo Ascione, legato alla famiglia Ascione. Il museo del corallo ripercorre la storia della ditta Ascione attraverso l’esposizione di documenti e di creazioni dall’Ottocento al contemporaneo. La ditta Ascione è la più antica manifattura di Torre del Greco nel campo della lavorazione del corallo, del cammeo, delle pietre dure e dei metalli preziosi. Nel 1815 la liberalizzazione del monopolio della fabbrica reale spinge Giovanni Ascione a dedicarsi alla manifattura del corallo. Egli insieme ai suoi dieci figli riescono a far conoscere il marchio Ascione e ad ottenere riconoscimenti per la bravura e la raffinatezza delle creazioni, diventando fornitori ufficiali della famiglia reale che gli conferisce il privilegio di fregiare il marchio con le insegne di casa Savoia. Il percorso espositivo si snoda attraverso due sezioni: nella prima, di tipo didattico, si comprendono la provenienza e le diverse tipologie del corallo, gli antichi utensili utilizzati per la lavorazione, gli antichi sistemi di pesca, i mercati ai quali erano e sono destinati e il modo di lavorare il corallo. Uno spazio è dedicato anche alla lavorazione del cammeo, agli strumenti usati e alla lavorazione per avere una visione completa della glittica su conchiglia. La seconda è dedicata alla gioielleria: oggetti in corallo, cammei, pietra lavica e testimonianze di raffinata produzione che va dagli inizi del XIX secolo agli anni ’40 del secolo scorso. Lungo il percorso è possibile ammirare una documentazione cartacea e fotografica che documenta l’attività dell’azienda e i riconoscimenti per l’originalità e la qualità delle sue creazioni.

Complesso monumentale di San Giovanni a Carbonara

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Complesso monumentale di San Giovanni a Carbonara
L'esterno della chiesa di San Giovanni a Carbonara con la scalinata a doppia rampa, eseguita dall'architetto Ferdinando Sanfelice

Il complesso monumentale di San Giovanni a Carbonara, formato da più chiese, prende il nome dal luogo in cui sorge, un tempo zona destinata a raccogliere i rifiuti e collocata fuori dalle mura angioine. Fu costruito dagli agostiniani su un suolo donato da Gualtiero Galeota per edificare un luogo di culto dedicato al Battista. Accanto allo scalone di accesso si trova la chiesa di Santa Maria della Pietà, eretta per consacrare il luogo teatro di tornei e duelli. Ai piedi della scalinata a tenaglia con doppia rampa, eseguita dall’architetto Ferdinando Sanfelice in seguito al terremoto del 1688, si accede alla chiesa della Consolazione, oggi parrocchia di Santa Sofia, decorata da stucchi. Sulla destra c’è l’ingresso all’antica farmacia, oggi sede della canonica. La Chiesa di San Giovanni a Carbonara si apre al centro del sagrato, ma l’ingresso è laterale. L’interno della Chiesa di San Giovanni a Carbonara è a navata unica con copertura a capriate e abside a crociera con cappelle laterali, aggiunte successivamente. La Chiesa conserva il Monumento funebre di Ladislao di Durazzo, attribuito ad Andrea da Firenze. Alla base del monumento ci sono quattro Virtù, che reggono il secondo ordine dove, sotto un arco a tutto sesto, sono seduti Ladislao e la sorella Giovanna, figli del re Carlo III mentre ai lati, sotto archi trilobati, si trovano altre Virtù sedute. Nella parte superiore è collocata la cella con il sarcofago che termina con la statua equestre di Ladislao. All’interno della chiesa, si trovano la Cappella Miroballo, Recco, Caracciolo di Vico e Caracciolo del Sole. Vi hanno lavorato artisti come Tommaso Malvito, Leonardo da Besozzo, Girolamo Santacroce, Giovanni Domenico d’Auria e gli spagnoli Diego De Siloe e Bartolomé Ordonez. Sul sagrato della chiesa, si trova a destra la Cappella Seripando, che custodisce la Crocifissione di Giorgio Vasari e il Monumento funebre di Antonio Seripando.

MADRE Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina

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MADRE Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina
Palazzo Donnaregina ospita il Madre, Museo d'Arte Contemporanea Donnaregina. Il museo si trova nel cuore del centro storico della città di Napoli

Palazzo Donnaregina ospita il MADRE Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina. Il palazzo deve il suo nome al Monastero di Santa Maria Donnaregina, fondato dagli Svevi e successivamente ingrandito e ricostruito dalla regina Maria d’Ungheria, moglie di Carlo II d’Angiò. Dell’antico monastero resta l’omonima chiesa, che dà su piazza Donnaregina, e la chiesa trecentesca di Donnaregina “vecchia”. Il MADRE si trova, quindi, nel cuore pulsante del centro antico della città partenopea e a pochi passi dal Duomo, dal Museo del Tesoro di San Gennaro e dal Museo Archeologico. Il museo riqualifica e recupera un’area ricca di storia, cultura e tradizione. L’architetto portoghese Alvaro Siza Vieria ha restaurato l’antico palazzo in uno spazio funzionale per accogliere un museo destinato all’arte contemporanea. Il MADRE, su una superficie di 7.200 mq, accoglie una parte espositiva, un auditorium, una libreria, laboratori didattici, una biblioteca e una caffetteria. Il museo, inaugurato il 10 giugno 2005, si articola su tre piani, portando il visitatore alla scoperta sia delle opere di artisti come Lewitt, Koons, Paladino, Kounellis, Clemente, Long, Serra, Horn e Paolini sia dei linguaggi artistici dalla fine degli anni Cinquanta all’inizio degli anni Novanta. Il terzo piano, ospita le esposizioni temporanee.

Cu’mme

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Cu’mme e è un invito di lui a lasciarsi andare e la risposta di lei che mostra quanto questo sia difficile e faccia soffrire. E’ il 1991 quando  Enzo Gragnaniello, scrive un pezzo di storia della nostra musica sia italiana che dialettale dal titolo Cu ‘mme. Il testo della canzone, infatti, è scritto in napoletano ma rompe subito ogni barriera geografica per la sua grande forza e per la passione espressa nel cantarla da due grandi artisti della musica italiana a cui, Gragnaniello, ha deciso di consegnare il brano. Roberto Murolo e  Mia Martini sono, infatti, i primi a cantare questa canzone facendone un capolavoro assoluto della cultura popolare italiana e la incidono da soli nel 1992 inserendola nell’album “Ottantavogliadicantare” con il quale il maestro Murolo festeggia i suoi ottant’anni. Successivamente, vista la forza della canzone, Gragnaniello si aggiunge ai due formando un trio d’eccezione che confeziona forse la versione migliore di questo brano per l’album

comme se fa’
adda piglia’ sultanto
o mare ca ce sta’
eppoi lassa’ stu core
sulo in miezz a via

 

Castel Capuano

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In fotografia si vede Castel Capuano, detto anche La Vicaria, è la sede del Tribunale di Napoli
In fotografia si vede Castel Capuano, detto anche La Vicaria, è la sede del Tribunale di Napoli

Castel Capuano, detto anche La Vicaria, chiude la lunga via dei Tribunali. Il castello, fondato nella seconda metà del XII secolo da Guglielmo I, fu ampliato da Federico II di Svevia e fortificato da Carlo I. Nel 1535 dimorò Carlo V, che donò il castello a Filippo di Lannoy principe di Sulmona, suo cavaliere, il quale apportò alcune modifiche. Nel 1540, il vicerè Pedro de Toledo riunì tutti i tribunali in un’unica sede, trasformando Castel Capuano in palazzo di Giustizia. I progetti di trasformazione furono affidati agli architetti Ferdinando Manlio e Giovanni Benincasa. Nel corso degli anni sono avvenuti altre opere di trasformazione.

Castel Capuano è, dopo il Castel dell’Ovo, il più antico castello di Napoli. Di origine normanna, è situato allo sbocco dell’attuale via dei Tribunali ed è sede della sezione civile del tribunale di Napoli. Deve il suo nome al fatto di essere ubicato a ridosso di Porta Capuana, che si apre sulla strada che conduceva all’antica Capua.

Sul portale d’ingresso di Castel Capuano campeggia una lapide che celebra la vittoria di Carlo V a Tunisi e la data in cui il castello divenne sede della Corte di Giustizia. Il portale è poi sormontato da una grande aquila bicipite, stemma della casa reale di Spagna, opera del Sangallo, e da colonne d’Ercole binate col motto Plus ultra. A un livello superiore domina lo stemma dei Savoia, affisso dopo l’Unità d’Italia in sostituzione di quello dei Borbone. L’orologio della facciata risale invece al 1858.

Castel Capuano, sede del Tribunale di Napoli, fa da ambientazione a tanti film, tra i quali Mi manda Picone.

Chiesa San Francesco di Paola

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In fotografia si vede Piazza del Plebiscito con la Chiesa di San Francesco di Paola o basilica reale di San Francesco di Paola, voluta da Ferdinando I

La monumentale Chiesa San Francesco di Paola o Basilica Reale Pontificia San Francesco di Paola, collocata al centro dell’emiciclo di Piazza del Plebiscito, è costruita, sul modello del Pantheon, da Ferdinando I come voto per la riconquista del regno. Pietro Bianchi inizia la costruzione nel 1817. La facciata è preceduta da un pronao formato da sei colonne e due pilastri di ordine ionico, che reggono un architrave. Il pronao è sormontato da un timpano classicheggiante ai cui vertici sono collocate le statue raffiguranti la Religione, tra San Francesco di Paola, a sinistra, e San Ferdinando, a destra. La chiesa è sormontata da tre cupole: quella centrale, alta 53 metri, è stata costruita su un alto e ampio tamburo. L’interno della Chiesa San Francesco di Paola presenta due cappelle ai lati dell’atrio e al centro la rotonda, dal diametro di 34 m, coperta da una cupola, alta 53 metri, sorretta da colonne corinzie in marmo di Mondragone, alternate da pilastri.

Il colonnato della Basilica di San Francesco di Paola,  fa la sua apparizione in capolavori del cinema come L’oro di Napoli, Il giudizio universale, Le quattro giornate di Napoli e Lo spazio bianco. Nel film L’oro di Napoli la basilica ospita il matrimonio di Teresa, interpretata da Silvana Mangano, una prostituta che vive in una casa di tolleranza in condizioni modeste.

Chiesa di Santa Maria Maggiore

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Il Campanile della Pietrasanta è ubicato sul sagrato della chiesa di Santa Maria Maggiore in via dei Tribunali. Il campanile è in stile romanico ed è il più antico della città
Il Campanile della Pietrasanta è ubicato sul sagrato della chiesa di Santa Maria Maggiore in via dei Tribunali. Il campanile è in stile romanico ed è il più antico della città

La chiesa di Santa Maria Maggiore sorge sui resti di una basilica paleocristiana, fondata dal vescovo Pomponio. La leggenda narra che il luogo fosse infestato dal demonio e che gli abitanti chiesero aiuto al vescovo Pomponio, il quale decise di costruire la basilica da dedicare alla Vergine. La chiesa di Santa Maria Maggiore è chiamata anche la Pietrasanta per la presenza di una pietra con incisa una croce capace, secondo la tradizione popolare, di concedere indulgenza a chi la bacia. Dal 1653, la chiesa è ristrutturata e ampliata da Cosimo Fanzago, Pietro Barberiis, Giuseppe Massa e Matteo Bottigliero. Durante la seconda guerra mondiale, la chiesa subisce molti danni, ma negli anni settanta del Novecento iniziano i lavori di restauro, che portano alla luce un mosaico di età tardo repubblicana e alcune strutture in tufo e reticolato. La facciata della chiesa di Santa Maria Maggiore presenta due ordini: la parte inferiore è dominata dal portale, con stemma ed epigrafe di Andrea d’Aponte, sormontato dal timpano spezzato, opera di Pietro Barberiis; la parte superiore presenta due volute sulla parte più esterna e coppie di lesene lisce con al centro una finestra, inserita in un timpano triangolare. L’interno della chiesa di Santa Maria Maggiore, pianta a croce greca con cappelle laterali, colpisce per la decorazione in stucco, per la cupola con lanternino e per il pavimento maiolicato, opera di Giuseppe Massa. La Pietrasanta custodisce due sculture in stucco di David e San Simone, eseguite da Matteo Bottigliero. Usciti dalla chiesa, è possibile ammirare il campanile romanico, risalente al  X-XI secolo. E’ il più antico della città. Il campanile presenta una base quadrata coronata da cuspide. E’ possibile vedere, nella parte inferiore, l’inserimento di colonne angolari e di marmi di spoglio su una superficie in mattone.

Stoccafisso con patate

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stoccafisso con patate
stoccafisso con patate

Stoccafisso con patate, o stocco e patane per dirla alla napoletana, è un piatto unico dal sapore davvero particolare che porta con se tutta la tradizione napoletana, gustoso, semplice da preparare in occasione di pranzi tra amici o per la cena durante il periodo festivo. Lo stoccafisso con patate si basa su tre ingredienti facilmente reperibili al mercato: stoccafisso, patate e pomodoro.

INGREDIENTI (per 4 persone)

600 gr. di stoccafisso,
1 kg. di patate,
100 gr. di cipolle,
150 gr. di pomodori,
4 coste di sedano,
1 dl di olio extravergine d’oliva,
origano e sale q. b.

PROCEDIMENTO

Far rosolare in olio, per 5 minuti, le patate pelate e tagliate a spicchi, quindi aggiungere lo stoccafisso a piccoli pezzi, le cipolle affettate, i pomodori a pezzi e il sedano. Allungare con un bicchiere d’acqua e far cuocere per 30 o 40 minuti a fiamma bassa, aggiustando di sale e, a fine cottura, aromatizzando con l’origano.

CURIOSITA’

Lo stoccafisso, merluzzo artico conservato tramite essiccazione, è un pesce facilmente digeribile e ottimo da utilizzare per chi segue una dieta ipocalorica. La tradizione di piatti con stoccafissso e baccalà nasce nella zona vesuviana, dalla presenza, fin dall’800, di importatori e venditori di pesce salato. Questo piatto in particolare veniva preparato per sfamare i braccianti che lavoravano nei campi.

Totano imbottito detto imbuttunat in napoletano

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totano imbottito
totano imbottito

Totano imbottito detto imbuttunat in napoletano, è una ricetta tipica di un territorio isolano  affacciato sul mare. Esistono molte varianti di questa ricetta, ma qui vi presenteremo quella ischetana. La pesca del totano è una pratica antica e molto diffusa tra i pescatori di Ischia, tramandata di generazione in generazione, si effettua di notte con la lenza a mano con attaccata una totaniera.

INGREDIENTI (per 4 persone)

2 totani di 300 gr. l’uno (o 4 di 150 gr. circa),
1 spicchio d’aglio,
olio extravergine d’oliva,
peperoncino piccante,
2 bicchieri di vino bianco,
mollica di pane raffermo,
pinoli,
uva passa,
1 tuorlo d’uovo, prezzemolo tritato,
1 litro di passata di pomodoro,
sale q. b.

PROCEDIMENTO

Per preparare il totano imbottito (o imbuttunat) pulire i totani evitando di rompere la sacca, asportare i tentacoli e le alette. Soffriggere in olio l’aglio e un peperoncino, togliendoli appena hanno assunto un bel colore dorato, aggiungere tentacoli e alette tagliuzzati e far cuocere per 5 minuti. Versare un bicchiere di vino bianco e farlo sfumare, quindi aggiungere pinoli, uva passa, il tuorlo d’uovo sbattuto e il prezzemolo, amalgamando il tutto. Salare internamente le sacche dei totani e riempirle col composto, cucendo la chiusura con filo. Soffriggere e far rosolare i totani, aggiungere l’altro bicchiere di vino bianco e il passato di pomodoro e far cuocere per un’ora. Servire a fette quando i totani si sono raffreddati con, a parte, il sugo riscaldato.

Spaghetti alla Puverielle

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Spaghetti alla Puverielle
Spaghetti alla Puverielle

Gli spaghetti alla Puverielle sono un tipico piatto della tradizione napoletana. La ricetta è estremamente semplice e di facile esecuzione, ma il risultato è davvero ottimo. Se avete poco tempo per cucinare, potrebbe diventare il vostro piatto veloce preferito.
Il piatto non ha un’origine temporale certa ma è sicuro che il piatto veniva usato nel periodo del dopo guerra, quando dilagava il contrabbando e la gente era disposta a tutto per poter comprare na tozzola ‘e pane, figuriamoci burro, uova e zucchero.
Gli spaghetti alla Puverielle è un piatto incredibilmente povero e rispecchia quel periodo, ma è nella povertà degli stessi ingredienti che risiede la grande genuinità, trasformando un primo piatto in un possibile piatto unico. La presenza dello strutto e della pancetta tesa, non serve solo ad insaporire, ma anche a rendere più opulento il piatto, perché doveva saziare il più possibile.
In questi piatti c’è l’amarezza, la tristezza, ma anche la forza di volontà di non desistere, della preghiera e del culto della Madonna. Il ricordo di tempi in cui «Ha da passa’ ‘a nuttata», pronunciata da Eduardo De Filippo, in Napoli Milionaria, divenne un urlo di speranza.

INGREDIENTI (per 4 persone)

400 gr. di spaghetti di farina di grano duro,
8 uova,
olio extravergine d’oliva,
una pallina di strutto,
pepe,
sale q. b.

PROCEDIMENTO

Lessare gli spaghetti in abbondante acqua salata e intanto, a parte, portare in una padella l’olio a temperatura, aggiungendo la pallina di strutto. Quando questa si sarà sciolta aprirvi le uova e cuocerle (ma non troppo) a occhio di bue. Colare al dente gli spaghetti, versarli in una zuppiera e condirli con le uova e l’olio di cottura. Spolverare con pepe e servire subito, ben caldo.